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“Blacklands” di Belinda Bauer

Creato il 28 novembre 2011 da Patrizia Poli @tartina

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“Blacklands”  di Belinda Bauer  Marsilio

Patrizia Poli

“Unputdownable” dicono gli inglesi, cioè che non si può mettere giù, non si può abbandonare, e questo è di sicuro l’aggettivo più adatto per riferirsi a “Blacklands” di Belinda Bauer.

Steven scava da solo nella brughiera nebbiosa. Non scava per divertimento infantile, scava per dare un senso alla sua vita, al suo dolore sordo e mai sopito. Mentre l’umidità gli s’incolla alla pelle, cerca il corpo di suo zio Billy, ucciso quando era bambino da Arnold Avery, serial killer rinchiuso in una prigione di massima sicurezza. Steven crede che, se riuscirà a trovare i resti dello zio, questo lo renderà di nuovo visibile agli occhi della sua infelice famiglia, di sua nonna, ancora tramortita dal dispiacere, di sua madre, abbrutita dagli stenti, e attenuerà il suo senso di frustrazione perenne, la sua impotenza di fronte ai bulli che lo perseguitano. Per raggiungere il suo scopo, per ritrovare Billy e rimettere il moto il cuore pulsante della sua casa senza gioia né amore dimostrato, Steven chiede aiuto proprio all’assassino, allo psicopatico Avery, il quale, non appena comprende di avere a che fare con un bambino, intraprende con lui un gioco feroce e perverso. Comincia così, mossa dopo mossa, un’ideale partita fra la vittima e il suo aspirante carnefice. La scoperta finale, da parte del protagonista, che “la vita è transitoria e occorre lasciare un segno” coinciderà con la perdita definitiva dell’innocenza e la sofferta conquista della maturità.

Sopra a tutto, intorno a tutto, giganteggia la brughiera, protagonista onnipresente del romanzo, con la sua erica bagnata, con gli affioramenti rocciosi, la ginestra spazzata dal vento. Nella tensione allucinata delle scene, nella capacità della Bauer di entrare in empatia con la mente del bambino e del serial killer, e nella sua conoscenza profonda dell’animo umano, il romanzo ricorda il migliore Stephen King.


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