Magazine Diario personale

C’era una volta il West(ern)

Da Bangorn @MarcoBangoSiena

Quando ero un ragazzino, in casa mia si diceva “stasìra a ghè un bel caplòn“, che tradotto dal modenese della Bassa, significa “stasera c’è un bel film di cappelloni”, intesi come grandi cappelli. Così venivano definiti i film di cowboy, quelli che ormai tutti definiamo western. Erano gli anni in cui gli spettatori adulti, subivano ancora il fascino delle precedenti decadi, ereditando sia i film di John Wayne tanto i nostri Spaghetti Western. Ed era un po’ come per noi adesso dire che danno un film con Bruce Willis, o un filmone di azione. Non ne perdevano uno, e mio padre con mio zio, si trovavano spesso al mercoledì sera a guardarli. Le donne non disdegnavano a loro volta il genere, appassionando a quelle immagini di uomini tutti di un pezzo, che cercavano e donavano riscatto a chi ne aveva bisogno.

Non ha bisogno di presentazioni

Non ha bisogno di presentazioni

Eroi con grandi cappelli, grilletto facile e quasi sempre onore degno del miglior cavaliere della tavola rotonda, nonostante la barba ruvida come il loro atteggiamento. C’erano eccezioni, è vero, come Gary Cooper in Mezzogiorno di Fuoco, lindo e sbarbato nel suo vestito da sceriffo, bianco e nero. Molto pulito come accostamento, ben diverso dal poncho fango del Biondo di Eastwood.
Cosa funzionava e perché? Sia gli adulti che i ragazzini, riuscivano in qualche modo a identificarsi in quegli eroi. I bambini, non mancavano di indossare cinturoni di cartone con pistole di plastica, che facevano scoppiettare proiettili gialli, di cui ricordo ancora il profumo tuttora. Beh, sono ancora in commercio, ma non li vedo andare a ruba.

Un uomo che interpretava un uomo. Oggi accade raramente.

Un uomo che interpretava un uomo. Oggi accade raramente.

I tempi sono cambiati, e Hollywood ha più volte cercato di rilanciare il genere, ma l’industria western era ferma. Se nei primi anni serviva anche come propaganda, per lavare le coscienze americane sulla questione pellerossa, da Soldato Blu in poi, arrivando a Balla coi Lupi, la situazione è cambiata. Non era più corretto far vedere indiani feroci, contro innocenti cowboy. Ed è la stessa cosa che successe più tardi con la guerra in Vietnam e i film a essa legati. Oliver Stone ha voluto dire come tutto non fosse semplicemente bianco e nero.

Leggendario e ironico

Leggendario e ironico

Tornando al western, al di là dall’oceano hanno provato con timidi tentativi a far rinascere il genere, forse perché quello è il loro passato e lo vogliono conservare vivido, come facevamo noi con i Peplum, basati sulla nostra antica mitologia. E allora uscì Silverado con un cast di tutto rispetto ma che non fece gridare al miracolo. Qualche anno dopo ci riprovarono con i due Young Guns, colonna sonora di Bon Jovi e attori giovani, provando quindi ad attirare i teenagers. Negli anni ’90, oltre al sopracitato Balla coi Lupi, uscirono film come Tombstone e Wyatt Earp, entrambi sulla sfida all’O.K. Corral. Eppure, nessun segno di vita. Ci provò pure Veronesi, dirigendo Il mio West, imbarazzante film con Pieraccioni nella solita parte, e Keitel con Bowie, entrambi sprecati.

A distanza di anni però, c’è una piccola parte della mia generazione che ha riscoperto nel tempo il Western con la W maiuscola, specialmente quello nostrano, fatto con sapiente regia, musiche eccelse e storie originali. Cavalieri solitari che errano per le lande americane, riprodotte in Spagna e nel sud Italia, un po’ come le tavole del nostro Tex Willer, improntate sui paesaggi del Trentino che fungono da paesaggi del far west.
Più duro invece, far digerire il genere alle nuove generazioni, e sarà curioso vedere se il fenomeno passeggero del nuovo film di Tarantino, farà venir loro voglia di ripescare qualcosa di Leone, Corbucci e perché no, anche qualcosa di John Ford, tanto per citarne uno. Vedremo.


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