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Biagio Guerrera: Pietra che brucia

Da Narcyso
Biagio Guerrera: Pietra che brucia

Si potrebbe parlare di questo libro partendo da una semplice espressione: Che dire? Nel senso che queste poesie si dicono da sé e, come in altri pochi casi, mettono il critico nella condizione del narrante piuttosto che del mediatore di senso.
Questo succede perché a Biagio Guerrera evidentemente interessano alcune cose:
Un tramite diretto tra la parola e il pubblico, quindi una dimensione "sociale" della parola, un'attenzione a un dire a voce alta;
Un abbassamento della retorica letteraria in nome della forma del cantare popolare, ma in una dimensione di colta reinvenzione (melopea ed epica), di reimpostazione tonale;
Questo, brevemente, il quadro diacronico, superato il quale la lettura del testo si presta alla massima fruizione, con momenti di vera compassione e commozione.
Forse, quindi, si potrebbe verificare anche l'ipotesi che commozione e compassione siano "espedienti" meditati e non casuali, utilizzati a proposito di una terra, la Sicilia, che è musa e megera nello stesso tempo.
Il testo della più alta e sentita partecipazione, - SCRIVU, un lungo poemetto ripreso da Moncef Ghachem - si può accostare, in effetti, allo stesso sentire dell'invettiva presente nel Consolo dell'Olivo e l'Olivastro, ma l'effetto lirico, la parte centrale di tutto il libro, si riappropria del tema dell'amore riallacciando i fili sia con la canzone, sia con le prime prove storiche della poesia siciliana.
E impossibile è non immaginare che il poemetto finale in cui si racconta della storia dei nonni, Melu e Rusidda, non sia imparentato con un altro modo di procedere: l'epos, appunto, giunto sino a noi fin nelle prove pacatamente "narrative" della poesia di Nino De Vita.
Amàri è dunque un libro che può essere inteso come sunto di modi ma anche, o forse, come sincero omaggio al fare poesia nella singolarità irripetibile e personale dell'esperienza del poeta. Che, poi, in questo caso, è anche un poeta che abita la Sicilia, terra in cui si può riconoscere come centrale, la musa di una stratificazione culturale complessa, persino delle forme del dolore.

Sebastiano Aglieco

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