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Capitalismo di stato

Creato il 04 novembre 2012 da Vincitorievinti @PAOLOCARDENA

CAPITALISMO DI STATO La teoria del capitalismo di Stato è stata sviluppata da uno dei più illustri storici del nostro tempo, Eric Hobsbawm, da taluni considerato, addirittura , il massimo storico contemporaneo. Hobsbawn è morto di recente a Londra alla venerabile età di 95 anni.
In sintesi il capitalismo non dà cenni di morire, ma sta attraversando una profonda evoluzione, dove alla vecchia borghesia “illuminata, innovativa, anche se rapace” stanno subentrando sempre più le istituzioni dello Stato. Se quanto sopra è facilmente riscontrabile in Cina, lo è anche per il Giappone, dove ancora esiste una forte coesione nella pianificazione industriale ed economica fra aziende e stato (il vecchio e potente Miti non è sparito come ente, ma è stato inserito nel ministero dello sviluppo economico) e un forte senso dello stato da parte del popolo che favorisce l’acquisto di prodotti nazionali. Certo che è un paese con le sue peculiarità, forte nelle esportazioni, critico sull’età media e sul tasso di natalità, restio alle immigrazioni, debito esorbitante, abbandono del nucleare, etc.

Ma analoghe considerazioni sul capitalismo di stato, naturalmente ognuno con caratteristiche peculiari, si possono fare per Russia, per Norvegia e Svezia, per il Brasilee altri paesi sud-americani (Venezuela anziché Argentina), per la Turchia e l’India ma anche, in un contesto più limitato, per Australia e New-Zealand. Anche in Canada il legame fra governo e industria è molto stretto: simbolico il recente rifiuto del governo a fare entrare nel campo delle telecomunicazioni aziende est-asiatiche. Un esempio su cui meditare è laTurchia, paese con un buon tasso di sviluppo industriale dove l’agricoltura è comunque ancora il 30% circa del Pil. Collocata in un centro nevralgico fra il mondo occidentale e il mondo mussulmano, sotto la gestione ferrea del governo Erdogan , oggi al terzo mandato, ha segnato negli ultimi anni significativi aumenti del Pil e del reddito pro-capite, anche se con un tasso di inflazione non trascurabile. In genere le attività industriali sono sempre state portate avanti da grandi gruppi finanziari, le cosidette “famiglie” ( diversi anni fa, nelle mie esperienze professionali, ho avuto occasioni di lavoro con la “famiglia” Koc) che sono presenti in tutti i campi attraverso joints con aziende estere che hanno ivi trasferito le tecnologie, sempre con il superiore beneplacito e supervisione del governo. Si pone molta attenzione alle importazioni nette di prodotti esteri, limitandole con vari artifici. I più importanti rapporti export-import sono con la Germania, dove, fra l’altro, lavorano decine di migliaia di cittadini turchi. Notevoli gli investimenti in apparati militari. Il welfare lascia a desiderare per la ferrea posizione assunta dal governo nei confronti del sindacato. Una prima ovvia deduzione è che parliamo di stati sovrani ognuno con moneta propria.Per alcuni di questi possiamo dire che il processo di gestione statale è stato agevolato da una importante disponibilità di materie prime.
Dove le materie prime non sono determinanti, lo Stato è intervenuto limitando le importazioni, favorendo sia la localizzazione all’interno di industrie straniere sia l’esportazione di prodotti “made in house”. Il principio basilare è quello, molto semplice, di difendere e sviluppare i posti di lavoro localmente.
E’ la strategia che cercano di attuare anche piccole e povere nazioni per portare industrie nel proprio paese (Irlanda, Macedonia, Serbia, etc, ma anche Svizzera che tanto povera non è).
Anche gli USA, con la presidenza di Obama, ha cercato di realizzare un intervento da stato capitalista: l’introduzione del piano Medicare e i grossi contributi dati al sistema bancario e industriale sono azioni che rendono palese, quando necessario, la mano dello Stato.
La Francia difende certe sue attività industriali definendole strategiche e non si tira indietro per trovare il modo di aiutare la Peugeot in difficoltà, alla barba delle rimostranze della comunità europea (leggasi delle case automobilistiche tedesche).
In linea di principio, lo Stato ha tre esplicite funzioni:quella di sviluppare infrastrutture moderne ed efficienti e di effettuare le grandi opere; la seconda è il welfare. La terza e più importante è quella di intervenire in tutte le forme possibili per facilitare lo sviluppo industriale. La carenza di pianificazione a difesa dell’industria nazionale sia da parte dell’Italia sia da parte di altre realtà del mondo occidentale, ha agevolato gli stati emergenti e la Cina in particolare, a scapito dell’economia dei primi, incapaci di difendersi di fronte alla strategia di quei paesi che operano sotto la forma del capitalismo di stato, utilizzando leve che l’establishement occidentale e i disuniti interessi dei paesi EU rifiutano di contrastare, prevalendo gli egoismi nazionali. La crescita frenetica della Cina, con lo spostamento di grosse masse di agricoltori sulle linee produttive è avvenuto senza curarsi del welfare dei lavoratori e questo potrebbe essere fonte di futuri problemi sociali. Per contro il mondo occidentale reagisce, per difendersi, agendo, in forma riduttiva, sul proprio più o meno elevato livello di welfare accumulato in anni di battaglie sociali. Anche questo può essere foriero di futuri scontri sociali. Da non sottovalutare, infine, l’instabilità cruenta del nord-africa e del medio-oriente, caratterizzata indubbiamente anche da profonde e antiche divergenze religiose, ma inevitabilmente mossa da una volontà di riappropriarsi delle enormi fonti energetiche di cui tali territori dispongono con l’obiettivo (forse irrealistico) di creare uno Stato arabo unito. Le iniziative di nazionalizzare le risorse da parte dell’Iran o della Nigeria o di Chavez e Lula in sud-america e sul fronte bellico le azioni “terroristiche” di Al-Qaeda aiutano ad alimentare il suddetto obiettivo. In questo scenario di assoluta instabilità si inserisce il quadro della comunità europea, dove gli squilibri fra i vari paesi hanno raggiunto valori molto probabilmente irreversibili. L’errore, è inutile negarlo, è stato fatto quando si è preteso di fare un’unità monetaria prima di fare un’unità politica e soprattutto economica. Fa ancora più rabbia che a spingere tale unione da parte dell’Italia siano stati personaggi come Prodi che, per parecchi anni, avevano gestito aziende italiane controllate dallo Stato (IRI) e che avrebbero, quindi, dovuto sapere quali sarebbero state le conseguenze derivanti, per l’industria nazionale, dall’entrare in una comunità monetaria europea (e ci avevano già picchiato il muso con l’esperienza SME). Le conseguenze sono state semplicemente disastrose. Il sistema monetario unico, come gli eventi hanno dimostrato e continuano a dimostrare, hanno favorito alcuni paesi ad acquisire crescenti surplus commerciali, mentre altri hanno accumulato crescenti deficit. Ciò porta con sé due effetti indesiderati: trasmette pressioni inflazionistiche da alcuni membri ad altri e, in secondo luogo, pone i paesi in surplus nelle condizioni di fornire finanziamenti a tassi più elevati ai paesi in deficit in scala crescente. Questa differenza di tassi rendono più efficienti gli investimenti delle aziende dei paesi più ricchi, amplificando, tutti i sacrosanti anni, la differenza di competitività con i paesi “periferici”, sia sul lato del costo del lavoro sia sul lato del costo globale dei prodotti.
Le aziende dei “periferici” sono costrette, nel tempo, a chiudere o a trasferirsi in paesi a costo del lavoro “agevolato”, con il drammatico risultato dell’estinzione del tessuto industriale locale.
L’Italia fra aziende private e aziende a partecipazione statale aveva un più che discreto e invidiabile tessuto industriale, corrotto, magari, e colluso con la classe politica, ma né più né meno come lo sono, attualmente, tutte le istituzioni dello Stato.Ma c’era lavoro e un operaio con 1,5 milioni di lire riusciva ad arrivare alla fine del mese; oggi con € 1200-1300 non riesce ad arrivare alla terza settimana.
Voglio dire, non c’era bisogno di entrare nell’euro, per risanare i conti dello Stato ed eliminare gli sperperi e i contributi ai politici. Con “mani pulite” ci siamo fermati all’inizio della strada, poi non c’è stato il coraggio o la volontà di percorrerla fino in fondo.
Con l’insana idea di ridurre il debito attraverso la vendita di assets, inclusi quelli produttivi, la maggior parte dell’industria italiana a controllo statale è stata privatizzata con risultati negativi; parte di essa è andata in mani estere che, con il tempo, hanno chiuso le attività italiane e trasferito la produzione in altri siti, mantenendo solo il mercato. La medesima situazione si è verificata per molte aziende private. Abbiamo perso centinaia di migliaia di posti di lavoro e continueremo a perderne. Oggi ci troviamo ad essere uno stato satellite dell’economia teutonica, non dobbiamo avere timore a dire che abbiamo perso la nostra autonomia e la nostra sovranità, a dispetto di quello che ci propinano i professori del governo o gli zombie che ancora girano fra i partiti politici.
Non abbiamo più la possibilità di diventare anche noi uno Stato Capitalista, perché non c’è la volontà né il coraggio di uscire dall’euro. Ma peggio ancora professori e politici non hanno la minima idea di come rilanciare la ripresa economica (come troppo educatamente ha riferito anche il presidente di Confindustria ). In compenso sono ferrei esecutori dei diktat europei.
Se l’obiettivo della Germania è quello di fare, nei prossimi anni, dell’Europa unita un nuovo Stato Capitalista, prepariamoci a subire altri sacrifici perché nel processo di unificazione è indubbio che prevarranno sempre gli egoismi nazionali dei più forti.
Personalmente sono demoralizzato e, data l’età, incapace di reagire, ma, sono ancora più scoraggiato dall’atteggiamento dei giovani, succubi di questo degrado che accettano più o meno inconsapevolmente. Le recenti elezioni in Sicilia hanno dimostrato che il paese non crede più alla classe politica e i voti al M5S indicherebbero che c’è voglia di cambiamento …. Possiamo dire che sta passando l’ultimo treno; se i giovani non sono capaci di prenderlo al volo ci ritroveremo, nei prossimi anni, ad affrontare un più che probabile default.
Guest post intermarket&more che ringrazio

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