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Biografia e saggio storico

Creato il 24 ottobre 2012 da Stukhtra

Buono in entrambi i ruoli

di Marco Cagnotti

Biografia e saggio storico
Questo libro stava nel posto sbagliato: per errore, va’ a sapere perché, l’avevo ficcato fra i romanzi in attesa di lettura invece che fra i saggi in attesa di lettura. In un certo pomeriggio di settembre, mentre me ne stavo scoglionato su una poltrona ad annoiarmi, impossibilitato (per colpa della labirintite) a fare qualsiasi cosa tranne leggere un po’, decisi di alzarmi (con grande cautela) e di ravanare (sempre con grande cautela) fra i romanzi cercando qualche storia con una sana funzione escapistica, che mi portasse fuori dal mio buco mezzo patologico e mezzo ipocondriaco. Facendo scorrere le dita lungo i dorsi dei romanzi, incocciai proprio in questo e, dopo aver preso a sfogliarlo, mi accorsi subito dell’errore: “Cazzo, non è un romanzo!”. Eppure… beh, niente: la vicenda sembrava acchiappante ed escapistica a sufficienza, e anche se non era un romanzo me lo trascinai sulla poltrona. Fu così che mi accompagnò per tutta la convalescenza.

“…non esiste un’unica storia globale; tutte le storie sono parziali”: queste parole di Mary Midgley riassumono bene la filosofia che ha ispirato Linda Colley nell’esplorare e poi narrare la vicenda di Elizabeth Marsh. Ne viene fuori una bizzarra commistione fra un saggio sulla storia della seconda metà del Settecento, ossia un’epoca di trasformazioni globali per tutte le civiltà, e la biografia di un singolo essere umano, che per quanto interessante è pur sempre una vicenda individuale. Nella scrittura di un ibrido c’è sempre il rischio di produrre una mezza chiavica, cioè un libro efficace solo per metà: o un’ottima biografia storicamente scadente, oppure un eccellente saggio di storia biograficamente superficiale. Colley evita questo rischio e scrive un libro che centra entrambi gli obiettivi.

Lo fa, certo, barando un po’. Perché di Elizabeth Marsh è rimasto ben poco: la narrazione autobiografica di un rapimento in Marocco, un diario di viaggio in India mai dato alle stampe, qualche lettera. Nient’altro di diretto. Il resto va ricostruito pescando fra gli scritti di amici e parenti. Di Elizabeth, alla fin dei conti, non c’è neppure un ritratto, sicché nemmeno possiamo sapere che faccia avesse. Con questa scarsità di documenti è ovvio che Colley fa quel che può. Racconta, quindi, e soprattutto contestualizza le vicende di questa donna piuttosto anomala per il suo ambiente e la sua epoca, considerando i viaggi e i trasferimenti intercontinentali che ha affrontato. Il risultato è un saltabeccare continuo dal livello della vicenda individuale a quello della vicenda familiare, su su fino a quello della vicenda collettiva. Ora, mentre per gli Imperi la documentazione è sterminata e per la famiglia Marsh è almeno ampia, nella storia personale di Elizabeth ci sono tanti buchi. Dunque Colley, dove non ha certezze, ipotizza: relazioni extraconiugali, crisi matrimoniali, scarsa propensione all’accudimento materno. Non che manchino gli indizi, certo. Ma talvolta l’impressione è quella di una sicurezza un po’ eccessiva, specie nel dare giudizi su ciò che Elizabeth sa o non sa, vuole o non vuole, oppure su come è o come non è. Insomma, certe affermazioni sembrano un po’ gratuite.

Linda Colley, L’odissea di Elizabeth Marsh, Einaudi

Piace: la scorrevolezza dello stile, il minuzioso lavoro sulle fonti.

Non piace: certe affermazioni un po’ gratuite.

Voto: 7/10


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