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Berlusconi: una brutta fazenda III

Creato il 30 dicembre 2011 da Marvigar4

Berlusconi - D'Alema

   E alle elezioni del 27 e 28 marzo 1994 Berlusconi riuscì dove altri avevano fallito (Mariotto Segni non trovò l’accordo con la Lega e l’alleanza saltò), al Nord vinse con il leghisti, al sud con Alleanza Nazionale, il partito neo-post-fascista di Fini. Fu varato un governo con a capo lo stesso Berlusconi, più 25 ministri, 7 di Forza Italia (Giorgio Bernini, Antonio Guidi, Antonio Martino, Stefano Podestà, Cesare Previti,  Roberto Radice e Giuliano Urbani), 5 della Lega Nord (Domenico comino, Vito Gnutti, Roberto Maroni, Giancarlo Pagliarini e Francesco Speroni)e di AN (Publio Fiori, Domenico Fisichella, Altero Matteoli, Adriana Poli Bortone e Giuseppe Tatarella), 2 dell’Unione Cristiano Democratici (Alfredo Biondi e Raffaele Costa) e del Centro Cristiano Democratico (Francesco d’Onofrio e Clemente Mastella), 2 indipendenti (Sergio Berlinguer e Lamberto Dini), un eurodeputato uscente dalle liste del PSI (Giuliano Ferrara) e un ex del Patto Segni (Giulio Tremonti). Per 252 giorni questo governo rimase in carica, poi i leghisti dettero una spallata e il 17 gennaio 1995 Berlusconi finì il suo mandato. Seguì il governo Dini, il primo governo tecnico della storia repubblicana votato da PDS, Popolari e leghisti. Berlusconi ottenne comunque un successo in quel 1995 vincendo il referendum dell’11 giugno sull’abrogazione delle norme che consentono la concentrazione di tre reti televisive (la legge Mammì). Per sei anni il Cavaliere restò all’opposizione, dopo aver anche perso le elezioni del 21 aprile 1996, vinte da Romano Prodi, ma fu protagonista della stagione della Bicamerale D’Alema del 1997. Nacque il famoso inciucio, il “patto della crostata” del 18 giugno 1997 a casa di Gianni Letta, tra il PDS, il PPI, AN e Forza Italia, in cui Massimo D’Alema avrebbe promesso di non varare una nuova legge sulla regolamentazione delle frequenze televisive. Pur non governando, Berlusconi vide i suoi interessi salvi e tutelati, nessuno si azzardò a toccare le sue proprietà, nessuno tirò fuori il tema del conflitto d’interessi… In tutto questo la brutta “fazenda” stava proprio nel fatto che ormai il nostro paese era alla mercé dell’uomo di Arcore e lo sarebbe stata ancora fino ai nostri giorni…

© Marco Vignolo Gargini



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