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Capire l'economia per capire la realta'

Creato il 28 novembre 2012 da Riecho
Per orientarsi nel panorama economico mondiale, per capire quel che sta facendo la crisi economica e, in generale per non farsi fregare dagli eventi e da coloro che ne tirano le fila, occorre imparare alcuni concetti.
La prima cosa da imparare è che l’Economia non è una scienza di cui si possa fare a meno.
A differenza di quello che ci hanno sempre fatto intuire, cioè che atterrebbe ad una ristretta cerchia di specialisti e che ai comuni mortali non è di nessun giovamento conoscerla, nella realtà l’ Economia, quella vera, spiega le interazioni umane, spiega il modo in cui gli uomini raggiungono i loro scopi e la generazione o l’appropriazione dei mezzi per raggiungerli. Per tale motivo è di fondamentale importanza sia a livello individuale, sia a livello di piccolo commercio sia, ovviamente, a livello nazionale ed internazionale. Senza una decente base economica, non si capisce il mondo esterno, e se non si capisce il mondo esterno, si corre il rischio di essere sodomizzati. Tipo ritrovandosi senza pensione da un giorno all’altro, oppure con una bella patrimoniale sulla casa. La seconda cosa da imparare è che per fortuna, l’Economia non è così difficile come la si dipinge. Non è un argomento adatto a filosofi scevri dalla realtà e non è neppure una sfilza di derivate parziali e funzioni di equilibrio.  L’economia (o come la chiamava Mises, la prasseologia), studia le interazioni umane le quali invero, non sono fatte né di derivate parziali, né di funzioni di equilibrio. L’economia, benché possa sembrarvi strano, è in verità una scienza del “buonsenso”, intendendo con ciò che qualunque suo concetto è facilmente intuibile utilizzando solo il cervello che madre natura ci ha dato. Cervello di tutti, e non di qualche matematico illustre.  L’importante è che quando si analizza un concetto, lo si faccia tenendo il campo scevro da condizionamenti non spiegati dalla logica. Ad esempio, dire che la nostra democrazia (totalitaria e totalizzante) sia un’ottima forma di governo, appartiene a quei condizionamenti sopra esposti, fino a che l’affermazione non viene provata con argomenti logici e convincenti. In giro per le università vengono insegnate diverse dottrine economiche.  Però, essendo l’economia differente dalla Letteratura, di queste dottrine, ne possono essere giuste un numero reale minore o uguale ad 1. Le più fantasiose teorie, completamente scollegate dalla realtà, ma non per questo non spacciate come verità assoluta, propongono concetti assurdi ed allucinanti quali moltiplicatori monetari, velocità di circolazione, incentivazione, plusvalore e tanti altri termini tecnici, che hanno un duplice scopo. Il primo è allontanare voi, la massa, dalla comprensione dell’economia, il secondo è giustificare il furto perpetrato ai VOSTRI danni da parte della cricca dominante, che vive grazie al VOSTRO LAVORO ed al VOSTRO TEMPO, ed ha bisogno, un elevato bisogno, di una giustificazione per poter campare sulle vostre spalle. Questo non dimenticatelo MAI. In realtà l’economia è cosa ben più semplice e lineare che moltiplicatori, spread, cds, bot, bond etc. Basta capire bene un paio di concetti.
  1. Ogni uomo tende a raggiungere i propri fini personali e soggettivi, e per farlo ha spesso bisogno di mezzi. Mezzi che possono essere di ogni tipo, materiale o spirituale. Ad esempio se il fine che voglio perseguire è “dormire all’asciutto”, avrò bisogno di alcuni mezzi per ottenerlo (ad esempio una casa, o un albergo, oppure il trasferimento nel deserto…)
  2. Ci sono SOLO DUE MODI di ottenere i mezzi che reputiamo, soggettivamente, utili a perseguire i fini che ci siamo preposti. Il primo è lo SCAMBIO. Il secondo il FURTO.
Considerato che il furto non è, o meglio non dovrebbe essere la norma, è chiaro che è di fondamentale importanza concentrarsi nella comprensione dello scambio volontario. Per comprendere appieno cosa fa uno scambio, introduciamo il concetto di VALORE di un bene. Su tale concetto, nei secoli passati, le varie teorie economiche si sono scannate a più non posso, ma dalla rivoluzione marginalista, perfino le più becere teorie hanno dovuto accettare la seguente definizione di valore. Il valore di un bene è soggettivo, mutabile nel tempo e decrescente con la quantità del bene che si possiede. Quindi non ha senso dire che il valore di una penna biro è di 30 centesimi di euro, perché per me, che ne ho a sufficienza, il valore di una penna biro è di ZERO euro, in quanto non la compro neppure per 30 centesimi, non mi serve, per me ha valore nullo. Allo stesso modo, se mi trovassi nell’Africa nera, e volessi annotare le iscrizioni di una stele antica e fossi senza penna, probabilmente sarei disposto a pagare anche 30 euro al primo  venditore ambulante che ne avesse una. Per me il valore di quella penna, in quella circostanza, sarebbe maggiore di 30 euro. Vi sembra un concetto banale? Eppure continuiamo, nel 2012, a non capire il concetto di valore di un bene, ossessionati da teorie economiche sconclusionate e dalla conoscenza errata della natura delle cose nel mondo che ci circonda. Basti pensare che un buon 30% della popolazione italiana ha ancora inculcata nel cervello la teoria del     valore-lavoro di stampo marxista. Secondo tale teoria, una merce ha un valore dipendente dalla quantità di lavoro impiegata per costruirlo. Grazie a tale assurda (e vi dimostrerò a breve perché) teoria Marx arriva a definire il plusvalore come la quantità di valore indebitamente sottratto ai lavoratori dai datori di lavoro e, sulla base del plusvalore si è avuto un secolo di rivolte sociali e lotte sindacali. Quello che tutti si scordano di dire è che la teoria del valore-lavoro si è dimostrata sbagliata non ieri, ma oltre cento anni fa, ed è da oltre cento anni che non fa più parte delle nozioni economiche. Qui torna il discorso che facevo prima. Senza conoscere l’economia, si rischia di credere a questa teoria, finendo poi con l’appoggiare i sindacati quando ci espropriano della nostra ricchezza, facendoci credere che in realtà ci stanno avvantaggiando. La teoria del valore lavoro è sbagliata. Infatti questa teoria prevede un valore OGGETTIVO di ogni bene. Ma come dimostrato prima, qual è il valore di una penna a sfera della quale non ho bisogno? Zero, perché a qualunque prezzo la si venda, io non la comprerò. Viceversa, se ne ho necessità, il valore cresce all’aumentare della mia necessità. Ma la necessità è soggettiva e quindi il valore è soggettivo.   La quantità di lavoro impiegato per produrre il bene, non influisce sul valore dell’oggetto, ma sul costo. La quantità di lavoro è un costo. Non un valore. Se così non fosse, diventeremmo tutti ricchi producendo stuzzicadenti a mano, intagliati da un singolo tronco d’albero. Dieci giorni di lavoro a colpi di scalpellino, ed ecco che ho prodotto uno stuzzicadenti dal valoreincommensurabile. Vero? No ovviamente. Ho prodotto uno stuzzicadenti dal costo incommensurabile. Il valore dello stuzzicadenti è quello che ogni persona è disposta a spendere per averlo.  Siccome è probabile che nessuno voglia spendere più di 10 centesimi per pulirsi i denti una volta soltanto e poi buttarlo, abbiamo prodotto uno stuzzicadenti del valore di 10 centesimi, ad un costo di 500 euro. Secondo la teoria del valore lavoro, invece, noi dovremmo automaticamente trovare l’acquirente per il nostro stuzzicadenti hand-made, in quanto il suo valore reale sarebbe di 500 euro. Ciò non accade né mai accadrà e quello che avete appena visto è quello che si chiama malinvestment. O investimento sbagliato. Tenete a mente questo concetto quando si parla di investimento pubblico. Infatti, secondo la stupida teoria economica succitata, qualunque produzione genera ricchezza, mentre la teoria del valore soggettivo (teoria marginalista del valore), ci spiega che solo ciò che ha valore per i compratori genera ricchezza, e solo ciò che può essere prodotto ad un costo inferiore al valore che i compratori, individualmente e soggettivamente sono disposti a spendere per tale bene. Potete notare da questa deduzione che , contrariamente a quanto vi dicono, non sono i costi a determinare i prezzi delle merci prodotte, ma é il valore soggettivo stimato, una volta conosciuti i costi da sostenere, a determinare SE una merce viene prodotta o meno.  In linea di principio, uno può produrre di tutto. Però le risorse materiali e temporali sono scarse, quindi bisogna decidere cosa produrre e cosa no. Viene prodotto solo ciò che costa di meno di quanto la gente sia disposta a pagare. Una conseguenza di questa asserzione è che se la popolazione italiana si impoverisce e non è più in grado di comprare alcuni beni, accade che quei beni non vengono più prodotti. Facciamo un esempio concreto. Supponiamo per assurdo che lo Stato, volendo incrementare le entrate, aumenti le accise sul gasolio. Le accise sul gasolio vanno ad influire su una enorme mole di prodotti, che in Italia viaggiano tutti su ruote, e quindi tali accise diventano un costo netto per le imprese. Consideriamo un prodotto particolare, ad esempio la mozzarella di bufala campana. Dovendo essere portata tramite camion nei vari negozi d’Italia, per effetto dell’aumento di costi, il venditore è costretto o a diminuire i ricavi, o ad aumentare il prezzo. La diminuzione dei ricavi è applicabile con successo se il mercato è vasto e il numero di mozzarelle venduto è sufficientemente alto. In pratica è un discorso che possono permettersi di fare, e fino ad un certo punto, le grandi aziende, le multinazionali, in periodi di consumi elevati. Quando vi chiedete che fine han fatto le piccole imprese, magari a conduzione familiare, e quando vi dicono che la globalizzazione distrugge le piccole imprese in favore delle multinazionali, in realtà sappiate che è l’aumento dei costi imposti per legge a far fuori le cosiddette imprese marginali. Le imprese marginali sono quelle con un mercato piccolo e i cui ricavi sono bassi. Possono esistere fino a che i costi da sostenere non aumentano troppo. Dopo, chiudono in favore delle imprese meno marginali. Quelle più forti. L’altra ipotesi è l’aumento dei prezzi al consumo. Se aumentano i prezzi al consumo però si sposta il target di persone disposte a comprare quel bene. All’aumentare del prezzo, sarà sempre inferiore, il numero di persone che valutano quel bene di valore superiore al prezzo richiesto. Altri si spostano su beni che possono rimpiazzare il bene in questione, ma di minor pregio (e.g la mozzarella di mucca). Diminuisce quindi il bacino di compratori. Quando il bacino di compratori è sufficientemente scarso, come accadrebbe ad esempio se tutto ciò si verificasse in piena crisi economica, all’impresa non conviene più produrre, e quindi chiude o disloca. Il risultato è che in Italia non si trova più la mozzarella di bufala campana, che un certo numero di aziende ha chiuso, che un certo numero di dipendenti è a spasso, che un certo numero di aziende ha dislocato. Non vi basta? Facciamo un altro esempio. Le prestazioni di un idraulico. Supponiamo che abbiate a riparare una conduttura idraulica. Chiamate l’idraulico e questo vi fa il prezzo in nero: 400 euro. Ma voi, che siete stati indottrinati dalle campagne stampa di Befera, della Rai, di Monti e di Passera, volete fare i bravi cittadini e chiedete ovviamente la fattura. L’idraulico ripassa il preventivo. Il lavoro che prima vi veniva 250 euro di spese e 150 di manodopera, viene caricato di tutte le tasse del caso e il prezzo lievita magicamente a 1000 euro. Su quei 1000 euro, 600 di riffa o di raffa vanno allo Stato, 250 in spese nette e 150 all’idraulico. A meno l’idraulico chiaramente non spende il suo tempo. Comincia a preferire l’accattonaggio in stazione, o un posto da dipendente a stipendio assicurato e zero sbattimenti burocratici. Ma voi che siete diligenti, non ci pensate neppure di diventare porci evasori fiscali e dargli 400 euro. Il problema è che non vi potete permettere di spendere 1000 euro per un tubo. Ed ecco che fate la cosa che abbiamo fatto tutti. Vi riparate il tubo da soli. Vi armate di tempo, pazienza, Youtube, e con l’aiuto di un buon ferramenta, fate da voi la riparazione che vi avrebbe fatto l’idraulico. Spesa totale 250 euro più il vostro tempo. Il risultato è che avete speso meno moneta contante, ma avete speso il vostro tempo in qualcosa in cui non siete ferrati come l’idraulico, e quindi avete speso molto più tempo di quello che avrebbe speso l’idraulico. Inoltre, avrete svolto il lavoro in maniera sicuramente peggiore di come avrebbe fatto lui. In compenso, in una società di non evasori, l’idraulico smette di riparare tubi e si concentra in quei lavori che la tassazione non ha reso fuori mercato. Che cosa è successo? E’ successo che la tassazione ha distrutto la divisione del lavoro. La divisione del lavoro è alla base del progresso. E’ grazie alla divisione del lavoro se voi andate tutti i giorni al lavoro e non vi preoccupate di allevare animali, macellarli, piantare il grano, macinarlo, trasformarlo in pasta and so on. La divisione del lavoro permette a voi di fare UN lavoro e per mezzo dei frutti di quello, nel quale siete specializzati e riuscite meglio, vi pagate i beni di cui avete bisogno e che sono il frutto del lavoro di altri. Una società in cui gli individui fanno il loro lavoro, poi si riparano l’impianto idraulico da soli, poi l’impianto elettrico da soli, poi si fanno il pane da soli, poi si fanno i pomodori da soli, poi si fanno le opere di muratura da soli, è una società povera, senza speranza di arricchirsi. Questo perché il valore prodotto dai lavori “secondari”, è minore, ceteris paribus, rispetto al valore prodotto dal vostro lavoro principale. Il che significa in soldoni che sareste stati molto più ricchi se invece di impiegare il vostro tempo in tutti quei lavori secondari, lo aveste impiegato tutto nel vostro lavoro principale. La divisione del lavoro spinge verso una società in cui ognuno fa quello che sa fare meglio e con i frutti di ciò acquista i beni di cui necessita da altri lavoratori specializzati. Ognuno impiega meglio il proprio tempo e paga il prezzo minore possibile per i beni prodotti da altri. Già, perché il tempo è denaro, come avrò modo di spiegarvi in un successivo post. Se riprendete l’esempio dell’idraulico, potete fare una rozza approssimazione. Le spese sostenute dall’idraulico per fare il lavoro X, sono 250 euro + SUO tempo. Le spese sostenute da voi sono 250 euro + VOSTRO tempo. Siccome però il suo tempo è inferiore al vostro, vi ritorna che è più efficiente (meno costoso) se ai tubi ci pensa lui? Vi ritorna che avete speso di più per un prodotto inferiore? (la riparazione fatta da voi). Chiaro però che se arriva Terzi e vi chiede 600 euro di tangente perché avete osato far riparare il tubo ad un professionista, ecco che solo allora vi diventa conveniente ripararvi da soli l’impianto, perché potete evitare di pagare la tangente. Che poi, è interessante notare che in questo caso la vostra coscienza è pulita. Non avete evaso il fisco. Ma all’atto pratico, la tangente su quel lavoro, il fisco non l’ha incassata. Se analizzate la situazione noterete che facendovi il lavoro da soli, non soltanto avete privato il fisco della tangente (e quindi provocato gli stessi effetti dell’evasione fiscale che avreste commesso pagando l’idraulico a nero), ma siete stati meno efficienti e avete fatto un lavoro meno pregiato. Inoltre, non avete creato occupazione come l’avreste creata pagando in nero. In pratica, lo Stato Italiano vi giudica cattivi se puntate ad una produzione efficiente (qualità e tempo) evitando di pagare la tangente, ma stimolando l’economia;  vi giudica buoni se vi accontentate di un lavoro fatto maluccio, a costo di enormi sperperi di tempo, senza stimolare l’economia. Veniamo infine a descrivere cosa accade in uno scambio volontario. Per quanto detto fino ad adesso, il valore dei beni è soggettivo. Lo stesso bene viene valorizzato in maniera differente dai due partecipanti allo scambio. Quando comprate la penna a sfera di prima al costo di 30 centesimi, lo fate per la differente valorizzazione data alla penna da voi e dal commerciante. Il commerciante valuta la penna meno di 30 centesimi, tanto è vero che è disposto a privarsene per quel prezzo. Voi, dal canto vostro, valutate la penna più di 30 centesimi, altrimenti vi terreste i soldi e lascereste la penna al commerciante. Non è vero, come invece si sente ripetere a sproposito, che lo scambio è alla pari. Uno scambio alla pari non ha ragione di essere fatto. Se per voi è indifferente avere una penna biro o 30 centesimi e se per il commerciante pure, lo scambio non avviene. Non c’è alcuna ragione di incontrarsi e impiegare il tempo per farlo. Uno scambio volontario è un gioco a somma positiva: un gioco in cui entrambi guadagnano.  Voi avete guadagnato la penna, che per voi vale più di quanto l’avete pagata, e il commerciante ha guadagnato 30 centesimi, che per lui valgono di più della penna. Viceversa, uno scambio forzato, o peggio un furto, sono giochi a somma zero:uno guadagna,l’altro perde.Tralasciando il furto, in cui tutto ciò è lapalissiano, uno scambio forzato (es. dalla legge) è uno scambio in cui voi ricevete un valore per voi inferiore a quello di ciò che perdete. Per l’ovvia ragione che se vi costringono a farlo, è perché in via naturale non lo avreste accettato, non ritenendo la compensazione per il valore perso, sufficiente a coprire il valore soggettivo che date al bene al centro dello scambio. Questa differenza è fondamentale, va mandata a mente e ripetuta come l’Ave Maria. Chiudo questo lungo post con un ultimo esempio. Pensate ai famosi scambi di figurine dei calciatori che quasi tutti i maschietti hanno fatto da ragazzi. Le figurine dei calciatori sono tutte stampate in numero uguale, sono teoricamente tutte dello stesso “valore”, per una teoria economica a cappella. Ma tutti voi avrete scambiato  anche 10 figurine per ottenere quella che vi permetteva di chiudere l’album, o soltanto quella del vostro calciatore preferito. Questo vi dimostra la soggettività del valore. Nonostante le figurine siano tutte uguali in termini di costi e in termini di offerta sul mercato (sono equiprobabili), voi avete valutato QUELLA particolare figurina più delle 10 che avete scambiato. Viceversa, il vostro compagno di banco ha reputato quelle 10 figurine avere un valore maggiore di quella che ha scambiato con voi. Al termine dello scambio, voi avete guadagnato soggettivamente e lui ha fatto altrettanto. Se viceversa arriva Gino, vi punta un coltello alla gola e vi costringe a scambiare la vostra figurina appena ottenuta  con quella di Facchetti, di cui magari ne avete già 4 e non sapete che farci, Gino è ovvio che ci ha guadagnato, ma voi siete sicuri di averci perso. Eppure anche lì secondo astruse teorie economiche, avreste fatto uno scambio alla pari, perché secondo queste teorie, il valore di entrambe le figurine è lo stesso. Grazie per l’attenzione. Scusate la logorrea ritrovata.
Alex Libertyfighter, contributor EconomiaeLiberta.com blogger at: http://libertyfighter.wordpress.com/

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