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Blues al buio

Creato il 24 ottobre 2014 da Lucastro79 @LucaCastrogiova
Musica Foto di Robert Johnson

Published on ottobre 24th, 2014 | by radiobattente

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La storia di Robert Johnson e di come divenne il più importante musicista blues mai vissuto… grazie a un patto col Diavolo

Suonano dannati e inesorabili i rintocchi della mezzanotte.
Alla fine di un crocevia deserto e desolato, avvolto nel buio un bluesman senza talento, in ginocchio e lacerato dal dolore per la morte della propria amata, incontra un misterioso uomo in nero che in cambio della sua anima gli offre un dono da cui tutti i posteri avrebbero attinto come una fonte miracolosa di genialità inarrivabile. Quell’eletto del Diavolo era Robert Johnson, anima errante lungo le strade di un’America rurale, spaccata dalle diseguaglianze razziali e simbolo del fallimento inaccettabile dell’American Dream, il Sogno Americano di integrazione e redenzione per il suo popolo.
I tratti della sua biografia si perdono tra incertezze e leggende, contribuendo ad alimentare l’archetipo di un artista maledetto, depredato della sua anima in cambio di un talento chitarristico straordinario.


Nacque probabilmente nel 1911 nello stato del Mississipi, patria indiscussa del Blues. Robert ne assimilerà gli aspetti più sinceri e tradizionali legati all’originaria musica nera, incorrotta dall’affarismo delle case discografiche, aderendo al cosiddetto Delta Blues, nel più ampio scenario dell’autentico Country-Blues e ben lontano dal commerciale Classic Blues.
In principio non particolarmente capace di suonare la chitarra, fu indirizzato dal suo maestro e mentore Son House, esponente di spicco della corrente Country, verso l’armonica.
Si ritiene abbastanza certo che dopo aver trascorso qualche anno a Memphis, verso il 1930, la giovanissima moglie Virginia appena sedicenne muore di parto. A seguito di quello sconvolgente evento, Johnson inizia a vagare tra le varie città del Delta del Mississipi, cercando di restituire un nuovo senso alla propria esistenza e di lenire la ferita sanguinante con vizi dall’effetto placebo quali donne e alcol.

Le prime, in particolare, diverranno muse ispiratrici della misoginia radicata all’interno dei testi del musicista.
A quel punto, Robert scomparve misteriosamente per poi ritornare un anno dopo, con un talento tra le mani talmente incredibile da spingere Eric Clapton ad affermare: “Per me Robert Johnson è il più importante musicista blues mai vissuto. Non ho mai trovato nulla di più profondamente intenso. La sua musica rimane il pianto più straziante che penso si possa riscontrare nella voce umana”.
Risulta difficile da capire e credere come in così poco tempo sia riuscito ad acquisire una tecnica chitarristica stupefacente basata su un magistrale fingerpicking e complesse strutture.
Quando Keith Richards ascoltò per la prima volta una canzone di Johnson grazie a Brian Jones, domandò: “Chi è l’altro tipo che suona con lui?”, ignaro che il bluesman fosse un solista. Affermò successivamente che Johnson era in grado di suonare da solo come un’intera orchestra.
Un aneddoto racconta di come egli fosse capace di riprodurre nota per nota la musica udita distrattamente da una radio il giorno prima, in una stanza colma di gente.

Sorse dunque attorno all’alone indecifrabile di mistero che avvolgeva Johnson la leggenda di un patto stretto col Diavolo sullo scambio tra talento chitarristico incommensurabile e la propria anima.
La tesi più accreditata ipotizza che Robert, eterno vagabondo alla ricerca di sé, in quel frangente di tempo avesse incontrato il misterioso bluesman Ike Zinneman e ne fosse diventato l’allievo. La figura stessa di Zinneman appare velatamente gotica e oscura. Si raccontava infatti che egli amasse suonare tra le tombe dei cimiteri, e in molti ai tempi lo additarono come la personificazione stessa del demonio.
Robert Johnson morì il 16 agosto 1938 a 27 anni, perché se ogni demone vuole la sua libbra di carne, il Diavolo evidentemente pretende la sua allo scoccare di questa strana scadenza. Proprio come tanti altri musicisti che hanno vissuto attraverso l’inquietudine delle loro note, dei loro acuti, dei loro fraseggi, per poi dissolversi come fumo leggero di sigaro, lasciando alle generazioni successive il ricordo sbiadito di un sogno e i testi palesemente ispirati di chi ne ha cercato l’eredità.
E vien da pensare che forse è così che sarebbe dovuta andare, perché il genio e la sregolatezza a questo mondo si possono narrare soltanto attraverso la leggenda di una vita interrotta, unico modo per riuscire a inabissare la potenza immane di un mito.
Non sapremo mai se fu avvelenato con whiskey clandestino dal proprietario di un bar, nonché marito della sua amante; se fu accoltellato o se “morì in ginocchio, sulle sue mani, abbaiando come un cane” come scrisse Greil Marcus.

Spirò dopo alcuni giorni di agonia, nei quali scrisse il suo testamento spirituale invocato dalla frase “So che il mio Redentore vive e mi richiamerà dalla tomba”.
Prima che il demonio, lo stregone, arrivasse al cospetto della sua anima reclamando la sua parte, Robert Johnson ha potuto scrivere e donarci 29 incisioni grazie alle quali è stato possibile ascoltare la genesi della musica rock da un punto di vista strettamente musicale e simbolico/iconografico. Presentato verso la fine del ’36 allo scopritore di talenti Ernie Oertle e supportato dall’aiuto di quest’ultimo, Robert riesce a comporre in appena cinque giorni a San Antonio gran parte del materiale.

La sua musica evoca i demoni di chi non riesce a scorgere alcun modo per riuscire a non morire tra le fiamme della propria vita, di chi non riesce a lasciarsi il passato pregno di dolore alle spalle, vivendo di rimpianti e trascinando le carcasse dei propri momenti bui. E allora il peccato diviene l’obolo da pagare per il soddisfacimento delle proprie pulsioni umane, del tutto naturali e altrettanto distruttive. Le sue lancinanti melodie diventano la voce di quegli istinti che ci muovono verso il tradimento, l’assassinio, la mercificazione. E l’unica pace a cui possiamo tendere è la ricerca della verità, non la verità stessa.
Allora il diavolo delle sue canzoni diviene il simbolo della propria dannazione personale graffiata dalla morsa del sesso fine a sé stesso e dell’alcol, di quella forza distruttrice che in realtà risiede dentro di noi, e delle contraddizioni di un’America puritana rappresentata da predicatori e rigide comunità religiose che forniscono i dettami e le regole di condotta morale di ciascun individuo.
Egli fu un’autentica e precorritrice figura rock dalla proverbiale scenografia “donna (sesso), alcol (droga) e blues (rock’n roll)”, ma sarebbe quantomai riduttivo e inglorioso sintetizzare un animo così profondo e controverso attraverso un teatrale e inflazionato luogo comune.

Molti artisti successivi riusciranno a godere della gloria eterna eguagliando lo stesso spirito solitario e segnato. Brian Jones, Kurt Cobain, Jimi Hendrix, Jim Morrison, Janis Joplin, Ian Curtis, Nick Cave, Simon Bonney e tanti altri nomi che pulsano nel cielo nero dei miti.
Questo è Robert Johnson. Questo è il blues.
E il blues finisce sempre con le stesse parole con cui è cominciato.

Devo correre, il blues viene giù come grandine. La luce del giorno continua a tormentarmi…c’è un segugio infernale sulle mie tracce”

(Hellhound on my Trail – Robert Johnson)

Ilaria Coppolino

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