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Camusso e l'unità sindacale

Da Brunougolini
“Le rotture, una volta, erano di natura sindacale. Così quella sulla scala mobile, nel 1984. Così nelle dispute sull’accordo del 1992, sulla contrattazione. Oggi la rottura è sul governo, sulla sua politica”. Sono parole chiare e pesanti di Susanna Camusso. Siamo alle battute finali di un convegno organizzato nell’ambito della Mostra romana dedicata al  Pci. Il tema riguarda il passato, il rapporto tra i comunisti e l’unità sindacale.
Sfilano così, negli interventi di Giorgio Benvenuto, Franco Marini, Cesare Damiano, Stefano Fassina, Carlo Ghezzi, ricordi e riflessioni. Con Benvenuto, tra i leader principali dei metalmeccanici, negli anni  70, che rimpiange il non aver fatto a suo tempo la cosiddetta “unità a pezzi”, mentre Franco Marini lo rimbrotta: “sareste rimasti da soli”. Molti i riferimenti alle paure e ai freni del Pci. Sui consigli di fabbrica che soppiantavano le commissioni interne, sul fondo di solidarietà, sul superamento della scala mobile.
Con Marini che rivendica il “primato della politica” teorizzato dal Pci ma anche dalla sua Dc, senza per questo affondare l’autonomia sindacale. Un tema che riprende Fassina, oggi a capo del dipartimento economia e lavoro nel Pd. La politica, spiega “non può aspettare”, di fronte al disgregarsi della rappresentanza. E quindi intende agire nel piano legislativo anche in riferimento ad un possibile salario minimo. Un modo per ridare al Pd una funzione sui
temi decisivi del lavoro.
Gli risponde Susanna Camusso spiegando come la differenza tra il passato e oggi, consiste nel fatto che un tempo i partiti (il Pci, il Psi, la Dc) erano radicati nei luoghi di lavoro. E temevano che i sindacati togliessero loro uno spazio. Oggi in quei luoghi la politica non c’è più. La situazione si è rovesciata: i nuovi partiti si gettano nella legislazione ai danni della contrattazione, del sindacato. E’ successo così sui problemi del mercato del lavoro. La stessa scelta del salario minimo può alla fine nuocere all’iniziativa contrattuale tesa a far passare i vari contratti temporanei a contratti stabili.
Una serena ma decisa confutazione quella del segretario della Cgil. Che spiega anche, nella sostanza, come chi predica oggi un astratta unità sindacale non abbia capito, come dicevamo all’inizio, che quel che divide non riguarda materie sindacali. Riguarda il rapporto con l’attuale governo, la sua volontà fatta di “divide et impera”. I tanti accordi unitari decentrati dimostrano che dove è in gioco il merito sindacale, la divisione non passa. 
  

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