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Campo speleo Pozzo della Neve – Agosto 2012

Creato il 11 settembre 2012 da Andrea Scatolini @SCINTILENA

By on settembre 11th, 2012

L’anno dei sifoni.
Sifone Beluga – Antefatto
Anni fa, 1994 o ’95…, non ricordo più, da poco speleologo, mi chiama Simone Re e mi chiede cosa si vuole organizzare per il campo a Pozzo della Neve.
La mia pessima memoria non mi permette di ricordare molto di quei giorni di campo ma ricordo benissimo quando Simone mi si avvicinò e quasi come un bambino, che organizza il furto della nutella dalla dispensa, sottovoce mi fa:“Aoo. Annamo al ramo de la Chiocciola? Ce sta na’ risalita da finì e so anni che non ce torna nessuno… Annamo che li esploramo!!”
In quel periodo poteva chiedermi anche di andare a scendere la fossa delle Marianne, che non mi avrebbe spaventato, figuriamoci il Ramo della Chiocciola, ad un paio d’ore dall’ingresso!
Ci preparammo e in compagnia di Giuseppe Caso (Geppino) e di Gianluca Cusano, all’epoca compagni di tante avventure, ci calammo lungo il pozzo d’ingresso e in breve giungemmo al bivio Foglie-Chiocciola.
Si correva a tal punto che non ebbi nemmeno il tempo di soffermarmi a guardare le stranezze di quel ramo. L’unica cosa che mi colpì, fu il continuo sali scendi e i cambi di direzione che appunto, danno il nome al ramo. E poi il fatto che in molte zone è un vero e proprio “tubo” pieno di quelle particolari concrezioni tipiche delle zone allagate, pungenti come spilli da balia e in grado di massacrare le mani, a chi come me, all’epoca, andava in grotta senza guanti.
Una volta sul posto, Simone risalì lungo la corda lasciata lì dai nostri predecessori e in poco, senza piantare nemmeno uno spit, chiuse i circa 15m che mancavano per la testa del pozzo appoggiato. L’urlo eccitato non ci lasciò dubbi. “CONTINUAAAA!!”
Gasatissimi risalimmo la vecchia corda e poi la nuova, appena piazzata, ed iniziammo a percorrere lo scomodo meandrino prima sconosciuto. Da meandrino che era, si trasformò subito in qualcosa di diverso, …in frattura e poi in frana… Delusione!
Per non lasciare nulla in sospeso iniziammo a scandagliare le pareti di quello strano luogo/faglia, fino ad imbatterci, qualche metro più in su, in un passaggio sifonante… E che ci fa un sifone qui su? Ci si chiese.
Sulla parete opposta ci accorgemmo di un passaggio in strettoia che immetteva in una frattura parallela. La scendemmo fiduciosi ma nulla! Sul fondo era chiusa dal fango e l’unica prosecuzione visibile era un budello da lombrichi posizionato al centro della frattura ad un paio di metri da terra: ennesima eccentricità di questo ramo.
Per qualche tempo dimenticai la Chiocciola, Simone sparì dal Matese e il tempo scorse tranquillo.
Negli anni successivi, con una siccità da paura e con nuove compagnie si decise di tornare a controllare quel sifone. Magari si è aperto… si pensò. Ma niente, tutto rimase immobile. Prendendo bene le misure di alcuni dei miei amici svolsi l’equazione: dimensioni lombrico =Luigi Russo=Natalino Russo=Piero Palazzo=Alessandra Lanzetta. Niente da fare. Nessuno riuscì a superare quello stretto budello nella frattura parallela.
Nel frattempo però a qualcuno, forse a Luigi, balena in mente la balzana idea di svuotare il sifone.
Fino a che nel 2003 armati di tubo QB e pompa di sentina, o se preferite di pompino, io, Luigi, Antonio Orsini e Elena Taffini ci troviamo nuovamente sul piccolo specchio d’acqua del sifone sospeso. Passiamo i tubi nella strettoia che conduce alla frattura parallela, li inneschiamo e per non fare la fine dei topi ci precipitiamo oltre il passaggio semi sifonante alla base della risalita fatta da Simone. L’acqua viene assorbita tutta dalla fessura parallela, il pericolo è scampato. Prendiamo coraggio e torniamo su per controllare i tempi di svuotamento. Aspettiamo un po’ e ci rendiamo subito conto che stare in attesa, al freddo e chissà per quante ore, è cosa alquanto abominevole; così si decide di uscire per poi rientrare subito il giorno dopo.
Certi di aver raggiunto lo scopo, corriamo giù in grotta, convinti di esplorare l’oltre sifone… Purtroppo però il tubo aveva aspirato tutto quello che poteva, fino a che il livello dell’acqua non è sceso troppo lasciandolo all’asciutto. Cerchiamo di innescarlo di nuovo ma ci accorgiamo che il pompino non ha la forza sufficiente per sollevare tutta quell’acqua. Proviamo e riproviamo ma alla fine, sconfitti, rinunciamo.
Quel posto è rimasto nella mia testa anche quando negli anni successivi mi sono allontanato dalla speleologia attiva, praticando solo ingressismo e raduni, come scusa per incontrare vecchi e nuovi amici. Ma c’è poco da fare, chi si sporca con quel fango finissimo e scuro che si trova nelle grotte, difficilmente riesce a “lavarsi bene le mani”.
A gennaio dell’anno scorso casualmente passa per il Rifugio le Janare, che gestivo in compagnia di Antonio, uno strano personaggio di nome Mario Mantio che oltre a essere speleologo era anche OTS (Operatore Tecnico Subacqueo).Si chiacchiera del più e del meno e subito capisco che era la persona giusta per l’impresa. Gli parlo di quello strano sifone e cominciamo a buttar giù le prime idee del progetto immersione. Fissiamo subito una data: agosto 2011. Sembrava tutto pronto quando un incidente in moto lo porta via per sempre.
Ormai la molla era scattata, quel ramo aveva catturato di nuovo la mia attenzione. Inizio a parlarne con Luigi, gli chiedo di coinvolgere Gianni Guidotti il quale gli dice di no, che è un po’ di tempo che certe cose le ha chiuse nel cassetto. Nel frattempo avevo deciso di scrivere a Antonino Bileddo (Tony), conosciuto qualche anno fa e poi scoperto essere uno speleosub, grazie anche al fatto che su Facebook girano foto delle sue imprese.
Approfitto proprio di FB per scrivergli una mail dettagliata, o meglio, ricca di dettagli che riescono a convincere, omettendo, le parti “meno entusiasmanti” del progetto.
Dalla risposta non traspare entusiasmo. Tony mi fa domande sul posto e sulle date, fino quasi a farmi perdere le speranze…
Poi all’improvviso a luglio squilla il telefono…
(Ivan Martino)
Resoconto immersione:
Ivan al telefono mi racconta di questo sifone: “… facile facile, con acqua pulita, a tre-quattro ore dall’ingresso a Pozzo della Neve. Si trova nel ramo della chiocciola, dopo il meandro…” e mi racconta di questo meandro… “mai troppo stretto, quasi sempre col sacco a spalle, un po’ aereo ma mai scomodo… e poi, fatti due pozzi, uno in discesa e uno in salita, nel ramo della chiocciola c’è questo sifone, che nel 2003 si era tentato di vuotarlo senza successo; serve uno speleosub che vada a posizionare il tubo sul fondo e magari a vedere cosa c’è di là. Che fai vieni al campo in Matese quest’anno?”.
Così mi trovo in Matese, a scendere Pozzo della Neve con Ivan, Antonio, Umberto, Ferdinando, Errico, Max, e Netta. Il meandro è un po’ aereo ma mai stretto, si fa quasi sempre col sacco in spalla, proprio come diceva Ivan. Siamo un po’ lenti perché il materiale pesa, siamo in tanti e ci aspettiamo, ma di tempo ne abbiamo.
Arriviamo all’inizio del ramo delle foglie e facciamo i due pozzi (che sono tre) e prendiamo finalmente il ramo della chiocciola, rassicurati da Ivan che ci dice ad ogni passo che siamo quasi arrivati.
Dopo alcuni saliscendi, arrampicate, armi improbabili e strettoie fangose il gruppo comincia a dubitare della buona fede di Ivan.
Il ramo è davvero strano: ora stretto, ora largo; a volte sale e scende di diversi metri; a tratti è concrezionato mentre alcune zone hanno le pareti a scallops, un tratto senz’altro sifona durante le piene. Il ramo funziona da troppo pieno, nel senso che l’acqua da qui risale, lo testimoniano le corde che le piene trascinano in alto. Ivan spesso si deve arrampicare per andarle a riprendere.
Finalmente, dopo cinque ore dal nostro ingresso, arriviamo tutti davanti al sifone (ognuno a modo suo insultando Ivan). Sulla sua superficie galleggiano i tubi del tentativo di svuotamento del 2003.
Ivan confessa: “…se te la raccontavo tutta, probabilmente non ci saresti venuto”… gli do ragione… non è proprio un posto “dietro l’angolo” pensando al trasporto delle attrezzature… ma un po’ me lo aspettavo, altrimenti qualcun altro ci avrebbe già provato!
Diciamo che il posto per cambiarsi non è proprio comodo, non si riesce a starci in piedi. Alle mie spalle c’è una pozza d’acqua e nel cunicolo siamo seduti in tre mentre gli altri sono abbarbicati poco indietro in opposizione, sulla spaccatura da cui siamo saliti.
Sciacquo la tuta nella pozza poco prima del sifone per cercare di intorbidirlo il meno possibile al mio ingresso, ma non c’è molto da fare… l’acqua diventa caffellatte … maledetto Ivan… se avessi saputo che il posto era così sporco magari mi sarei portato un copri muta pulito, anche perché la tuta, per la verità già in condizioni precarie, si è definitivamente sfondata e ho i gomiti di fuori.
Poco male… ormai siamo qui. Mi cambio con la speranza di riuscire almeno a portare il tubo nel punto più basso. L’imboccatura è in leggera discesa, non stretta ma comunque insufficiente a girarsi. Decido di scendere di piedi. Se sarà possibile mi girerò sott’acqua.
Ho una muta da vela, senza valvole che cerco di riempire il più possibile di aria, in modo da poter scendere fino ad una decina di metri di profondità prima che la pressione diventi poco sopportabile; questo mi rende piuttosto positivo in entrata in acqua.
Non mi porto la sagola guida… male che vada uscirò seguendo il tubo.
Mi inoltro per un paio di metri e l’acqua per fortuna diventa trasparente ma non riesco a girarmi. Procedo all’indietro portandomi dietro il tubo che mi passano da fuori. Il sifone procede in lieve discesa. A -3 si allarga e riesco finalmente a vedere alle mie spalle… forse riesco a girarmi più avanti. Poco dopo, a una decina di metri dall’ingresso, riesco a girarmi ma dall’alto una lama restringe il passaggio, il profondimetro mi dice -3,5. Forse però riesco a passare con la testa… oltre sembra chiudere in una stanzetta… davanti… chiude, a destra… pure! A sinistra… non vedo… spostandomi più a destra forse passo… prosegue! La condotta va avanti… lievemente in salita.
Bene, almeno il tubo sarà ben posizionato. Fisso l’estremità al fondo. Da fuori sentiranno che non lo trascino più ed inizieranno ad innescarlo pompando acqua.
Fisso la sagola guida alla lama e la rimando con un elastico al tubo per essere sicuro di ritrovarlo per indicarmi la via di uscita se dovesse intorbidirsi l’acqua.
Mi giro su un fianco e piegandomi riesco a passare. Il cunicolo procede in leggera salita.
Un pezzo di tubo è stato trascinato fin qui dalla corrente e si trova incravattato a un masso sul fondo. Il cunicolo ora ha una forma circolare e le pareti sono sempre ricoperte di scallops.
Dopo una quindicina di metri le bombole che toccano sul soffitto mi dicono che si restringe ma si passa ancora bene. Mi guardo indietro da sotto la pancia e vedo che l’acqua dietro di me resta abbastanza pulita. Male che vada tornerò indietro di piedi fino al tubo prima di rigirarmi.
Prima di affrontare il passaggio stretto faccio un cambio erogatore… “porc… glog glog… fa acqua… calma calma… lo sai… non ha espirato tutta l’aria, ne hai ancora nei polmoni, lo fai sempre di tenertene un po’ di scorta… forza… sputa… glog… glog… inclina la testa dai… deve essersi messo male il boccaglio… ecco… adesso sì! Due respiri ancora… controlla tutto… bene è passato… meno male che non ti sei agitato… quanto poco ci vorrebbe per fare la fine del topo? Meglio non pensarci… avanti che andiamo a vedere dove finisce ‘sto cunicolo”.
Avanzo ancora una decina di metri, sempre in salita… poco più avanti vedo il pelo dell’acqua… ancora cinque metri e finalmente ci sono. Esco piano, sperando ci sia spazio abbastanza per uscire con la testa e… sì, sono fuori!
Il cunicolo prosegue in salita in aria. Fisso la sagola a un sasso; ne ho stesi 30 metri. Dovrei togliermi le bombole e strisciare nel cunicolo per vedere come procede ma ho i gomiti della muta di fuori e bucarla vorrebbe dire fare il ritorno in ammollo a nove gradi centigradi… preferisco non rischiare, tanto domani il sifone sarà vuotato e l’esplorazione potrà procedere senza rischi.
Al rientro fila tutto liscio, l’acqua è rimasta pulita. Arrivato al tubo riparto con la sagola per misurare anche questo tratto di sifone. Il rumore dell’acqua che passa nel tubo mentre viene pompata fuori mi accompagna in uscita. Negli ultimi metri la visibilità è ridotta ma ormai è fatta. Lo svolgi sagola segna altri 10 metri di sifone, 40 in tutto.
Fuori è festa… la brutta notizia è che il promesso the caldo non c’è: manca il the! Mi scaldano dell’acqua con un po’ di carne in scatola: una “Tulip”. Sa di cibo per gatti ma almeno è calda! “Beh” – qualcuno dice – “visto che il sifone era stato chiamato a suo tempo “Beluga” in onore di una scatoletta di caviale, il post sifone si potrebbe dedicare alla Tulip”… io trovo appropriato anche il nome “dietro l’angolo” o “sta qua dietro” o ancora “siamo arrivati”, come ci diceva Ivan prima di ogni passaggio di m. durante tutto l’avvicinamento!
Nel frattempo arrivano Nicola e Luigi con la telecamera, appena in tempo per un’intervista a caldo e per documentare la preparazione della Tulip in brodo.
La risalita coi materiali, accompagnata da stanchezza, fame e freddo, sarà aiutata stavolta dalla contentezza per il risultato ottenuto, pregustando le future esplorazioni oltre il sifone.
Bravo Ivan… avevi ragione ad incaponirti a trascinarci fin lì, ne è valsa proprio la pena.
(Antonino Bileddo)
 
Nei successivi giorni si torna più volte a controllare se la pompa stia facendo il proprio dovere ma puntualmente troviamo il livello dell’acqua più basso ma non sufficiente a passare ed il tubo vuoto!
A questo punto si iniziano a teorizzare i motivi del disinnesco.
La teoria più accreditata è quella di Umberto, “La teoria del Pò….Pò…” ; “Il sifone Beluga si è disinnescato perché la pompa fa: po’… po’… po’… po’… pòpò… pòpòpò… e si ferma. Fa aria la pompa!”.
I giorni passano e il sifone è ancora pieno, si reinnesca e si decide di tornare il fine settimana successivo con nuove attrezzature che dovrebbero evitare la formazione di aria nella pompa.
Dopo una settimana fitta di mail, ferramenta e teorie idrauliche, siamo pronti per lo sforzo finale e per mettere su una Cattedra di “Idraulica Applicata”.
Il piano di massima è: Luigi e Valerio entrano Venerdì e ricominciano lo svuotamento coadiuvati da Umberto, Laura e Ferdinando nel trasporto di nuovi materiali fino all’ingresso del R. delle Foglie per poi continuare per una gita fino al Grand Hotel Sala Franosa.
Innescato il Beluga, per non stare li a prendere freddo, i due si spostano al sifone che si trova all’ingresso del Ramo delle Foglie per cercare di svuotarlo per raggiungere finalmente le terre custodite da due specchi d’acqua e che nessuno ha mai visto se non Matteo Diana trent’anni fa e solo per pochi metri.
Ivan li raggiunge sabato per esplorare finalmente insieme l’oltre sifone!
Alla fine i tre “turisti” entrano ma i due idraulici vengono vinti dalla Peroni…..
Entrati finalmente il sabato mattina, iniziano subito a mettere in pratica le teorie idrauliche apprese in settimana e dopo vari tentativi il tubo riprende finalmente a sputare acqua senza la creazione di aria nella pompa.
Alle 14 e 50 Ivan li raggiunge, l’acqua del Beluga è ancora alta quindi si decide di tornare al sifone RdF per lavorarci un po e dare il tempo al Beluga di concederci il passaggio.
Finalmente si ritorna al Beluga che troviamo ormai agli sgoccioli, abbassandosi a pelo d’acqua si riesce finalmente a vedere “il tratto dopo la lama” descritto da Tony.
“Tony me cojoni!!!” è l’espressione che usa Valerio per manifestare lo stupore nel mettere a fuoco finalmente l’impresa compiuta da Tony.
Pensare che qualcuno con bombole, respiratori, maschera e chincaglierie varie si sia infilato li dentro fa capire veramente le difficoltà che affronta uno speleosub in un ambiente dove girarsi per tornare indietro è difficile ance senza niente addosso!
Con ‘aiuto di qualche martellata, in breve siamo tutti oltre la lama, superiamo un tratto del sifone ancora parzialmente allagato, risaliamo la condotta dove si è fermato Tony e con stupore ci affacciamo su un pozzo da una decina di metri. Il primo pozzo da esplorare in discesa a Pozzo della Neve dopo molti anni!!
Fixiamo e giù!
La roccia è completamente nera, se non fosse per gli scallops sembrerebbe basalto. Alla base la grotta riparte con un meandrino, poi di nuovo una condotta semi allagata, di nuovo meandro e …….. altro sifone!!!
Delusi, tristi?
Direi di no, da un ramo così ce lo aspettavamo tutti ma se non ci avessimo provato che scusa avremmo avuto per incontrarci?
Tornati al sifone RdF scopriamo che la stima da noi fatta era per eccesso. Il grandissimo sifone che avevamo immaginato è un enorme vasca da bagno.Lo troviamo quasi vuoto, Valerio subito si lancia nel meandro prima nascosto dall’ acqua ma torna poco dopo con lo stesso risultato del Beluga ….. altro sifone!
(Ivan Luigi Valerio)
Ps: I turisti del GH Sala Franosa trovandosi in “zona” si sono allungati fino alla Fessura del Casco così, tanto per controllare se in questi ultimi anni avesse deciso di allargarsi un po!
Ps: Un ringraziamento speciale va a Leonardo che quest’anno si è preso l’onere di curare la logistica del campo ed ad Antonella che ci ha allietato con la sua cucina.
 
Partecipanti
Leonardo Colavita (ASM), Paolo Manocchio (ASM), Antonella Landi (GSCaiSA), Errico Cuomo (GSCaiSA), Umberto del Vecchio (GSCaiNa), Ferdinando Valentino (GSCaiNa), Ivan Martino (GSM), Aneta Rybaczuk (GSM), Antonio Orsini (GSM), Antonino Bileddo (USV), Francesca Riva (SCOr), Massimiliano Re (SCR), Netta Rem-Picci (SCR), Luigi Russo (GSM/SSCC/GSG), Nicola Caiazza (GSM), Luciano Santagata (GSM), Paolo Gioia (ASM), Piero Colamai (ASM), Pietro Mastropietro (ASM), Michele Notartomaso (ASM), Rosaria Notartomaso (ASM), Piero Palazzo, Gerardo Tedesco (ospite), Giuseppe Giannattasio (ospite), Alessandro de Filippo (ospite), Sara di Bianco (ospite) Filippo Santoiemma (ospite) Deborh Maselli (ospite).

Inviato da Luigi Russo

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