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Biglietto per l’inferno

Creato il 18 maggio 2015 da Diletti Riletti @DilettieRiletti

SAI DOVE È TUA MOGLIE?

Mi sono ritrovato il biglietto in tasca, e prima di aprirlo l’ho tenuto in mano alcuni secondi, per essere sicuro di non averlo mai visto prima. E quando l’ho aperto, guardando ballare le lettere sbilenche, mi sono chiesto per prima cosa come avessero fatto a scriverlo così male.

Non ho pensato subito a lei, lo ammetto.

La domanda doveva percorrere molti chilometri di nervi e vasi sanguigni e muscoli prima di far tremare qualcosa qui. Ma è arrivata dove doveva, a suo tempo. Bang, bersaglio colpito. Non ucciso, non ancora. Ma ferito sì. Ho sentito un rumore di vetri rotti, sono quasi certo di essermi guardato intorno nel vagone. La gente leggeva dormiva parlava guardava i telefoni, come sempre; io sono rimasto appeso alla maniglia della metro come un pupazzo allo specchietto retrovisore, sballottato in qua e in là, senza espressione né parole. Quelle che c’erano sul foglio mi bastavano per riempirmi la bocca, le orecchie, la gola e il naso. Volevo vomitarle sul pavimento lurido, liberarmene, perché mi stavano soffocando, e avevo voglia di urlare, di chiedere aiuto. Ogni parola così bizzarramente scritta pulsava di vita propria, gonfia di altri significati, bozzolo sul punto di schiudersi su un verme rivoltante.

SAI tu, stupido, che ti allontani dopo un saluto normale in un giorno normale

DOVE in quale motel stanza auto, in quali braccia labbra lenzuola, in quale mondo che non conosci

È cammina parla viva ardente sudata gemente forse in lacrime forse ride

TUA, pensavi davvero che sarebbe rimasta tua – mia per sempre- senza mai essere altro che tua MOGLIE?

Eppure sono sceso dal vagone come sempre, ho chiesto scusa ad una signora che avevo spintonato, ho comprato un altro biglietto e mi sono infilato in un altro vagone, un altro treno che mi riportasse indietro.

Mi sono appeso alla maniglia che mi ha trasportato verso casa, uno schifoso tappeto magico sotterraneo il mio, Aladino ha perso il regno, ha perso la faccia, ha perso Yasmine. Mentre mi urlavo dentro, la gente guardava i telefoni parlava leggeva dormiva, come sempre. Quando il sospetto è entrato, finalmente, ha scavato piano – scavato fino ad annidarsi nel nucleo più molle dell’anima. Il parassita si nutriva ora delle mie paure e delle incapacità, delle impotenze. Tutto quello che non ero stato diventava cibo per il mostro che mi si muoveva nelle interiora.

Le scale mi sono scivolate sotto le suole, il pavimento era umido, ho salutato la portiera che lavava o forse no. Tutto normale, se non fosse stato per la dita che tremavano sulle chiavi, le chiavi che tremavano vicino alla serratura, la porta che tremava, attaccata al mondo bombardato.

Dalla cucina, l’odore nauseante del caffè ormai freddo mi ha scosso. Lei stringeva una sigaretta spenta tra le labbra pallide, pestando veloce i polpastrelli sulla tastiera. Ha smesso di fumare da qualche settimana, ma si rosicchia sempre le unghie. L’essere estraneo ha scelto quel momento per azzannare, serrando i denti sull’intestino ghiacciato.

Cosa fai?

Distratta, già altrove, di altri, ha alzato le spalle: Niente, niente… mi annoio, da sola.

Si annoia della mia presenza, appoggia la testa fra le mani, sbuffa. Ho aperto un cassetto della cucina e ho sfilato un coltello per la carne, carne da tagliare al sangue, perché il mostro è affamato, e posso tentare di stanarlo da me con quella lama o nutrirlo. Nutrirlo a morte. Le sono scivolato alle spalle: ha una canotta di cotone grigio, una matita infilata nei capelli, odore di sciampo e di cuscino ancora caldo, e la creatura orribile ha esitato.

Se te lo stessi chiedendo- e ha ridacchiato- tua moglie è qui e vorrebbe passare un po’ di tempo con te. Messaggio ricevuto?


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