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Boyhood, la recensione: Linklater e il cinema in progress

Creato il 18 febbraio 2014 da Oggialcinemanet @oggialcinema

18 febbraio 2014 • Festival di Berlino 2014, Speciale Berlinale, Speciale Festival OAC, Vetrina Cinema •

Il giudizio di Claudia Catalli

Summary:

E’ il film della 64ma edizione della Berlinale. L’unico ad aver riscosso grida di giubilo e applausi esagerati sin dalla prima proiezione stampa. L’unico ad aver saputo emozionare, commuovere, far sorridere e smarrire lungo un viaggio esistenziale di 12 anni. Dietro la macchina da presa di Boyhood c’e’ lo stesso Richard Linklater che ci ha abituati ad un cinema “in progress”, la cui missione dichiarata e’ (in)seguire storie e personaggi nel tempo. Con la trilogia sentimentale Before Sunshine – Before Sunset – Before Midnight il regista texano aveva coperto una temporalita´di quasi vent’anni, raccontando l’evoluzione di una storia d’amore nata per caso su un treno per Vienna. Proponendo, ogni dieci anni circa, una sbirciata cinematografica nella vita dei protagonisti per mostrare cosa ne fosse stato di loro.

L’operazione di Boyhood e’ analoga ma diversa: contiene gia´in se’ ogni sequel possibile e sin dall’inizio l’intenzione era un racconto progressivo, anno per anno. In pratica si batte il primo ciak consapevoli di darsi appuntamento l’anno successivo, e avanti cosi’ per 12 anni. Alla base resta la stessa voglia di esplorare e catturare lo scorrere del tempo della trilogia Before, quel fluire dell’esistenza umana che qui si traduce in drammi familiari, avventure sentimentali, scene di ordinaria follia dentro casa. E ancora, traslochi, scelte, rinunce, amicizie, scuole, college, delusioni, allontanamenti, riavvicinamenti, lavoro, successi, fallimenti – tutto mescolato, tutto insieme, nel tenero squilibrio di ordine e caos che governa le nostre vite.

Boyhood

Boyhood

Ritroviamo Ethan Hawke, che insieme a Patricia Arquette forma una coppia scoppiata di genitori in blue jeans, separati e moderni, comprensivi e imperfetti, che a inizio film hanno 32 e 34 anni, laddove i loro figli, interpretati da Ellar Coltranee da Lorelei Linklater (figlia del regista) ne hanno 6 e 8.

Raccontare l’infanzia, l’adolescenza, i dettagli insignificanti che teniamo fermi nella memoria, e insieme l’altalena delle vicende umane, le crisi delle famiglie, delle persone, il non-senso che fonda il quotidiano: fa tutto questo Linklater. E bandisce i miracoli da make up, utilizzando come miglior trucco ed effetto speciale la vita stessa, che forgia e solca i volti degli individui, cosi’ come le anime. Si dica pure che il film racconta ‘solo’ la crescita di un ragazzo dalle elementari al college: se lo storico francese Jules Michelet sosteneva che ‘’ciascun uomo è un’umanità, una storia universale’’, Linklater lo dimostra ampiamente sul grande schermo.

Di Claudia Catalli per Oggialcinema.net

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