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Capelloni, Baby-doll e Musical en Travesti: le Origini

Creato il 05 dicembre 2012 da Dietrolequinte @DlqMagazine
Capelloni, Baby-doll e Musical en Travesti: le Origini

«I’m just a sweet transvestite from Transexual, Transylvania»: does it ring a bell? A qualcuno suona la campanella? Parliamo naturalmente del musical The Rocky Horror Picture Show, anno di nascita 1975, e da subito vero e proprio cult del genere. Ci sarebbe da chiedersi di quale genere stiamo parlando. Musical? Sì, questo è certo. Ma non solo, perché non era mica un’abitudine sentire le parole transvestite/transexual all’interno di un musical. E allora capiamo che sì, c’è dell’altro. E quell’altro viene chiamato Travestitismo o, per dirla alla francese, performance en travesti: quell’affascinante fenomeno che investe l’estetica, l’arte, la sociologia e la psicologia e che gioca sull’ambiguità del corpo, sul mascheramento, sull’alterazione somatica, su una decostruzione delle categorie significanti che ci coccolano e ci tengono buoni. Perché tutto questo? Perché è liberatorio, è una purga mentale (mi si conceda), è necessità evolutiva. Il travestitismo è però stato tante cose: nel 1600 era il divieto religioso per le donne di praticare le scene teatrali; era l’esigenza dei cantanti evirati del ’700 di far coincidere la propria voce a quella femminile, o ancora, era l’abilità trasformista degli attori di varietà.

una immagine di Dan Leno 1860 1904 620x1099 su Capelloni, Baby doll e Musical en Travesti: le Origini

Nel corso del ’900 le cose cambiano, ed entra in scena il female impersonator. Siamo negli anni ’60 e tutto (o quasi) ruota intorno alla “nascita” di due nuove creaturine, che chiameremo nuovi gruppi sociali o donne e omosessuali. Naturalmente il teatro e il cinema diventano luoghi primari per le sperimentazioni dettate dalla nuova onda culturale, ma non sono solo riflesso della realtà, quanto strumento generatore di nuove analisi e riflessioni. Scandagliando generi e sottogeneri gemellati tra cinema e teatro, incontriamo il musical. E qui ci fermiamo e ci guardiamo un po’ intorno: Webber mette su Jesus Christ Superstar; poi c’è Cabaret, che già si avvicina a quello che cerchiamo. Infine, lo troviamo: Hair (e anche qui dovreste sentire qualche campanella): debutto a Broadway nell’aprile del 1968, autori James Rado e Gerome Ragni. Ora, Hair non è un musical en travesti ma dirompente lo è stato senza alcun dubbio: difatti, laddove la componente trasvestitica non prende forma nelle sembianze di un baffettone con i tacchi a spillo, è la sua intrinseca carica trasgressiva ad essere presente. Hair lo mettiamo proprio lì. Non c’è un travestitismo palesato, ma la sua polarità: riportando sulla scena tutta l’atmosfera di quegli anni, tra contestazione, guerra in Vietnam, ideali di amore libero e libertà, costituisce il musical di rottura rispetto a quella produzione interessata alle versioni spettacolari e di intrattenimento. Ed Hair è fondamentale anche perché utilizza il rock come linguaggio di una generazione che così esprimeva il proprio atto d’accusa e la propria libertà di scelta; la musica riveste una tale importanza da essere il mezzo attraverso cui si sviluppa la narrazione: la storia di una Tribù che canta le proprie visioni sull’amore libero – si veda il triangolo Berger, Claude e Sheila – sulla droga, sulla guerra e sulla vita in generale. Undici anni dopo ne usciva la versione cinematografica, in realtà molto differente rispetto all’originale teatrale – come nello stesso finale – e alla quale toccava il confronto con un pubblico immerso in una realtà molto diversa.

una immagine di Una locandina del musical Hair 620x905 su Capelloni, Baby doll e Musical en Travesti: le Origini

Erede di Hair è a pieno diritto Rent, del 1996 di Jonathan Larson. L’idea prende spunto da La bohème di Puccini ma sostituendo alle soffitte parigine l’East Village di New York: quartiere rifugio di artisti squattrinati alla ricerca di una decorosa esistenza. Rent è un contenitore di nuove e vecchie problematiche, di quei temi ancora tabù, come l’omosessualità e l’AIDS, che al suo interno trovano finalmente posto. Anche qui la musica scandisce lo scorrere delle vite dei suoi protagonisti ed i testi affrontano senza sottigliezze i temi contenuti. Rent fu dirompente quanto Hair lo era stato 30 anni prima, risollevando tematiche che dopo gli anni settanta si era tentato – riuscendoci in parte – di nascondere nuovamente. Ancora una volta nessun travestitismo letterale ma figurativo e assieme una componente musicale in chiave rock come colonna sonora e modalità di ribellione ed espressione. E tutto questo si conserverà.

una immagine di Una locandina del musical Rent 620x958 su Capelloni, Baby doll e Musical en Travesti: le Origini

Un passo indietro nel tempo e ci ritroviamo nel 1975, in piena rivoluzione culturale (e lì il rock andava forte). Proprio in quell’anno i due ragazzetti Jim Sharman e Richard O’Brien creano una serie di personaggi in bilico tra realtà e fantasia, dando il via ad un vero fenomeno di genere, ancora oggi seguitissimo. Coloro che nella notte di Halloween hanno preferito spulciare il what’s on dei cinema al giretto Trick or Treat, avranno magari notato la presenza della versione restaurata di The Rocky Horror Picture Show: un one-off event per riscoprire il film per i più vecchietti e un’occasione per sperimentarlo per i giovani. Opera senza tempo, tutti la conoscono o ne hanno sentito parlare, ma se tra voi ci fosse qualcuno che non l’ha ancora vista, il consiglio è di farlo subito, perché ne parleremo in un prossimo (prossimissimo) articolo, in uno scontro a colpi di tacco tra lo scienziato travestito dottor Frank-N-Furter e la cantante transessuale protagonista di Hedwig and the Angry Inch: musical post-punk o neo glam rock di John Cameron Mitchell e Stephen Trask.

una immagine di The Rocky Horror Picture Show Tim Curry 1 620x375 su Capelloni, Baby doll e Musical en Travesti: le Origini

 


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