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[Both sides now] From win and lose, and still somehow… Ovvero… Metti una sera a cena Cineclan e Zeus davanti a “Million Dollar Baby”…

Creato il 30 settembre 2015 da Cineclan @cineclan1

Dalle mie parti si dice “l’uccello trova il suo simile e s’accompagna”… Nulla di sessuale, amicici, come siete maliziosi! Era solo per dirvi che la follia tende ad attirare altra follia e se non bastasse la nostra intrinseca, ci pensano i nostri amici virtuali a rincarare la dose. Sì, perché il nostro amico Zeus ci tenta con proposte indecenti e noi che resistiamo a tutto meno che alle tentazioni come potevamo dirgli di no? O siamo state noi a tentare lui? Le dinamiche sono alquanto confuse nella nostra mente psicolabile… Vi basti sapere che è da due menti eccelse che nasce “Both sides now” ovvero la nuova rubrica di Cineclan e Music For Travelers! Ovvero prendete un film e/o una serie tv, datela in pasto a due menti poco raccomandabili e vedete cosa ne viene fuori!

Dal nostro personalissimo punto di vista questa è una collaborazione perfetta per svariate ragioni che andiamo qui brevemente a elencare:

  • Lui è un uomo, noi siamo una donna: rappresentiamo perfettamente i due emisferi di questo strambo mondo;
  • Lui dice che noi ne capiamo di cinema, noi diciamo che lui ne capisce di musica: ognuno di noi sopperisce alle carenze altrui per creare la divinità perfetta!
  • Lui è costante e metodico, noi schegge impazzite incostanti e fancazziste: insomma speriamo che ci redima sulla strada della nostra personale perdizione;
  • Perché siamo noi… Semplicemente!

E da cosa poteva iniziare questa scoppiettante collaborazione se non da uno dei film più angst della storia del cinema degli ultimi vent’anni?!?! Perché noi siamo Queen in the Angst ed entrambi abbiamo una passione per il vecchio zio Clint… E allora rullo di tamburi… Squilli di tromba… Per la prima puntata di “Both sides now” abbiamo scelto Million Dollar Baby!!! *applausi a ripetere*

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Noi di Cineclan vi abbiamo scartavetrato le ovaie con la bellezza cinematografica della boxe, l’antica arte di darsele di santa ragione per affermare se stessi. E anche se avremmo potuto parlarne senza rivederlo, perché evitare di farsi del male? *il masochismo governerà il mondo un giorno, sappiatelo!*

E allora ci siamo immerse per l’ennesima volta nella storia di Frank e Maggie e abbiamo pianto, oh quanto abbiamo pianto, perché la boxe è come il cinema, perché nella boxe, come nella vita (almeno nella nostra) e nel cinema, si fa tutto al contrario, ma “se arretri troppo non combatti più”. E allora abbiamo notato che Maggie appare per la prima volta nella penombra, come accade ai film al cinema.

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E da quella penombra irrompe nella vita di Frank e la sconvolge. E se la nostra immedesimazione in Maggie dieci anni fa aveva delle ragioni, ragioni che affondavano le proprie radici nel bisogno di essere amati e di essere protetti, oggi quelle ragioni sono diverse. Sono ragioni ancora più antiche, sono ragioni che non hanno spiegazione, che nascono da quel nocciolo duro che ognuno di noi chiama “Io”, perché “Compio 32 anni, signor Dunn. E festeggio il fatto che ho passato l’ennesimo anno a lavare i piatti e a fare la cameriera, cosa che faccio dall’età di 13 anni. E secondo lei dovrei compierne 37 prima di diventare un pugile decente. E dato che è un mese che tiro pugni a questo sacco veloce senza risultati, comincio a rendermi conto della verità. L’altra verità è che mio fratello sta in galera, mia sorella truffa la previdenza sociale fingendo che suo figlio sia ancora vivo, mio padre è morto e mia madre pesa oltre 140 kg. E se dovessi ragionare a mente fredda, dovrei tornare a casa, trovare una roulotte usata, comprarmi una friggitrice e dei biscotti. Il problema è che mi sento bene soltanto quando mi alleno. Se sono troppo vecchia al
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lora non mi resta niente. Le basta come spiegazione?
” E allora noi lottiamo con Maggie, lottiamo per quella magia che solo il cinema riesce a donarci, quella magia “di rischiare tutto per un sogno che nessuno vede tranne te.”

E allora facciamo nostro il mantra di Frank “proteggersi sempre, continuamente”, ma come si fa a proteggersi dalla vita, dal proprio sogno? Quello non può insegnarcelo nessuno. E’ un po’ come volersi proteggere dall’amore. Non ci si protegge dall’amore. Ci si affida e basta. Nel bene e nel male. E allora quel Mo Cuishle risuona nelle nostre orecchie. Mio tesoro, mio sangue. E allora comprendi che sei tu il tuo sangue, il tuo tesoro. E’ come quando inizi a perdere piccoli pezzi di te, lentamente, inesorabilmente… Sino a quando non ti resta che un briciolo di dignità e quella nessuno può togliertela… Mai!

Winners are simply willing to do what losers won’t

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*din don – Breve stacco pubblicitario prima del secondo tempo* E se pensavate che fosse finita qui, beh, allora non ci conoscete abbastanza… Signore e Signori, per la prima volta su questi schermi abbiamo l’onore di avere Zeus che ha avuto il potere di commuovere noi vecchie ciabatte ciniche… *si accoccola tra virtuali lenzuola e si gode la poesia… A dimostrazione che anche gli dei hanno un cuore*

Quante volte avete letto che i film di Eastwood sono un percorso di redenzione? Million Dollar Baby non fa eccezione, ma non è solo questo. La pellicola mescola, certo, la redenzione, ma ci aggiunge altri due grandi temi: l’amore e il fato. O le scelte. Perché tutto il film è percorso da questa impalpabile trama di scelte e decisioni. Tutto sembra preordinato affinché sia una successione logica fino ad un determinato fine, lo sappiamo, ma sono le scelte che lo contraddistinguono, che fanno di Million Dollar Baby un grandissimo film.

I personaggi devono accettare questo stringersi inestricabile dei fili della redenzione, dell’amore e del fato/delle scelte. Non ne sono esenti. Perché sono essi stessi i promotori di tale aggrovigliarsi, non c’è un Dio superiore che muove le pedine sulla Terra, non c’è una religione in cui trovare rifugio o sollievo. La scelta viene chiesta al protagonista, non a Dio. Questa responsabilità, enorme in tutte le sue sfaccettature, la possiamo apprezzare sin dalle prime battute della pellicola. Già dai primi minuti vediamo che Million Dollar Baby è strutturato su due storie diverse, ma complementari. Due percorsi che partono da punti talmente distanti da farti credere di non poter arrivare ad un incontro. Il primo percorso è quello che parte dall’amore, un amore che ha più in comune con l’ostinata sopravvivenza che con un sentimento sdolcinato, per arrivare alla redenzione. Il secondo percorso, invece, è inverso: parte da un processo lungo, tormentato, di redenzione per arrivare, infine, all’amore. In una concezione così pura che emerge dalla trama come un faro nel buio.

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Il punto d’incontro fra i due percorsi umani è quello della scelta. O del fato.

Come altro si potrebbe chiamare lo sgabello dove il pugile trova riposo dopo “aver cercato il proprio rispetto distruggendo quello altrui”? Questo elemento, così insignificante sotto certi aspetti rispetto alla grandezza della storia che lo circonda, è la chiave di volta dell’intero film. Senza di esso, il film sarebbe incompleto. Senza di esso, la crescita dei protagonisti sarebbe monca.

Per questo motivo, mi chiedo, possiamo rimproverare un fato superiore per aver fatto trovare lo sgabello in quella posizione in quel momento? O dobbiamo biasimare il narratore/pugile (Morgan Freeman), che poi potrebbe essere un’incarnazione del pubblico, di aver scelto di non seguire Clint Eastwood/Frankie come secondo durante l’incontro della vita di Hillary Swank/Maggie?

Come vedete, scelta e fato sono indissolubili ed elementi cardine di Million Dollar Baby.

Quell’ultimo combattimento è il momento in cui il fato opera la sua magia e inverte le polarità delle strade dei protagonisti. L’amore di Maggie, ormai sublimato fino a diventare un processo di redenzione da una vita dura, fa largo all’accettazione di una condizione filiale che la ragazza non ha mai conosciuto appieno.

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E la consapevolezza acquisita di questo ruolo di figlia coincide con l’accettazione di una caducità della vita; l’accettazione, quasi venata di inevitabilità, che raggiunta la vetta c’è la caduta, per quanto in alto si sia cercato di volare. Dall’altro lato, invece, c’è il processo di redenzione di Frankie: redenzione da un non-ruolo paterno, dai demoni e dal senso di colpa per le scelte compiute nel passato (quanta poesia nel ruolo di ex-cutman, di colui che rammenda i pugili, di Frankie; cutman che, bravissimo nel rimettere a posto le lacerazioni altrui è incapace di fermare il lento sanguinamento delle proprie ferite). Questo processo porta all’amore. Amore per colei che è diventata una figlia, per una condizione genitoriale ritrovata. Per aver formato, anche seppur un brevissimo istante, una famiglia. Un padre ed una figlia.

Per aver trovato entrambi, in un sublime momento di estraniamento da tutti, un po’ di pace.

Per questo è la scelta consapevole ed umana, e non un acritico destino/fato, quello che contraddistingue Million Dollar Baby.

La scelta di amare anche quando questa fa male, sia essa lo sport o la vita.

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