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Boten, un fallimento cinese-laotiano

Creato il 17 settembre 2014 da Pietro Acquistapace
Border_Laos_China

Uno scorcio di Boten

Il Cina il gioco d’azzardo è proibito, questo il punto di partenza. Il punto di arrivo è una città fantasma, Boten, sul confine tra Laos e Cina. La costruzione di isole dedicate proprio al gioco d’azzardo, costruite con capitali cinesi, è un fenomeno presente in varie parti del sud-est asiatico, alcuni esempi sono Chiang Saen in Thailandia o Bokor in Cambogia. I rischi, e gli interessi, legati a queste operazioni finanziarie sono molteplici e coinvolgono la popolazione locale, spesso con conseguenze disastrose. La reputazione della Cina non ne giova di certo, aggravando le accuse di sfruttamento e neocolonialismo che al governo cinese vengono lanciate da più parti.

Nel caso di Boten lo stesso governo laotiano, come i governi degli altri paesi dove simili progetti vengono permessi, non può certo essere ritenuto una vittima. Attratto dai capitali cinesi il Laos concesse nel 2002, alla compagnia Boten Gold Land - costituitasi ad hoc – lo sfruttamento quasi esclusivo di un’area di circa 52km², facendo di Boten una Zona Economica Speciale. Oltre a rendere una parte di Laos quasi indipendente, viste le concessioni fatte, le autorità laotiane stabilirono un regime di esenzione dal visto per i cittadini cinesi diretti alle sale di gioco della cittadina.

Gli originari abitanti di Boten vennero semplicemente allontanati dalle loro case, con un indennizzo di circa 800$, e trasferiti in un villaggio situato poco lontano. Nel frattempo Boten, ormai mecca del gioco d’azzardo, cresce da 2mila a 10mila abitanti, mentre intorno ai tavoli verdi viene a crearsi un sottobosco di attività criminali non da poco: soprattutto prostituzione – di ogni ordine e grado – ma anche sexy shop, vendita di farmaci proibiti – ricavati da animali in via d’estinzione – e molto altro. A far precipatare la situazione il giro di strozzinaggio legato ai casinò.

Alberghi di lusso, centro commerciali ed un campo da golf a diciotto buche. Gli investimenti fatti a Boten superarono i 250milioni di dollari, proveniendo da varie parti del mondo: Thailandia, Singapore, Russia ma anche Regno Unito ed Ucraina, senza contare il paese più coinvolto, ossia la Cina. I vertici della Boten Golden Land erano stanziati ad Hong Kong, ma nemmeno la rivista Forbes è riuscita a risalire all’origine del loro denaro. Il pericolo di riciclaggio legato alla criminalità organizzata in questo tipo di progetti è un rischio concreto. Il denaro di Hong Kong ed il dirigismo di Pechino posso essere una miscela esplosiva, nel momento in cui il malaffare entri nei gangli della burocrazia cinese.

Tuttavia la mancanza di limiti degli “imprenditori” di Boten spinse il governo laotiano ad intervenire, sollecitato anche dalla stessa Cina. La scoperta che cittadini cinesi erano tenuti ostaggio nei casinò a causa dei debiti contratti fu la miccia scatenante, molto più del fatto che Boten era diventata di fatto parte del territorio cinese: la lingua parlata era il cinese, gli abitanti erano in gran parte cinesi e le transazioni commerciali venivano fatte in Yuan, la moneta cinese. Nel 2011 venne abolito il regime visa-free per i cittadini cinesi e Boten venne declassata a Zona Economica Specifica, con un incremento del controllo delle autorità laotiane sui progetti in corso.

Oggi di Boten restano solo lussuosi edifici abbandonati, mentre la vita dei vecchi abitanti laotiani continua a scorrere. Le autorità del Laos hanno firmato nuovi contratti relativi alla zona, alcuni addirittura con gli stessi investitori del passato ma nulla sembra essera ancora stato fatto. Resta la consapevolezza di una forma di investimento economico che in nome dello sviluppo – di cosa? – distrugge intere aree del Sud-Est asiatico.

Fonte immagine Wikicommon


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