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Bersani e Renzi: l’importanza della demagogia

Da Auroita @Vincenzo_Durso

bersani e renziCapita raramente. Sì, proprio raramente. Ieri i medici c’hanno permesso di vedere la televisione. Non so perché. Sarà che le questioni politiche interessano anche noi, pur stando in questo ospedale letterario. Hanno detto che non c’è via di fuga: dobbiamo votare. Decidere il nostro candidato. Che poi c’hanno consigliato l’astensione. Più che consigliato era stato detto con tono caustico, come una esclamazione da dover soddisfare.  Non è proprio quella che si chiama Democrazia. Si sa, la libertà deve essere acquistata con iniziative individuali. Che poi all’unisono diventano collettive, è proprio un altro discorso.

Dice Giuseppe, la guardia notturna che è sempre vigile su possibili tentativi di fuga da parte dei pazienti, che non c’è speranza. Che è meglio essere ammalati, restare in questo posto, che trovarsi al di là della recinzione, quella stramaledetta inferriata che ci separa dal resto del mondo. «Non è un bello spettacolo, te lo giuro. Ci vuole un miracolo. Magari uno di voi guarisse, almeno ci sarebbe un briciolo di speranza!», afferma con tono perentorio. Io poi non capisco che cosa cambierebbe. Tra i vecchi pazienti e i nuovi arrivi non è che ci siano persone competenti nel campo politico. Prima c’era Machiavelli, ma lui è morto. Sedia elettrica, così dicono le voci di corridoio. Ma io non ci credo. Anche perché non si sa come sia deceduto. Beccaria si infuriò a tal punto da rimanerci secco. Non amava le torture così violente. Che non portavano a nessuna rieducazione sociale. Poi mi chiedo: «Non è che oggi le cose siano diverse». Questo lo dico senza se e senza ma. Perché dopo un bel po’ di tempo che rivedo in televisione delle facce politiche, mi convinco che sarebbero capaci anche di ripristinare il vecchio sistema di giustizia, fatto da punizioni al gusto di ghigliottina, morse di legno, e roghi. Questo se, ovviamente, portasse dei benefici ai politici in corsa per le primarie.

C’è un silenzio atroce. Le nostre sagome sono immerse ad ascoltare i dibattiti politici. Fuori da qui un sibilo di un uragano sembra volerci parlare. Non ho più compassione per coloro che vogliono governarci. Manzoni dice che bisogna ammutolirsi, essere aderenti alle virtù cristiane: rassegnazione e speranza devono essere i nostri comandamenti. Non capisco perché debba appoggiare questa bestia teologale, che distrugge la mia intelligenza. Vado via dalla stanza, il chiacchiericcio di Bersani e di Renzi poco mi interessa. Alla fine l’astensione non è da seguire, anche se ti vien voglia di concretizzare la proposta dei medici. Noi letterati siamo scomparsi, siamo invisibili, non abbiamo più quella importanza nelle questioni del paese. Noi che abbiamo unificato l’Italia ci viene detto: «Siete dei malati! Vi rinchiudiamo nell’oblio». Ma siamo una delle tante categorie che è finita nel baratro. Io, alla fine, l’unica speranza che ho è che Apollo venga a far giustizia bruciando ogni cosa, ripristinando l’Arte, anche quella politica. Sì, anche quella è un’arte. Forse la più sublime. Ma che nessuno conosce. Ormai mi sono ammalato nelle parole altrui.


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