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Cannes 68: La Loi du Marché (A simple man) di Stephane Brizé (Migliore interpretazione maschile Vincent Lindon)

Creato il 26 maggio 2015 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma
  • Anno: 2014
  • Durata: 92'
  • Genere: Drammatico
  • Nazionalita: Francia
  • Regia: Stéphane Brizé

Vittoria annunciata e meritatamente ottenuta, quella dell’attore francese Vincent Lindon, candidato alla Palma d’oro per la miglior interpretazione maschile con il film La Loi du Marché di Stephane Brizé, in concorso al 68esimo Festival di Cannes. Le spietate leggi del mercato e del neo-liberismo, già così ben descritte nell’opera Due giorni, una notte dei fratelli Dardenne, presentata l’anno scorso a Cannes, vengono qui rapportate alla normalità della vita quotidiana, quella di un operaio ed ex-sindacalista licenziato insieme ad altri per il trasferimento dell’azienda.

Volutamente girato con sguardo quasi documentaristico e descrittivo, il film - come il suo perfetto interprete non espone teorie né si dilunga in grandi discorsi, ma lascia che siano fatti, eventi e situazioni a parlare: dal tentativo delle banche di far vendere la casa al protagonista Thierry ed alla sua famiglia (una moglie ed un figlio adolescente con grave ritardo fisico) alle proposte finanziarie che sconfinano nell’usura, al desiderio di qualcuno di approfittarsi delle disgrazie altrui per fare buoni affari, agli stages che non portano a nulla, alla ricerca di un lavoro attraverso umilianti colloqui, interviste e peregrinazioni di ufficio in ufficio. Thierry/Vincent, costretto per pagare i debiti con la banca ad accettare il lavoro di sorvegliante in un supermercato - cioè controllare e denunciare ladruncoli e colleghi che cumulano offerte e punti spesa - dopo il suicido di una collega farà la sua scelta: quella di mantenere etica e dignità in un mondo dove la guerra dei poveri è attivata, giorno dopo giorno, da chi muove i fili dell’economia e del lavoro.

Il regista vuole mostrare che ci sono anche tanti uomini e donne ancora ‘sani’, che non sono disposti ad accettare tutto, nonostante le difficoltà: “Volevo mettere a confronto la brutalità e violenza di certi meccanismi sociali con l’umanità di un individuo in situazione di precarietà. Il protagonista è stato licenziato, dopo 25 anni, non perché facesse male il proprio lavoro ma perché l’azienda voleva guadagnare di più trasferendosi in Paesi dove la manodopera è meno cara: la domanda del film è se si può, per necessità, diventare complici di un sistema iniquo”.

Lindon sa conferire al suo personaggio, da un lato, la statura di un gigante, nella tranquilla modalità con cui respinge gli attacchi subdoli del sistema, dall’altro quella di un uomo normale, con una casa modesta, una vita tranquilla, una famiglia che ama. “La mia idea personale - ha affermato Lindon - è che i film che davvero restano nella storia del cinema sono quelli che raccontano il sociale, basti pensare a quelli di Chaplin, di Lubitsch e, nel presente, a quelli dei fratelli Dardenne. Per quanto riguarda questo film, non credo sia stato pensato dal regista come prettamente ‘politico’, ma chi lo ha visto dice di essersi ricordato di essere di sinistra. Il film parla della dignità di classe“.

Elisabetta Colla



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