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Butter on the Latch

Creato il 10 maggio 2015 da Frankviso
Butter on the LatchJosephine Decker
USA, 2013
70 minuti
Dopo una notte passata in compagnia di un probabile sconosciuto, Sarah si risveglia, in evidente stato confusionale, e fugge per raggiungere la foresta di Mendocino (Nord della California), nota per lo svolgimento annuale di un folk-festival di musica balcanica. Qui, incontra l'amica Isolde con la quale si intrattiene in danze, canti, ed escursioni naturaliste nel cuore di un bosco, attrattiva di misteri, che sembra perturbare profondamente Sarah a livello interiore.
L'instabilità mentale ed emotiva peggiora (con l'insorgere di psicosi allucinatorie) dal momento in cui la ragazza instaura una relazione con un giovane campeggiatore, compromettendo così l'amicizia con Isolde, che inizia a vedere come un potenziale pericolo... Butter on the Latch, psico-dramma dalle tinte oniriche come non se ne vedevano da un pò di tempo, è il primo di un dittico presentato all'ultimo TFF (l'altro film è Thou Wast Mild and Lovely),  le aspettative riposte non deludono, e trovano pieno coinvolgimento da parte del sottoscritto. Josephine Decker, regista e performance-artist originaria di Londra, dimostra immediata maestria nell'esplorare le perturbazioni che, insidiose, si annidano nella mente umana, e i drammatici risvolti che ne possono scaturire, attraverso una regia convulsa (camera rigorosamente a mano ed accentuato uso del fuori fuoco), votata a un'esaltazione dell'estetica della Natura (e del femmineo) e alle percezioni, che riescono a trasmettere un'impressione di soavità capace di colliquare nervi e pensiero; la potenza attiva dei sensi e la vivacità dell'immaginazione.
Butter on the LatchButter on the LatchLà, in una foresta rigogliosa, Sarah è profondamente assorta. Gli uccelli, risvegliati, contemplano rapiti quel volto malinconico, attraverso i rami degli alberi. Il bosco s'è fatto augusto come una tomba, per la presenza di questa conturbata ragazza dai trascorsi enigmatici. Forse, stanca della vita, l'oppressione s'è impadronita della sua anima, e ora se ne va sola, come un nomade verso altre terre. Occultate dalla realtà percepibile, presenze esoteriche vegliano su di lei, senza che ella dubiti di questa sorveglianza, e non l'abbandonano mai. Volentieri parla, qualche volta, con coloro che hanno un carattere sensibile, ma al contempo si tiene in disparte, nel timore di un pericolo immaginario. Un profondo senso di agitazione alberga in lei, diventa irrequieta, scruta con lo sguardo i quattro punti dell'orizzonte, come per cercare la presenza di un nemico invisibile che si avvicini, e scompare nella foresta. Viaggiatrice smarrita in fuga dai disordini della metropoli, in seguito ad un evento, forse un'umiliazione, subita tra le squallide mura di un'interrato. La foresta, scostando col dito la sua inquietudine, si riveste di tutte le sue attrattive per festeggiare il sogno di una (re)incarnazione del pudore, di un'immagine perfetta dell'innocenza degli angeli: il brusio degli insetti è meno percettibile. I rami inclinano su di lei la loro folta elevazione, allo scopo di preservarla dai raggi solari, e la brezza, facendo risuonare i battiti vibranti del suo tamburo, invia il suo ritmo gioioso attraverso il silenzio universale, verso le sue palpebre chine, che hanno l'impressione di assistere immobili, a un concerto scandito tra mondi sospesi. Sarah sogna la serenità; spera che la sua natura corporea sia in qualche modo cambiata; o che, perlomeno, abbia spiccato il volo su una nuvola virente, verso un'altra sfera, abitata da esseri di natura identica alla sua. Etnie che suonano e danzano attorno a lei in tondo, come un'immensa foll(i)a di ghirlande che la intridono di melodia, di note perlacee che sfuggono in cadenza attraverso le onde elastiche dell'atmosfera, e dei loro profumi soavi, mentre ella canta un inno d'amore tra le braccia di un essere umano di magica avvenenza, emerso da quella radura paradisiaca. Ma è soltanto un vapore crepuscolare, quello che le sue braccia allacciano; e quando si sveglierà le sue braccia non lo stringeranno più, se non le scure acque di un lago. È un'illusione, destinata a prolungarsi per un tempo imprevedibile, come la follia; forse solo fino al sorgere della prossima aurora, o forse no. Preferiamo quindi lasciarla così, Sarah, per non essere testimoni del suo tumultuoso risveglio, per non assistere, a una lucida presa di coscienza.*
*Parafrasando, a tratti, il Canto secondo (capitolo 7) del testo di Lautréamont: i Canti di Maldoror

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