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Beta-reader… quasi editor di narrativa (parte 1)

Da Anima Di Carta

Beta-reader… quasi editor di narrativa (parte 1)

Jean Honoré Fragonard,
La lettera d'amore (1769) 

Si torna a parlare di beta-reader e di editor con questo articolo scritto da una mia ospite, Cristina M. Cavaliere, che coniuga entrambe le figure. Nel leggere della sua esperienza troverete molti consigli utili sia sul lavoro che potremo trovarci a svolgere come lettori, sia per comprendere meglio come lavorano gli editor professionisti alla “ristrutturazione di un romanzo.
Innanzitutto ringrazio la padrona di casa che mi ha dato l’opportunità di preparare questo nuovo guest-post che stavolta parlerà di narrativa. Sciolgo dunque il piccolo mistero – qualcuno direbbe, il segreto di Pulcinella – confermando che l’editor Alice del precedente guest-post sul mondo della scolastica sono proprio io. Tra l’altro ho invitato molti colleghi, grafici e illustratori a leggere i post, e si sono fatti delle matte risate nel riconoscersi in alcuni ritratti, soggiungendo che sperano di rientrare nelle categorie appartenenti alle vie di mezzo, e non a quelle delle teste dure. Ora che gli animi sono meno surriscaldati, e i libri si avviano alla loro naturale conclusione, cioè a finire nelle mani degli stampatori, procedo dunque in maniera più serena.
Inizialmente pensavo di parlarvi qui come editor di narrativa… in realtà, ripensandoci, non posso spacciarmi come tale, perché non ho mai svolto tale professione. Più che altro posso scrivervi dal punto di vista di una beta-reader (preferisco questo termine, anche se più modaiolo, a lettore-cavia, che mi fa un po’ impressione), con qualche asso nella manica: lavorare appunto come editor di scolastica, essere una lettrice “forte”, e avere io stessa la passione della scrittura. Questi tre fattori non rendono infallibili i miei giudizi come i pronunciamenti della Sibilla Cumana, peraltro oscuri, ma penso che siano comunque un valore aggiunto nel valutare l’opera di un amico di penna, alla ricerca di consigli per migliorare un romanzo. Siccome non posso citare specifici lavori delle mie conoscenze per una questione di correttezza, farò invece degli esempi di autori che molti di voi hanno letto o sentito nominare, sia del passato sia del presente, e anche esempi personali.
Comincio dunque nel dire che, secondo me, esistono alcuni criteri di fondo per valutare un manoscritto in maniera utile. Ecco dunque le mie…

Linee guida


A) Argomentare in maniera costruttiva le nostre obiezioni. Non ha senso una critica come: “bella la storia, ma il romanzo è un po’ lungo,” perché la domanda successiva che ronza nella mente di un autore è “lungo rispetto a che cosa? Einstein ha scoperto la formula della relatività da gran tempo,” e ha ragione da vendere. Se si ritiene che il romanzo sia lungo, bisogna segnalare in quali punti si è allungato inutilmente. Stessa cosa se il romanzo è “un po’ corto”, come dire. Quando mi sono sentita dire che un mio romanzo era “carino” senza aggiungere altro, è stato peggio che se mi avessero dato una coltellata. Una volta mi è capitato persino di aver parlato con una persona che non aveva letto nemmeno una pagina del romanzo, e che contestava le mie scelte sulla questione del punto di vista, il tutto perché non rientrava nella sua ottica di scrittura. Una critica del genere non ha alcun fondamento: prima si legge e poi si critica. Quando in scolastica si discute con gli autori dei cambi da apportare, bisogna essere ben sicuri di quanto si va dicendo, altrimenti l’operazione è inutile, e l’editor perde di credibilità. Alla riunione successiva, l’editor viene fatto a brandelli come Orfeo dalle Baccanti infuriate.
B) Non farsi trasportare da giudizi di tipo soggettivo. Quando si va sul gusto personale, ci si infila in un vicolo cieco. Vi ricordate quando raccontavo dei bagni di sangue nel valutare un progetto grafico, in cui spesso intervengono criteri di tipo soggettivo? La stessa cosa può avvenire con un romanzo; anzi, avviene più spesso qui, in narrativa, dove c’è maggiore libertà. Ad esempio, un conto è mostrare di gradire o meno la resa di un personaggio, un conto è insistere nel cambiargli il carattere perché ci è antipatico. Il grado di antipatia di un protagonista non dovrebbe in alcun modo influenzare un beta-reader o editor. L’unico compito di un personaggio è di essere funzionale alla storia, e che abbia una sua giusta collocazione e un corretto sviluppo; tutto il resto non serve. Don Rodrigo è un libidinoso, prepotente malvagio quando insidia Lucia ne I promessi sposi? Nel romanzo-fiume I pilastri della terra di Ken Follett il vescovo Waleran Bigod è sufficientemente odioso ai nostri occhi? Va bene così, non dobbiamo certo andarci a mangiare il risotto insieme, come dicono a Milano. Possiamo anche descrivere uno psicopatico, ma, se lo rendiamo credibile, avremo fatto un buon lavoro.
C) Rispettare lo stile dell’autore. Qualsiasi beta-reader o editor dovrebbe rispettare lo stile dell’autore, ammesso che ne abbia uno. Se a me non piace lo stile di Hemingway – e confesso che non mi piace – e m’imbatto in un novello Ernest dallo stile secco e cinematografico, non posso pretendere che scriva come Virginia Woolf. A ciascuno la sua voce, diamo a Cesare quel che è di Cesare. Anzi, lo stile dovrebbe essere proprio la cifra con cui si riconosce l’autore, e mi piace ritrovare, nei romanzi di alcune amiche, il medesimo “canto”: c’è chi scrive in maniera quasi seduttiva, con pagine ricche di gamme cromatiche, chi introducendo elementi surreali e onirici, chi lavorando attorno all’elemento colto, come all’interno dell’ostrica in cui si fabbrica la perla, altre con una vivacità da cui traspare la persona stessa. A dire il vero, quando un’amica che stimo come persona e autrice mi dice che sta lavorando a un nuovo romanzo, sono contenta come se lo stessi scrivendo io, e non vedo l’ora di leggerlo.
Passiamo quindi alla fase concreta, cioè al mio personalissimo e discutibile metodo composto dalla:

FASE UNO


In questa fase c’è una prima lettura, in cui cerco di sospendere ogni forma di giudizio, come se fossi un lettore qualunque. So che sembrerà frutto di una scissione dell’io, ma è importante valutare un lavoro cercando di dimenticare chi è l’autore, di solito una persona con cui si è in buoni rapporti, e quindi accantonare tutte quelle forme di istintiva benevolenza che fanno capolino a ogni passaggio zoppicante o sbagliato. Un lavoro, in questo caso narrativo, è altra cosa dalla persona, e spesso le due cose rischiano di confondersi. Molti autori, appunto, esattamente come accade nella scolastica, considerano qualsiasi critica alla loro opera come un attacco personale. Capisco che non è facile passare sotto le forche caudine di alcuni giudizi – io stessa ci sono passata, e sentirmi dire che un certo passaggio era come la “minestra riscaldata” non mi aveva fatto certo fatto brillare gli occhi di felicità – e ci vogliono anni di esperienza per fortificare il proprio animo e prepararlo alle bordate dei lettori. Si tratta di un vero e proprio scoglio che non tutti superano, ma che porta grandi benefici se questo accade.
Quindi, in qualità di beta-reader, leggo una prima volta il manoscritto da cima a fondo per farmene un’idea complessiva e farmi trasportare o meno dalla storia. Come avrete già capito, preferisco leggere il lavoro per intero. Non ho mai letto capitolo per capitolo, rimandando indietro i commenti (cosa che si fa sempre nella scolastica, che prevede un piano dell’opera preliminare), quindi non so dire se questo metodo, con me, possa funzionare. Penso dipenda molto anche dal modo di procedere dell’autore e se preferisce aggiustare eventualmente il tiro durante o a posteriori.

Beta-reader… quasi editor di narrativa (parte 1)

Vittorio Matteo Corco, Dreams (1896)

Si procede dunque con la:
FASE DUE
Nella Fase due c’è una seconda lettura di tipo più razionale, in cui considero due macroaspetti del romanzo, e prendo degli appunti a margine (che mi serviranno per la Fase tre):
1. La struttura. Proprio come la Statua della Libertà possiede una gabbia d’acciaio interna che la sorregge, ogni romanzo che si rispetti deve possedere una sua geometria intrinseca. Come ho già scritto, a livello razionale un lettore potrebbe non avvertirlo, ma il suo inconscio lo percepisce e ne prende nota. Le tipologie di strutture possono essere tante quante sono le idee in circolazione, o i capelli che l’autore ha in testa. Nessuno obbliga a seguire schemi rigidi o, peggio, preconfezionati, ma più il romanzo ha una sua armonia più l’insieme delle scene risulta coerente. Ci sono strutture con parti che si rispecchiano l’una nell’altra, altre con un andirivieni tra passato e presente, altre con inserimenti di paragrafi con punti di vista in terza, poi in prima persona, altre con capitoli lineari e consequenziali anche dal punto di vista temporale, che però alla fine rovesciano le carte in tavola e gettano una luce diversissima su quello che avete già letto (come avviene ne L’assassino cieco di Margaret Atwood, che ritengo un autentico capolavoro). Insomma, ci si può sbizzarrire.
Per farvi un altro esempio tra i più originali, nella struttura del romanzo La donna in bianco di Wilkie Collins, considerato il padre del romanzo giallo, c’è un tempo apparentemente lineare ma una scansione a “punti di vista”. Il romanzo procede aggiungendo sempre nuovi tasselli alla storia, grazie ai personaggi che, a turno, prendono la parola e rendono la loro testimonianza proprio come in un’inchiesta. Non è un caso che i romanzi di Collins di solito uscivano a puntate, e proprio in questo romanzo, di particolare corposità, l’autore rosola il lettore a fuoco lento, godendo dei suoi tormenti capitolo dopo capitolo. Eppure è una storia che tiene incollati dall’inizio fino alla fine delle sue seicento pagine, e quando il lettore chiude il libro ha la sensazione di aver fatto la migliore abbuffata della sua vita, e va a dormire contento.
Di solito chiedo all’autore se per caso non ha fatto uno schema, anche semplice, della struttura. Se non ha pensato di farlo, lo preparo io per verificare alcune cose, ad esempio se spostando avanti o indietro una sezione il romanzo possa acquistare in chiarezza, o anticipando l’entrata in scena di alcuni personaggi non guadagni quel briciolo di vivacità in più.
2. Il cuore, ovvero il significato profondo. Qual è il messaggio del romanzo? Sì, perché a qualsiasi genere appartenga e per qualsiasi pubblico sia stato scritto, un romanzo deve avere un suo perché, e non ondeggiare qua e là come un barchetta alla deriva sulle correnti. Banalmente, il romanzo d’avventura deve essere… avventuroso. Il romanzo giallo deve intrigarmi e magari anche far funzionare le rotelline del mio cervello, sorprendermi per quanto sia stato bravo l’autore nel condurmi fuori strada. Il romanzo d’amore deve indurmi a partecipare alle gioie e alle pene dei protagonisti (e non è il genere banale che tutti disprezzano: è uno dei più difficili in assoluto, proprio per la sovrabbondanza della materia… come la poesia che si ritiene facile ed è invece ardua). Il romanzo storico mi deve trasportare in un’epoca lontana, non necessariamente istruirmi… non è male quando accade, ma la narrazione non deve essere troppo didascalica. Il romanzo horror mi deve far venire gli incubi, come ad esempio Dolores Claibourne di Stephen King. Avevo visto prima il film L’ultima eclisse con la bravissima Kathy Bates, e quindi sapevo che cosa aspettarmi. Di solito a livello visivo si prova più paura, eppure vi assicuro che dopo aver letto il romanzo mi sono rigirata nel letto terrorizzata e sentendo nelle orecchie (SPOILER) il lungo, strozzato gemito del marito di lei, agonizzante in fondo al pozzo, che la invocava con la schiena spezzata. (FINE SPOILER)
Un romanzo che mi aveva sconcertato, perché si avvertiva con chiarezza che l’autore era partito in un modo e s’era infilato in un tunnel da cui non sapeva più come uscire, è stato Il gioco dell’angelo di Zafón. Avendo letto il romanzo precedente, L’ombra del vento e, essendomi piaciuto molto, ero colma di aspettative specie perché il titolo è davvero accattivante… invece mi sono trovata di fronte a un pasticcio illeggibile. Anche se non appartiene ad alcun genere specifico, come nel caso del romanzo di questo scrittore spagnolo, la storia mi deve sempre comunicare qualcosa. Che cosa ha voluto dirmi l’autore, in sostanza? Nella monumentale opera di Proust, il significato è contenuto nel titolo stesso: Alla ricerca del tempo perduto, e in questo caso il contenuto è adeguato al titolo. Bisognerebbe provare a inventarsi uno slogan per il romanzo. Solo in questo modo si sfronda il ramo di tutte le foglie secche ed emerge quello che è il legno nudo: il significante, il cuore, ed essere onesti con se stessi.
(continua...) Cristina M. Cavaliere
L'AUTORE DI QUESTO GUEST POST Cristina M. Cavaliere (Milano, 1963), pseudonimo di Cristina Rossi, lavora come editor e ricercatrice iconografica nelle redazioni dell’editoria scolastica di lingue straniere. Dal 1990 ha pubblicato una serie di romanzi storici, fra i quali Una Storia Fiorentina, ambientato nella Firenze medicea di fine 1400 e Il Pittore degli Angeli, che ha come protagonista il pittore veneziano Tiziano Vecellio. Nel 2012 è apparso La Colomba e i Leoni – I La Terra del Tramonto, ambientato nel periodo storico della Prima Crociata, pubblicato poi nel 2014 da Silele edizioni. Nel 2016 verrà pubblicato il seguito, La Colomba e i Leoni – II Le Strade dei Pellegrini. Ha appena terminato la stesura del dramma storico teatrale Il Diavolo nella Torre, che ruota attorno alla figura di Bernabò Visconti, e che verrà rappresentato a Trezzo sull’Adda. Blogger e appassionata di letteratura, gestisce anche il blog Il Manoscritto del Cavaliere, riguardante tecniche di scrittura e recensioni di romanzi, ma anche tutte quelle arti visive che contribuiscono ad arricchire ogni forma di narrazione.
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