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Brain Damage

Creato il 10 luglio 2010 da Lucas

«Non appena aprirò la porta e mi affaccerò alle scale, saprò che sotto comincia la strada; ma non dello stesso stampo ormai accettato, non le case che sappiamo, non l'albergo di fronte: la strada, la viva foresta ove ogni istante può piovermi addosso come una magnolia, ove i volti nasceranno man mano che li guarderò, quando andrò avanti, quando con i gomiti e le palpebre e le unghie andrò scrupolosamente a fracassarmi contro la pasta del mattone di cristallo, e la mia vita sarà messa in gioco avanzando un passo dopo l'altro per andare a comperare il giornale all'angolo»¹.

Massì in fondo, che farsene della libertà di stampa, soprattutto lui cosa se ne fa della fastidiosa libertà di una parte di stampa, visto che l'altra parte, considerevole parte, di quella libertà, lui, ne è proprietario.

Il mondo non venga dunque raccontato, la vita pure: si viva l'attimo, lo si colga, si mangi il frutto e dopo – lo so ch'è difficile – se ne sputi il nocciolo in faccia a lui, il pusillanime povero tapino perennemente perseguitato da chi non lo approva.

L'eterno presente è alla nostra portata: cancelliamo il passato, rivolgiamoci ai polpi pel futuro. Il mondo è tutto qui: inutile descriverlo, indagarlo, farne un reportage. A cosa serve in fondo il giornalismo libero? È dimostrato: ciò che viene raccontato dalla libera stampa non libera il mondo, lo fa solo più tristo, più becero, più pronto ad accogliere dentro sé il despota che tutto tranquillizza con quella sua immarcescibile faccia di culo.

Il giornalismo libero, dopo tanti anni di esercizio e di applicazione, non è riuscito a formare una maggioranza di cittadini consapevoli di cosa voglia dire, appunto, libertà, democrazia, costituzione, parlamentarismo. Il giornalismo libero è stato sconfitto nella sua pretesa d'incarnare il quarto potere dello Stato. Potere, infatti, in democrazia vuol dire volere, e la volontà (della stampa libera) si è rivelata impotente.

Ieri, nei quindici minuti d'intervista (rilasciata a Paolo Valentino del Corsera), Obama ha parlato di amicizia, di concordia e della particolare luce della Toscana: lo vorrei qui, adesso, accanto a me a osservare se davvero questa luce offra una speranza, o se invece dia solo spazio al pianto (vedi post precedente).

Io piango, ma non mi lamento perché so che dopo queste lacrime, inevitabilmente, il sorriso tornerà a prevalere. È questa, però, una cosa che mi secca: lo stare disincantato ad assistere a questa invasione di suprema imbecillità e ottusità e non potere fare altro che ridere.

The lunatic is in my head

¹Julio Cortàzar, Storie di cronopios e di fama, Buenos Aires 1962 (trad. di Flaviarosa Nicoletti Rossini, Einaudi, Torino 1971).


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