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Bollywood - the Show: spunto per inquadrare un bug antropologico

Creato il 29 novembre 2011 da Sirinon @etpbooks

Bollywood: una scommessa vinta dall’industria dello spettacolo indiana anche se quel senso d’emulazione dell’occidente talvolta non riesce più a sposarsi con la tradizione del paese creando spettacoli dove ciò che più facilmente emerge è una mancanza di identità. Ma, dietro a questa apparente snaturalizzazione, si impone in quella nuova sorta di patria che è il villaggio globale, affascinando un pubblico di oltre 3 miliardi di persone.

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L’occasione per due brevi appunti è stato lo spettacolo, o meglio, “Bollywood - the Show”, rappresentazione che è metafora della stessa Bollywood. Narra dello scontro tra due generazioni della famiglia Marchant, scontro incarnato dalla figura di Shantilal Marchant, uno dei patriarchi del cinema indiano e sua nipote, Ayesha, divenuta coreografa.  Lo scontro avverrà sul piano dei principi allorché il nonno diverrà con la sua scuola, estremo difensore delle tradizioni indiane mentre la nipote, sostenitrice di un cinema fatto prevalentemente d’evasione e d’intrattenimento, tenderà più verso talune modernità di tipo occidentale. Morto il nonno, la nipote tornerà nella sua terra d’origine e darà vita, cercando una fusione tra le due scuole di pensiero in una nuova forma di danza dove tradizione e modernità troveranno un equilibrio. Sarà il perpetuarsi del sogno e l’essenza di questa neocultura che riesce, seppur per ben diversi motivi ad incantare la terra madre e ad incuriosire l’occidente.

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La versione presentata in Italia, dove ben poco si sa di questa moda che sembra più che altro stazionare e fare proseliti nei paesi anglosassoni, oltre che in Russia e nel medio oriente tutto, è stato non casualmente ridotto di oltre 45 minuti, ottenendo il duplice effetto di non risultare troppo gravoso per un pubblico ancora da educare e, di enfatizzare, seppur involontariamente, con certi strappi tra le varie sequenze, la tesi dello scollamento tra antico e moderno.

Doppia è la chiave di lettura di questo anomalo quanto oramai preponderante teatro indiano. Da una parte una valenza storico-economica che ci narra della nascita di questa moda che ha negli anni formato e consolidato una fiorentissima industria. Dall’altra, con spirito forse più critico, anche se il linguaggio della canzone e della danza mitigano l’effetto del dubbio, si apre una riflessione sulla vera identità di questa tendenza che, dietro la facciata dell’intrattenimento e della leggerezza, sposando quelle emozioni care ai giovani e che perfettamente asseverano un fine d’evasione dalla quotidianità, lentamente, anziché amalgamare, creano una frattura ancora più profonda fra tradizione e modernità.

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In pratica sembra quasi si ottenga l’effetto opposto, nella misura in cui certi contrasti anziché addolcirsi e perdersi nell’estasi della danza, della canzone, degli sgargianti costumi, si acuiscono ed il divario tra tradizione e modernità viene a colmarsi unicamente nell’avvicendarsi delle pene d’amore che, regolarmente, sono il filo conduttore di battaglie che sono spesso involucri per ben più profonde lotte sociali là, nel paese dove forse, storicamente, sono nate le caste. E non solo. Non dimentichiamo la massiccia presenza islamica, peraltro dimora di talebani e fondamentalisti, in quella regione del mondo. Nel mondo europeo ed americano la produzione di Bollywood ha sortito l’effetto di divenire un simpatico ed orientale divertissement, mentre in India e nei paesi limitrofi, rappresenta ancora, all’interno di una condizione sociale complessa e difficile, una sorta di miraggio, un modello da inseguire nei sogni, una spinta a liberarsi di certi vincoli conservatori ed un incentivo ad illuminare nel rispetto complessivo delle tradizioni, il proprio futuro.
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Di fatto l’industria che muove l’apparato di Bollywood, è ben cosciente di essere probabilmente uno dei pochi avvenimenti culturali di questo ancora nuovo palcoscenico globale, capace non solo di irretire la terra di nascita ma anche buona parte del globo, al punto da radicarsi esportando un background di scuole artistiche, soprattutto di musica e danza ma, addirittura, anche di pensiero. Certamente musica e danza dai più vengono millantate come molle universalmente riconosciute ed in effetti, rispetto ad altre manifestazioni artistiche, hanno nelle loro peculiarità l’indiscussa capacità di indurre e condurre l’emozione ma ciò va solo a parziale giustificazione di un tale successo e diffusione. E se pure è vero il coinvolgimento gestuale ed emozionale per ciò che fa da cornice alla narrazione, a ben altre riflessioni induce invece il filo narrante e la scala dei valori rappresentati nella saga bollywoodiana, valori che, in particolare l’occidente, ha, quanto meno nei suoi sogni di celluloide, da tempo diseredato e surrogato con altri, in tentativi che ben poca fortuna invero hanno sortito.
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L’amore, il patriottismo, il rispetto per i genitori, in particolare per la madre, l’onore della famiglia; questi gli ingredienti di cui si nutre la produzione bollywoodiana, ben lontana dal cinismo dilagante di certi filoni di soap-opera, volendo ad essa dare l’onere di rappresentare l’alter-ego occidentale. Unica in questo genere, laddove la produzione araba, così come quella cinese, risentono, nel genere della commedia e dell’intrattenimento, di vincoli culturali che risultano, fuori dal proprio territorio, stranieri in terra straniera, Bollywood risulta indigesta forse solo ed esclusivamente al fondamentalismo, islamico stavolta. Lo stesso fondamentalismo che aveva contribuito alla decadenza di Hollywood almeno in quei territori, si ritrova oggi a mettere in discussione una spinta quale quella bollywoodiana che proviene dall’interno, che esalta giovani e meno giovani e che, seppur in parziale deroga dei canoni di una tradizione conservatrice ed ortodossa per i comportamenti, lontani da ogni e qualsiasi burqua, sia esso fisico che mentale, non è di fatto contraria (quantunque spesso al limite per l’innato senso di pudore che permea tale cultura) né alle leggi coraniche né a quell’islam moderato che ne è rimasto affascinato, né, tanto meno, ai valori fondanti di quella società. 
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L’occidente ha seguito l’onda, attratto probabilmente per la stanchezza di una rappresentazione della realtà che Hollywood aveva reso distante dalla vita quotidiana, molto più di quanto non siano gli improbabili se non impossibili panegirici amorosi indiani. Sono possibilismi che quanto meno, hanno il buon gusto di restare nel mondo del sognabile senza emulare con improbabile realismo le vicende patinate di un mondo ricco, che ostenta la propria opulenza, quello stesso mondo che oggi, più di altri, non solo ha oramai visto decadere completamente la propria popolarità e l’intrinseco fascino rappresentato dalla molla del sogno ma che, oltre tutto, rischia di suonare a spregio di una civiltà - quella occidentale - che annaspa alla ricerca di un futuro da reinventare. Un futuro di valori che non possono provenire dalla corsa verso il nulla di cui si è alimentata negli ultimi decenni, ma solo da una rilettura attenta di quanto in questa corsa verso ciò che si è rivelato un bug antropologico e culturale, ha perso per strada, con buona pace di tanto progresso tecnologico che andrebbe messo al servizio di qualcosa che possa nuovamente chiamarsi ... valore e non unicamente di proiezioni statistiche e di ricchezze virtuali che abbiamo visto, fondati su una fragile essenza, capace di sparire - rischiando di travolger la speranza - con un semplice "delete". 


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