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Bohumil Hrabal, Una solitudine troppo rumorosa

Creato il 12 settembre 2013 da Sallyseton @martatraverso
Buon appetito, se state pranzando.
Una volata in treno domenicale, con l'aria condizionata al minimo e il vestito lato schiena appiccicato al sedile. In quest'ora e mezza pre - pomeridiana, oggi, ho divorato Una solitudine troppo rumorosa di Bohumil Hrabal (versione Einaudi 2006, ma il romanzo è stato self-published per la prima volta nel 1976).
   
La più nota opera di uno dei più noti scrittori della Repubblica Ceca, vissuto tra il 1914 e il 1997, racconta l'amore per la lettura & la letteratura attraverso un mestiere che lo stesso Hrabal ha svolto per un certo periodo della sua vita: lo sbriciola-libri. Ovvero, colui che pigiando un tasto fa scendere una pressa su tonnellate di carta fino a tramutarle in un parallelepipedo, e pigiando un altro tasto fa risalire la pressa, così che il parallelepipedo di cui sopra venga imballato e deposto alla mercé degli addetti all'industria cartiera.
Il protagonista di questo romanzo, il cui nome è Hanta, ogni tanto ruba qualcuno dei libri che sarebbe tenuto a distruggere: alcuni li dona, altri li tiene per sé. L'estrema manualità del suo lavoro, che svolge in completa solitudine da trentacinque anni (topi e mosche esclusi), lo porta a vagliare libro per libro e a conservare quanto ritiene più idoneo per la propria biblioteca personale.
Kant, Hegel, Schiller e molta poesia.
C'è una frase chiave in questo libro, più o meno a metà, che descrive bene l'essenza di questo personaggio: «...ed io per di più tutto questo lo vivrò tattilmente e essendo io contro la mia volontà istruito...». Due espressioni chiave, notate bene.
(1) tattilmente: il rapporto di Hanta con il libro è anzitutto con l'oggetto-libro; conosce ogni sfumatura dei cambiamenti di colore della carta prima e dopo la pressa, e il rumore che fa mentre cambia forma; sa distinguere l'odore dell'inchiostro puro e di quello unito alla carne dei topi e mosche pressati per errore; tutto è sensoriale, prima che letterario. Da qui la numero
(2) contro la mia volontà: il legame sensoriale ed estetico con l'oggetto-libro diventa poi, per forza di cose, viscerale con il suo contenuto. Che si tratti di fiabe o filosofia poco importa, il pressatore salva ciò che colpisce i sensi e ne fa poi l'uso che vuole.
Questo aspetto è spiegato meglio in un passaggio successivo, quando Hanta scopre - dopo trentacinque anni di lavoro, ricordiamolo - che in un'altra fabbrica una pressa meccanizzata opera con una produttività venti volte superiore: «...perché noi tutti, vecchi imballatori, eravamo istruiti contro la nostra volontà, ognuno aveva contro la propria volontà una biblioteca come si deve, fatta coi libri trovati nel deposito, e ognuno leggeva quei libri nella beata speranza che un giorno avrebbe letto qualche cosa che lo avrebbe qualitativamente cambiato». Ovvero: gli addetti alla pressa meccanizzata non si soffermano a guardare, toccare e odorare ogni libro, poiché l'industria meccanica esige tempi e modi di lavoro diversi.
La lettura non è delle più facili, i punti fermi latitano e le frasi durano righe su righe, ma la durata complessiva del romanzo è poco meno di un centinaio di pagine. Il tempo di un viaggio in treno. In quest'epoca strana, in cui la lettura (digitale o analogica che sia) ha preso il posto del libro (inteso come crasi di materia e parole), questo romanzo ci aiuta a ricordare che almeno un tempo le due cose coincidevano.
Cordialmente, 

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