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busy

Creato il 05 luglio 2012 da Gaia

Un’amica mi ha segnalato un’interessante riflessione di Tim Kreider, pubblicata sul New York Times, sulla tipica tendenza moderna a dichiaraci sempre ‘troppo impegnati’ (‘a boast disguised as a complaint’), e a considerare l’iperattività un valore. Personalmente, so che ‘non ho avuto tempo’ non vale mai come scusa per non aver fatto qualcosa o chiamato qualcuno – abbiamo tutti lo stesso tempo, scegliamo noi come impiegarlo. La risposta giusta e onesta sarebbe: ho altre priorità. Tornando all’articolo, io personalmente sono arrivata a un punto della mia vita in cui cerco di non avere troppo da fare. Sono stata anch’io una di quelle persone che correvano costantemente di qua e di là. Ora non voglio. Il tempo è non solo la vera ricchezza, superiore al denaro in valore, ma coincide con la vita stessa. Mi deve appartenere, costi quel che costi. Ho letto da qualche parte che il nostro cervello produce di più durante l’ozio. Fosse vero o no, l’ozio è indispensabile per una buona vita. Ozio e creazione sono necessari l’uno all’altra.

Come l’autore del pezzo, direi: ‘I am not busy. I am the laziest ambitious person I know.’ Cercando, però, come mi pare faccia anche lui, di capire cosa mi appartiene legittimamente e cosa è un privilegio dovuto all’essere nata qui e non in una bidonville in cui dovrei spaccarmi la schiena per non morire di fame. Comunque, nonostante vada contro i miei interessi ad avere spiagge libere dal lunedì al venerdì e forse a mostrare che sto portando avanti un esperimento quasi pioneristico, penso che il mio stile di vita sia almeno un po’ generalizzabile, e che andrebbe esteso. Sono per il part-time, per il tempo libero ma libero da tutto, contro all’obbligo di riempire ogni buco con attività – sono fiera anche del tempo che passo sul divano a fissare vagamente il tappeto, o ancora meglio in un parco a guardare gli alberi. Naturalmente, vivendo pubblicamente in questo modo non posso più rifiutare incarichi e commissioni da parte di persone troppo impegnate per pensarci loro, con la scusa che ho da fare: verrei smascherata subito. È difficile, in una società come la nostra, ammettere pubblicamente di volere molto tempo libero, senza passare per parassiti e scansafatiche. Ricordo ben due lavori part-time per cui ho fatto domanda, e che poi ho ottenuto per aver dimostrato di non volere un part-time per pigrizia, ma perché mi serviva tempo per scrivere. Dire di voler semplicemente lavorare poco fa una pessima impressione.

Ad ogni modo l’articolo che ho segnalato merita una letta, è pieno di osservazioni interessanti* che sottoscrivo con gratitudine. Generalmente gli americani sanno fare autocritica senza autocommiserarsi o ricoprire di insulti il proprio paese, a differenza degli italiani. Si leggono volentieri.

*Come: ‘More and more people in this country no longer make or do anything tangible; if your job wasn’t performed by a cat or a boa constrictor in a Richard Scarry book I’m not sure I believe it’s necessary. I can’t help but wonder whether all this histrionic exhaustion isn’t a way of covering up the fact that most of what we do doesn’t matter.’ Oppure: ‘My old colleague Ted Rall recently wrote a column proposing that we divorce income from work and give each citizen a guaranteed paycheck, which sounds like the kind of lunatic notion that’ll be considered a basic human right in about a century, like abolition, universal suffrage and eight-hour workdays.’


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