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Big Fish di Daniel Wallace: l’odissea di Edward Bloom

Creato il 05 novembre 2015 da Postscriptum

Big Fish di Daniel Wallace: l’odissea di Edward Bloom

Ricordo che al liceo la materia che studiavo con più interesse era letteratura inglese: non so spiegare perché ma leggere quelle opere vecchie di secoli mi trasmetteva qualcosa che nessun altro autore italiano aveva saputo rendere. In particolare adoravo William Blake e in particolare Auguries of Innocence che ad un certo punto faceva così

To see a World in a Grain of Sand
And a Heaven in a Wild Flower,
Hold Infinity in the palm of your hand
And Eternity in an hour.

Blake era fissato con l'immaginazione e con il suo effetto salvifico per l'esistenza umana e io ero totalmente d'accordo con lui essendo un inguaribile sognatore ad occhi aperti. Ma voi non fatelo a casa, non si sa mai di questi tempi.

L'immaginazione, guarda caso, è proprio il tema centrale di Big Fish, ottimo romanzo d'esordio di Daniel Wallace, il quale, per un curioso scherzetto della storia, è anche illustratore, proprio come William Blake.

Il protagonista di Big Fish è Edward Bloom, una specie di Ulisse moderno che durante la sua straordinaria vita ha conosciuto i personaggi più strani, frequentato i posti più incredibili e compiuto imprese a dir poco leggendarie: il fatto che tutto ciò possa essere accaduto veramente e non solamente nella sua testa è un atto di fede che chiunque gli giri intorno, compresi moglie e figlio, è costretto a fare per capire il personaggio. Ovviamente questa impresa tocca anche al lettore.

Edward Bloom ha sconfitto un gigante, ha aiutato una strega e in cambio ha ottenuto di conoscere il suo futuro, ha comprato una città e ha salvato una divinità delle acque ma la sua impresa più grande è stata convincere suo figlio che tutto ciò sia realmente accaduto.

Il romanzo è narrato proprio dal punto di vista del figlio di Edward che, giunto sul letto di morte del padre, riporta la cronologia delle sue avventure con uno scetticismo e un distacco che man mano cominciano a scemare per lasciar posto all'accettazione della realtà: non è importante che sia vero o no quello che è accaduto, l'importante è convincersi che possa essere accaduto. Il fattore essenziale è infatti pensare che qualunque cosa possa succedere solo se ammettiamo che possa farlo.

Lo schema narrativo di Big Fish non è originalissimo: abbiamo il solito rapporto difficile tra padre e figlio che si deve risolvere in prossimità della dipartita del primo con l'aggravante di una madre che ha sopportato le stranezze del coniuge senza mediare nei confronti del figlio. Ne scaturisce un rifiuto nei confronti delle straordinarie avventure raccontate da Edward al termine dei suoi viaggi nel corso degli anni e contestualmente un distacco dall'elemento immaginario che compone la realtà. Ma il figlio si ricrederà e anche questo seppur prevedibile e già visto è importante ai fini dell'epilogo della storia.

Wallace scrive con un'eleganza che rende il romanzo piacevole da leggere e da rileggere a patto che si sia sviluppato il giusto livello di immaginazione. Io lo farei studiare ai bambini per sviluppare quel distacco dalla realtà necessario per vivere da bambini e non da giovani adulti. Penso che l'importanza dell'elemento fantastico nella vita di un bambino sia decisiva per l'equilibrio nelle varie fasi della crescita e per scandire la giusta velocità nel passaggio dall'una all'altra senza che ci si ritrovi con ragazzini di 11 anni manchevoli della capacità di stupirsi di fronte a storie di streghe, draghi e giganti.

Big Fish restituisce il fantastico e l'immaginario alla loro giusta collocazione nella psiche di chi legge e rappresenta un piccolo capolavoro letterario che ci fa dialogare con il nostro bambino interiore.

A patto che prendiamo atto che sia possibile farlo.


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