Magazine Diario personale

Buoni da mangiare, difficili da pronunciare (Palačinke, Matavilz, Lubjanska, Ražnjići)

Da Bloody Ivy
Palačinke

Palačinke

What’s in a name? That which we call a rose
By any other word would smell as sweet.

(Romeo and Juliet – William Shakespeare)

Ossia Palačinke, Matavilz, Lubjanska, Ražnjići sono traducibili con i termini più conosciuti ed orecchiabili di Omelette, Valeriana, Cordon Bleau, Spiedini, o si tratta di altro?
È come per i crostoli… i dolci che si preparano a Carnevale. Conosciuti con un sacco di altri nomi come chiacchiere, bugie, frappe, cenci, crogetti, galani, chiacchiere, cioffe, grostoli, cunchiell, merveilles, fiocchetti, galan, sosole, gale, gasse, rosoni, sfrappole, guanti, intrigoni, galarane, saltasù, sfrappe, sprelle, lattughe, maraviglias, risole, stracci, lasagne, pampuglie, manzole, garrulitas, fiocchetti.. La ricetta più o meno è la stessa a parte insignificanti varianti, più personali che regionali (i miei rigorosamente con grappa nell’impasto, perché profumino di grappa anche da lontano), però i nomi son uno diverso dall’altro. Mi chiedessero se gradisco dei saltasù, penserei a qualcosa di simile ai saltimbocca alla romana, per le manzole mi verrebbe in mente la carne di manzo e per le lasagne non c’è bisogno di dirlo. A Trieste, per l’appunto, queste cose qui le chiamiamo crostoli.

C’è altro che a Trieste e zone limitrofe chiamiamo alla nostra maniera, sicuramente perché oltre che porto di culture diverse lo siamo anche per le gastronomie. Come anticipato, per esempio, Palačinke, Matavilz, Lubjanska, Ražnjići; ma non sempre la traduzione italiana calza a pennello.

PalačinkeMamma le chiamava omelette. Non ho mai saputo quanti anni di francese avesse effettivamente studiato ai suoi tempi a scuola, ma me lo ricordava in continuazione. Secondo me millantando, perché ricordo che per convincermi della sua competenza linguistica ripeteva ad oltranza la frase je ne sais pas français che non mi pareva di certo la più indicata per far sfoggio dei propri saperi. Solo ‘da grande’ venni a sapere che, sì, magari era un termine francese, ma anche in italiano si chiamano così, perchè a chiederglielo: “mamma ma perché chiami le palacinke omelette?” rispondeva con “perché in francese si chiamano così e io ho studiato francese”. Non trovando nessun valido nesso logico nella sua risposta, io continuavo a chiamarle come tutti quanti, cioè palacinche.Il termine palačinke è sloveno e nei menù dei ristoranti lo si trova scritto così o, anche per ragioni di ‘tastiera italiana’, come si pronuncia (palacinche o palacinke). Si ipotizza arrivi dall’Ungheria dove si chiamano palačsinte (Trieste faceva parte dell‘Impero austro ungarico, quindi l’ipotesi è più che verosimile, e in Austria son conosciute con il nome simile di palatschinken); insomma, qualcosa che era già tipico ai tempi degli Asburgo, e che l’imperatore stesso avrà mangiato ed apprezzato.

Valerianella, Matavilz

Valerianella, Matavilz

L’impasto è quello delle omelette, cioè sono omelette, ma con il nostro “tocco personale” per cui continuiamo orgogliosamente a chiamarle palacinche. Si possono farcire con quel che si vuole, ovviamente, ma quelle tradizionali sono rigorosamente di due tipi: 1 – ripieno con marmellata di albicocche, poi si piegano in quarti e si schizzano con il rum (sono anche la tipica merenda per bambini, in qual caso senza liquore ovviamente); 2 – ripieno con la crema di noci (200 gr noci, 1/8 panna dolce, 2 cucchiaini di miele, un pizzico di cannella, 1 bustina di zucchero vanigliato – si scaldano la panna e il miele e poi si uniscono gli altri ingredienti), spalmata ancora calda sulla palacinca che va richiusa a triangolo, in finale, una pioggia di cacao amaro risulta sempre gradita.
La cosa importante, grazie a cui puoi distinguerle dalle omelette già da lontano è che le palacinke non si arrotolano bensì si piegano a triangolo. Lo ammetto, come storia potrebbe ricordare un po’ Gulliver’s Travels di Jonathan Swift,
quando Gulliver apprende dagli abitanti di Lilliput che la diatriba irrisolvibile con l’altra città di Blefuscu riguarda il modo corretto di spaccare l’uovo: dall’estremità più grossa o da quella più piccola? Magari questo non sarà mai il grave motivo scatenante inimicizie e guerre, però cerchiamo di non confonderci: le omelette si arrotolano, le palacinke vanno piegate a triangolo.

:)

Matavilz traducibilissimo con valerianella, più resistente al freddo dell’altrettanto nostrano e tipico radiceto primo taio, ma ugualmente tenerissimo, fa la parte del leone nelle insalate, in specie quelle invernali. Da solo (con olio e aceto) o con l’aggiunta di uova sode, patate lesse, fagioli o mescolata a radicchio rosso, rucola, cappuccio tagliato alla Julienne… In quanto parente della Valeriana officinalis, famosa per essere usata come blando sedativo, anche la valerianella riduce l’ansia? Non saprei se funziona davvero, ma è il tipo di insalata più richiesta dagli studenti sotto esame

😉

Lubjanska – Da piccola, dopo le patate fritte, era di gran lunga il mio piatto preferito. Persino mamma (quella che a scuola aveva studiato il francese), la chiamava lubjanska. Anche perché del Cordon Bleau non si sapeva nulla; all’epoca ancora non si andavano a cercare le ricette online, anzi, non esisteva proprio internet. Io immaginavo gli abitanti della vicina città di Lubiana (Ljubljana) come degli insaziabili divoratori di Lubjanska, non me la spiegavo altrimenti questa cosa del nome. e non potevo far altro che dar loro ragione.

La Lubjanska assomiglia sì al cordon bleau ma soltanto a grandi linee. Ossia si prendono due fettine di carne e si battono fino a farle diventare il più sottili possibili, ma restano belle grandi, ingombranti, ampie da riempire tutto il piatto, niente porzioni da nouvelle cousine più adatte ad un cordon bleau. Inoltre, la carne è quella di maiale, la lonza di maiale preferibilmente, niente cose leggere come pollo o tacchino. Fra le due fettine va sistemato il prosciutto (cotto o crudo sono intercambiabili) e il formaggio e poi si richiudono, si procede con l’impanatura e si friggono. Potrebbero essere scambiate per delicati cordon bleau ma per dimensioni, tipo di carne e alla fin fine, sapore ben più deciso, trattasi di lubjanska.

Ražnjići

Ražnjići

RažnjićiIn tempi di lire e cambi vantaggiosi, si andava spessissimo a far la spesa al primo supermercato “oltre il confine” dove, soprattutto la carne conveniva. Non c’era macelleria che non tenesse, già pronti da cuocere, i Ražnjići; se si usciva a cena in qualche trattoria, il menù riportava immancabilmente la voce Ražnjići, fosse scritto in italiano (allora magari rasnici) o in sloveno e mai si trovava scritto ‘spiedini’. Giustissimo, perché son simili ma non eguali. La carne di maiale a Trieste, è più che apprezata (basta pensare a cosa offre il nostro tipicissimo buffet da Pepi), come nelle vicine Slovenia e Croazia, e quindi spiedini sì, ma solo con cubetti di maiale, intervallati da peperoni e cipolle. Non è carne di maiale? Non sono Ražnjići, allora potete chiamarli spiedini. Che ci sia l’Ajvar ad accompagnarli è ugualmente un forte indizio che siano proprio Ražnjići, ma di questa buonissima salsa piccante magari ne parlerò un’altra volta.

Bloody Ivy

le immagini dei piatti sono il risultato di ricerca con google, per correttezza aggiungo qui loro url senza www

coolinarika.com/recept/palacinke-sa-sirom/
tripadvisor.com/LocationPhotoDirectLink-g635871-d1006773-i58614958-Trattoria_Da_Gianni-Gorizia_Province_of_Gorizia_Friuli_Venezia_Giulia.html#58614958
zena.blic.rs/recepti/recepti-redakcije/7628/Trikovi-i-recepti-za-neodoljiv-rostilj


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