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di David Incamicia |
Comincio col dire che oggi sono felice come una pasqua. Sì, sono felice perchè Berlusconi ha perso ancor più che per la vittoria dei vari Pisapia e De Magistris. Non sto nella pelle e un brivido continua a percorrermi la schiena, perchè credo che col voto di ieri si sia sancita la fine non soltanto del personaggio sui generis che ha tenuto in ostaggio, sfruttando la sua potenza finanziaria e mediatica, le coscienze ed i cuori di gran parte degli italiani per quasi un ventennio, bensì perchè la feroce ondata popolare delle amministrative ha spazzato via ogni residua velleità di legittimazione sociale e morale di un ceto politico - tutto e senza esclusioni - protagonista in negativo del periodo più fosco che la vicenda civile e democratica di questo Paese ricordi da quando è stato abbattuto il regime fascista.
Godo e gongolo, pertanto, non per la sconfitta della "destra" nè brindo all'affermazione della "sinistra". Termini vuoti, categorie superate dalla storia e dall'incedere di una emergenza che è allo stesso tempo etica e culturale, oltre che sociale ed economica. "Ora bisogna bere, bisogna far risuonare la terra con libero piede" solo in onore della società civile, della gente comune e "normale", di quella Nazione che è finalmente riuscita a fare "boom!" e a liberare la propria voglia di cambiamento non in nome di steccati e appartenenze ma semplicemente per provare ad evitare il baratro. Per tentare, non a caso proprio nella solenne ricorrenza del 150° dell'Unità, di frenare il "sistema Italia" sull'orlo del precipizio. E se vogliamo dirla tutta, pare che ne sia stata capace andando oltre la miopia di tromboni esperti o improvvisati.
Le bandiere rosse, verdi, arancioni che sventolavano sospinte dalla "nuova brezza" di Milano e Napoli non possono sminuire la vera portata dello spartiacque del 30 maggio appena trascorso. Quei vessilli sono quasi passati inosservati agli occhi leggeri e patriottici della gente che ha riempito le piazze. E se qualcuno si ostina a rivendicare trionfi che non gli appartengono vuol dire che persevera, più o meno in malafede, nell'errore di sempre; significa che è destinato a rimanere indietro rispetto alla lungimirante forza morale dei cittadini. De Magistris e Pisapia hanno vinto innanzitutto in quanto persone, in quanto uomini coraggiosi che hanno saputo far proprio il desiderio di rinnovamento proveniente da comunità esauste, afflitte e angosciate da una strisciante "guerra civile", da quel clima inesauribile di scontro, di emergenza, di paura.
Hanno vinto - al di là di marchi e "marchette" - perchè hanno saputo dare di se' l'immagine rassicurante e protettiva di alfieri di un ritrovato sentimento di partecipazione e di responsabilità pubblica, a partire dal vitale bisogno di condivisione che è andato via via montando, anche a livello privato, nella collettività. Proprio l'esatto contrario del populismo incarnato da Berlusconi stesso e dall'antiberlusconismo da caserma, due facce di un'unica medaglia ormai consunta dalla ruggine. E' stata, insomma, l'apoteosi della Politica intesa nella sua accezione più autentica: il rapporto semplice e diretto fra popolo e suoi potenziali o effettivi rappresentanti.
Nessuno può e deve dimenticare l'inequivocabile lezione - "moderata" poiché saggia - impartita dalla base sociale alla "casta" in questi due turni elettorali. E prima ancora nelle numerose, pacifiche e indignate manifestazioni di giovani e donne, di precari e disoccupati, di portatori di vecchi e nuovi disagi. L'avevo scritto qualche giorno fa analizzando le ultime analisi demoscopiche diffuse da Istat e Censis: una nuova Italia sta nascendo nonostante tutto, ribelle e orgogliosa, sulle ceneri di quell'italico artifizio passato alla storia (si spera in senso letterale) come "seconda repubblica". I colpi di coda di chi ha tutto da perdere e nulla da guadagnare da questo neo risorgimento potranno essere ancora molti, ma ormai la diga è piena di crepe... L'Italia s'è desta!
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