Magazine Cinema

Cannes 2015. Recensione: YOUTH – LA GIOVINEZZA. Ma quanto delude Sorrentino

Creato il 20 maggio 2015 da Luigilocatelli

35b0d9bc4bbba0094113da14e1ef4869Youth – La giovinezza, un film di Paolo Sorrentino. Con Michael Caine, Harvey Keitel, Rachel Weisz, Paul Dano, Jane Fonda. Concorso.
585e6c63e074a43196cef48aeda9dc56Ero riuscito a farmi piacere, nonostante tutto, La grande bellezza, ma con Youth – La giovinezza getto la spugna. Impossibile voler ben a un film borioso, narciso, antipatico, che non fa niente per interessarci. Con due protagonisti di cui non ci importa niente. Con una storia-non storia segmentata in pulviscoli di microracconti e microritratti. Certo, visivamente il film c’è, ci mancherebbe, e l’ambientazione nell’hotel-sanatorio svizzero – un po’ Grand Budapest Hotel un po’ La montagna incantata – funziona. Ma mica basta. Alla proiezione stampa applausi tiepidi e qualche buu subito silenziato. Voto 4 e mezzo
dbe010d7098cf721b2bb2290878411aaI molti haters di Sorrentino si possono scatenare come e più che con La grande bellezza. Questo è il peggiore suo film di sempre. Girare in inglese – in un inglese assai più ricco di quello di Garrone, però tronfio, sentenzioso e insopportabilmente arty – non gli fa bene, come s’era già capito in This Must Be the Place. Che film è mai questo? Cosa mai vuol raccontarci? Film irritante (temo volutamente) che si guarda bene dal costruire una qualsiasi narrazione, si sfrangia in un pulviscolo di microscopici récit, alcuni al limite della battuta e dello schizzo veloce, con personaggi perlopiù odiosi e assenti pure da se stessi di cui non ci importa niente e che non fanno niente per rendersi interessanti ai nostri occhi. Varia fauna umana deambulante e concentrata in un grande albergo-clinica con ampio uso di acque termali lassù sulle montagne della linda Svizzera, molti vecchi e qualche corpo più giovane e altri di mezza età ancora tonici. Però la grande bellezza non abita qui ed è scappata via da un pezzo se mai ci ha abitato. Sorrentino non crea trame, nemmeno personaggi degni di tal nome e di una qualche consistenza, solo un casuale porsi di quella gente in quello spazio, con altrettanto casuali interrelazioni. Nessuno si connette all’altro, tutto è sconnesso, quell’albergo è solo il contenitore o la scena o la passerella di figure ectoplasmatiche che transitano e anche se son stanziali sembrano sempre volatili, precarie. Sorrentino punta moltissimo sulla scrittura-scrittura, sui dialoghi, perdendosi in sentenziosità sulla vita, la morte, la vecchiaia, la govinezza, il successo, il denaro, insomma su quelle cose classificabili sotto la categoria Massimi Sistemi, ammorbandoci con banalità travestite e incartate con degnazione e sussiego. E citando in un compulsivo namedropping Novalis e Stravinsky, riesumando i fantasmi di Hitler e della Grande Storia. Con clin d’oeils al Thomas Mann di La montagna incantata, di cui inconsciamente (?) Youth è un esangue ricalco contemporaneizzato, e Morte a Venezia. Si soffoca, vien voglia di scappare, nonostante la salubre aria alpino-svizzera. L’ospite su cui si concentra l’attenzione del regista (e di necessità anche la nostra) è un direttore d’orchestra e compositore ormai in ritiro, Michael Caine, la cui abulia viene spezzata da un invito arrivato da Bukingham Palace a tenere davanti alla regina un concerto delle sue composizioni più famose. Rifiuta, ma alla fine cederà. Nel frattempo gli fa compagnia nel suo letargo una sorta di alter ego, un quasi ottantenne regista americano di cinema dalla gloriosa carriera circondato lì all’hotel da un gruppo di giovani sceneggiatori hipster incaricati di scrivere il suo nuovo film, “il mio testamento” dice lui. Intanto, il figlio del regista molla la figlia bellissima (è Rachel Weisz difatti) del direttore per accoppiarsi con una cantante pop di massima ordinaretà e volgarità “perché è brava a letto”. L’abbandonata farà presto a consolarsi con un rude alpinista assai tonico oltre che barbuto nonostante l’età non freschissima. I due signori artisti vanno in piscina, si lasciano massaggiare, fanno passeggiate, osservano gli ospiti dell’albero-sanatorium, spettegolano, purtroppo filosofeggiano anche. Intorno altre e varie figurine, il giovane attore americano che vuol uscire dal personaggio ultrapop che l’ha reso famoso ma anche ingabbiato e vuol darsi al cinema impegnato preparandosi a interpretare addirittura Hitler. Un bonzo che tenta la levitazione (e ci riuscirà). Una Miss Universo di ottime curve e discreto cervello. Nessuno comunque che riesca a entrare nei nostri radar e ad attirare la nostra attenzione. Bisogna asspettare l’entrata in scena di una clamorosa Jane Fonda mai così camp per divertirsi finalmente un po’. La sua scena madre in cui rinfaccia al vecchio regista di essere bollito e di non volersi rassegnare al ritiro è fantastica ed è l’unico momento in cui il film sembra accendersi. Il resto sono le composizioni figurative, in abbondanza, cui Sorrentino ci ha abituato. Figure figurine e figurette come in un presepe-installazione da Biennale. Giocando facile con i riflessi della molta acqua dell’albergo-terme e le distorsioni ottiche dei corpo immersi. Una cantante d’hotel rifà i popsongs degli ultimi decenni (però la coppia canterina di The Lobster, sempre stando ai divertimenti polverosi d’albergo, è molto meglio). Circola dappertutto più che un’aria di stanchezza e di senile decrepitezza, una boria, una svogliatezza, un’aridità, una freddezza antipaticamente snobistica. Un film che non ci vuole bene, e ce lo fa capire. Ripaghiamo della stessa moneta. A questo punto forse bisognerà impedire a Sorrentino di guardarsi Fellini, che le citazioni sono ormai strabordanti. Se La grande bellezza saccheggiava La dolce vita e Roma, qui c’è, tanto per cambiare, tanta roba presa da Otto e mezao. Tutta la parte termale viene da lì, compresi i vecchi acquattati nel fumigante bagno turco e la processione dei clienti-pazienti verso le piscine. Vogliamo poi parlare della tremenda sequenza delle attrici che compaiono tutte insieme al regista in un’allucinazione che rifà pari pari l’harem di Otto e mezzo? Io, che mi ero fatto piacere La grande bellezza nonostante l’overdose di narcisismi, qui mi sono dovuto arrendere. E quando alla fine apprendiamo di che dolori e sofferenze si siano nutrite le vite del Direttore e del Regista, è troppo tardi per commuoverci.


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :