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Boris - il cult

Creato il 03 marzo 2011 da Albertogallo

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BORIS

Nei giorni in cui comincia a circolare il trailer di Boris – Il film, la mente non può che tornare alle tre già mitiche stagioni di Boris, la serie tv. Che, per quanto mi riguarda, è forse l’unico prodotto di fiction veramente valido e originale partorito dalla televisione italiana negli ultimi – boh? – vent’anni.

L’azione si svolge sul set di una produzione televisiva di quart’ordine (vedi alla voce “metatelevisione” – ecco, ora che l’ho detto posso andare avanti tranquillo) chiamata Gli occhi del cuore, parodia di una di quelle serie tv sentimentali che affollano i (veri) palinsesti italiani. Protagonisti sono il regista di questa fiction René Ferretti (ipocrita e geniale, un “autore” venduto alla tv commerciale), la severissima – e un po’ triste – assistente alla regia Arianna, l’attore principale Stanis La Rochelle (rompiscatole e pieno di sè), lo stagista non pagato Alessandro (unico personaggio normale e razionale di Boris, rappresenta l’ipotetico punto di vista dello spettatore) e il trucido capo elettricista Biascica. Accanto a loro una pletora di folli che vanno e vengono e soprattutto fanno tanto casino, impedendo alla troupe – già di per sè non proprio efficientissima – di portare avanti il lavoro.

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Se c’è una serie cui Boris potrebbe essere paragonata, si tratta senza dubbio di Scrubs: entrambe sono molto divertenti, entrambe riescono ad accostare in modo credibile leggerezza (molta) e tristezza (ogni tanto), entrambe si svolgono in uno spazio limitato (l’ospedale, il set) ed entrambe fanno della stronzaggine dei protagonisti i loro punti di forza. Il personaggio di Alessandro, inoltre, è molto simile a quello di J.D., entrambi giovani ed ingenui rappresentanti della razionalità in un contesto di – per quanto ridicoli – malefici pazzi. Ma ovviamente le differenze tra i due serial sono molte, e risiedono quasi tutte nell’esilarante e originalissima presa per il culo della televisione (e di conseguenza della società) italiana portata avanti da Boris. Con una cattiveria senza paragoni, attraverso Gli occhi del cuore ci viene sbattuto in faccia tutto il marciume del piccolo schermo italiano e del mondo che ad esso gira intorno: corruzione, inefficienza, droga, qualità scadente dei prodotti, ingiustizie, raccomandazioni, interferenze politiche… C’è lo stagista che lavora tutto il giorno e non vede una lira, l’amante del grande capo che diventa protagonista della serie nonostante le sue dubbie capacità recitative, il direttore della fotografia che non fa niente tutto il giorno e si prende il merito delle idee degli altri… Insomma, signore e signori, ecco a voi una delle satire più graffianti del sistema Italia, un universo lontano anni luce dai concetti di meritocrazia, solidarietà e duro lavoro.

Ma i meriti di Boris non si esauriscono qui. Un grande lavoro, ad esempio, è stato fatto sulla costruzione dei personaggi, che – come nelle migliori serie internazionali – sono disegnati talmente bene da sembrare reali, con tutto ciò che ne consegue in termini di immedesimazione spettatore-personaggio. E questo – ciò che rende Boris ancora più geniale – nonostante l’esasperata caricatura dei personaggi stessi, che riescono dunque a essere tanto realistici quanto iperbolici nelle loro manie, nei loro difetti e nella loro perfidia. Così come riescono a essere allo stesso tempo odiosi e simpatici: come non voler bene al supercafone Biascica, che aspetta da anni, inutilmente, gli straordinari di Libeccio (altra fiction immaginaria cui l’elettricista aveva lavorato prima degli Occhi del cuore)? Come non affezionarsi a René Ferretti, il cui cinismo sembra essere nato più che altro dalla frustrazione per anni e anni passati a fare un lavoro che odia? Come non immedesimarsi, almeno un po’, nella gelida Arianna, che spesso più che severa sembra essere tanto sola? Paradossalmente il personaggio meno riuscito sembra essere proprio Alessandro, troppo realistico per risultare particolarmente simpatico (anche se la sua condizione lavorativa è così tipica, in Italia, che molti vi si saranno ritrovati).

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Tutto ciò tenendo bene a mente, comunque, che rispetto ai grandi serial americani Boris è una produzione “povera”. Condizione che inevitabilmente si riflette sulla qualità estetica del prodotto, imparagonabile a quella delle produzioni milionarie d’oltreoceano. Boris è sicuramente un serial ben fatto, distante anni luce da tutte le altre fiction italiane, ma rimane pur sempre un prodotto “artigianale” (specialmente la prima stagione: dopo, con il grande successo di pubblico e critica, devono essere arrivati più soldi), cosa che emerge dalle scenografie, molto minimali e più o meno sempre le stesse, dalla presenza di numerosi goof, dalle non grandissime ambizioni di regia e fotografia… Si tratta in ogni caso di un piccolo limite che è stato aggirato bene: immagino, per esempio, che gran parte del budget sia stato utilizzato per il cast, ricco di volti noti del cinema e della tv italiana, attori di conseguenza spesso impegnati in parodie dei propri vecchi personaggi. Ci sono tra gli altri Pietro Sermonti (già in Un medico in famiglia), Caterina Guzzanti (già nei programmi di Serena Dandini e della Gialappa’s), Paolo Calabresi (attore teatrale ma anche Iena su Italia1), la stellina del cinema per ggiovani Carolina Crescentini e Antonio Catania (già interprete di film come Pane e tulipani, Segreti di stato e alcune pellicole di Aldo, Giovanni e Giacomo). Il protagonista assoluto della serie, Francesco Pannofino, è invece uno dei maggiori doppiatori italiani. Molto nutrita anche la schiera degli special guest, tra cui spiccano Corrado Guzzanti (protagonista di quelli che possono essere considerati i momenti di Boris più esilaranti in assoluto), Marco Giallini, Roberto Herlitzka, Laura Morante e Giorgio Tirabassi. La musica dei titoli di testa è affidata invece nientemeno che a Elio e Le Storie Tese.
Una serie tv assolutamente geniale e adorabile, uno dei pochissimi motivi per non disprezzare completamente il nostro piccolo, vituperato e lottizzato schermo. Appuntamento al cinema il 1 aprile.

Alberto Gallo


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