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Cannes 2015: i film che ho visto oggi, merc. 20 maggio (Youth, The Assassin, Krisha…)

Creato il 21 maggio 2015 da Luigilocatelli
Krisha

Krisha

1) Youth – La giovinezza di Paolo Sorrentino. Concorso.
Due anni fa per La grande bellezza ci furono a fine proiezione stampa qui a Cannes dieci minuti di applausi, oggi per Youth applausi educati, e un buu subito silenziato. È che questo nuovo film di Paolo Sorrentino è davvero fastidioso e anche faticoso da seguire, di una boria, un pompierismo, un sussiego difficili da reggere. Ma il guaio vero è che per almeno un’ora non ci racconta niente, presentandoci personaggi di cui non ci importa niente, e che peraltro niente fanno per interessarci. Protagonista un anzianissimo direttore d’orchestra inglese ora ritiratosi in un hotel termale-spa sulle Alpi Svizzere (Michael Caine). E anche se lo chiamano da Buckingham Palace perché torni a dirigere, lui non ha nessuna intenzione di uscire dal letargo. Suo alter ego un regista americano quasi ottantenne che sta preparando il suo film-testamento. Più che un’aria senile circola un’aria odiosa. Dialoghi (in inglese) di rara pretenziosità e sentenziosità. La narrazione intanto latita, mentre facciamo conscenza di figure e figurine di contorno. Il film non si accende e non decolla mai (solo la scena con una straordinaria Jane Fonda ci scuote), resta un’inerte passerella su cui sfilano personaggi peraltro irrelati e tra loro disconnessi. E, ancora!, fellinismi, come in La grande bellezza. L’hotel termale ricorda la città delle acque curative di Otto e mezzo, la processione degli ospiti verso le piscine viene da lì, l’allucinazione del regista con tutte le sue attrici riunite rimanda dritta alla sequenza dell’harem. Di buono c’è che Sorrentino, almeno nella prima parte, lascia stare i sorrentinismi e sembra optare per un regitro più sobrio, poi però non resiste e iper estetizza con inquadrature anch un po’ alla Seidl di Paradiso: speranza, nell’acqua e a pelo d’acqua. Michael Caine buttato via in un un ruolo catatonico. Voto 4 e mezzo (qui la recensione estesa).
2) Krisha di Trey Edward Shults. Semaine de la critique.
Approda alla Semaine de la critique, in concorso, il film che ha trionfato all’ormai sempre più importante SXSW, il festival del cinema indipendente americano di Austin. Messa in scena di una storia vera con la famiglia che l’ha vissuta, una miscela insomma tra documentario e narrativizzazione che è uno dei modi del nuovo cinema. La Krisha del titolo, che di cognome fa Fairchild, sessant’anni e qualcosa, arriva in vacanza nella grande famiglia della sorella dopo anni di lontananza, e forse di ostracismo, dovuti ai suoi problemi di alcolismo. Dice di essere clean, disintossicata, fuori dalla diendenza, rassicurando la sorella che la accoglie insieme al marito, ai loro figli, al marito di una delle figlie. A completare la reunion arriverà anche la vecchia madre in Alzheimer che non riconoscerà Krisha. All’inizio funziona tutto molto bene, ma poi un piccolo incidente in casa rivela come Krisha sia ubriaca e non si sia mai liberata dalla sua addiction. Da lì scoppia il melodramma familiar, come ne abbiamo visti tanti al cinema e nella vita. Krisha nega, mente, si difende, contrattacca, ma non riuscità a evitare il rigetto che intanto è scattato nel gruppo. Fino al climax, la rivelazione di un segreto di famiglia. Tenete conto che la protagonista è la vera Krisha Fairchild, e che il regista è uno dei nipoti. Oggi alla presentazione del film c’erano l’una e l’altro. Esperimento assai interessante, tra la terapia familiare e la messa in mostra dei panni sporchi nell’era dell’esibizionismo di massa. Il bello è che che dammaturgicamente tutto funziona alla perfezione, e sembra a momenti di stare in un Tennessee Williams. Stile registico fluido e prensile, tra Cassavetes e Altman. Questo Krisha rischia di fare parecchia strada. Voto 8
3) Je suis un soldat di Laurent Larivière. Un certain regard.
Film per metà assai interessante, che va a indagare un’attività illegale poco conosciuta come il traffico clandestino di cuccioli di cane, ma che poi si affloscia e autodistrugge nella seconda parte. Sandrine, trent’anni, ha perso lavoro e casa ed è costretta a tornare dalla madre a Roubaix. Comincia a lavorare dallo zio, proprietario di un canile specializzato in vendita di cuccioli. Un’attività che rende bene. Sandrine non ci mette molto a capire che quei cani arrivano clandestinamente dall’Est Europa, e che lo zio si procura attraverso un veterinario compiacente falsi certificati di vaccinazioni cui non sono mai stati sottoposti. Per un po’ sembra che anche lei voglia entrare nel giro e fare i soldi, ma il punto di rottura arriva quando dei cani acquistati da Sandrine si rivelano malati e muoiono, e lo zio le chiede di rimborsargli la perdita. Segue una crisi devastante, in cui Sandrine si ribellerà ritrovando i sani valori che aveva dimenticato. Il film è bello e importante fino a quando ci mostra le leggi che regolano quell’economia sotterranea e criminale, diventa melenso e moraleggiante quando Sandrine si pente. Con la bellissima Louise Bourgoin, vista in La religiosa di Nicloux, qui deglamourizzata da abitacci maschili. E nella parte dello spietato zio si rivede un irriconoscibile e bravo Jean-Hugues Anglade. Voto 4 e mezzo
4) Nie Ninniang (The Assassin) di Hou Hsiao-Hsien. Concorso.
Il maestro di Taiwan Hou Hsiao-Hsien rifà a modo suo il wuxiapian, il cappa e spada cinese, ripulendolo da ogni opello e superfluità, essenzializzandolo in un’epica da camera e palazzo con pochi personaggi, nessuna scena di massa, e una bellezza sfolgorante e preziosa spalmata su tutte le inquadrature. Di una visualità e un colorismo ipnotici. La storia è solo un pretesto per scatenare il talento del regista: nella Cina del settimo secolo una ragazza vestita di nero combatte e uccide i tiranni, fino a quando si ritroverà faccia a faccia con l’uomo che ha amato. Il rischio è scambiare questo fim per un’opera formalistica e calligrafica. Invece The Assassin ha un’anima. Potrebbe entrare nel Palmarès. Voto 8


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