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Capolavori - Lo Spaccone (The Hustler, 1961)

Creato il 13 novembre 2010 da Ludacri87
Capolavori - Lo Spaccone (The Hustler, 1961)
Si spacca la calotta di grugni di un giovane spaccone, si spacca lo spaccone in mille pezzi, frantumato come un vetro di tanti particolari, scheggiato nel cuore reciso dal cervello, braccato da un quartino di bourbon che diventa un fiume. Si spacca lo spaccone, si spacca la sua schiena dritta, il suo fare sicuro, la sua fame di gioco. Si spacca la sua scorza dura e tramortita, e rimane Eddie, semplicemente Eddie, magari amareggiato, curvo, sempre sfacciato, ma meno baldanzoso, meno sicuro, meno pacificato. Eddie non è stato, in realtà, mai un uomo in pace con sé stesso, affogando la sua vita nel whisky, un whisky d’annata o di bottiglia, di un bar qualunque o di una stazione, di una casa da gioco, di una sala da biliardo, immersa nel puzzo d’alcool e nell’umidità del legno, nel profumo del tappetino e nel puzzo di sudore che, d’ora in ora, di partita in partita, brulica dalla fronte dei combattenti, un duello senza fine, la palla in buca, l’errore, la stecca che è ferma, la mano attenta, l’occhio lucido, martellante il suono dell’applauso, l’apoteosi del punto, in una gara che non guarda in faccia il giorno o la notte, il tempo, l’ultimo soldo rimasto, la manica corta di una camicia da offrire in pegno, la donna amata. Lo spaccone viaggia su drappelli che non sono di seta, fuma come se fosse una locomotiva, si muove come se fosse un piccolo sovrano. Lo spaccone spacca l’ottica della fortuna, spacca il capello della bravura, vive nel gioco e continua a giocare per il gusto di farlo. La vittoria è il lusso che non si concede, sembra avere il complesso dell’essere battuto. La vittoria è a portata di mano, quando la stai per prendere, lasci che le mani vadano, ma che la testa non funzioni, come se si ibernasse al solo pensiero di battere un campione come Minnesota “Fats”, un viso più rilassato, gli anni della gavetta ed il temperamento signorile ma deciso, il corpo disteso, l’occhio attento, la sincerità scontrosa ma lucida di chi accetta il doppiogiochismo e il pressappochismo delle gare dei nuovi tempi, del loro sistema di finanziamento, dell’aspetto spettacolare e del rendiconto tagliuzzato dalle mani di un avido procuratore. La partita, l’inizio dello scontro. E, nello sport, i due contendenti, molto spesso, non si combattono realmente tra loro: combattono sé stessi, la misura delle proprie capacità (io sono il più forte che hai conosciuto, sono il più forte di tutti! Anche se mi batti resto il più forte, dice Eddie) e combattono il sistema che li nutre ma, in cambio, viene nutrito delle loro linfe, che, prosciugate, disidratano il corpo, fin a star male. L’ultima partita, c’è chi vince e chi perde ma non c’è, davvero, lo sconfitto. Il commiato è un vicendevole scambio di complimenti sentiti, la vita scorre su due prospettive diverse: c’è chi continua a giocare e chi, forse, smette, chi dagli eventi è stato travolto, chi nemmeno toccato, chi è giovane e chi meno. Eddie è uno sguardo complesso sulle capacità, sui sogni. La sua donna è circondata di menzogne e di bugie, di whisky e di scotch, una lacrima che si asciuga, un pianto, un bacio passionale. Il suo procuratore è arrivista, per nulla fine, poco discreto, diretto, altezzoso e pronto a distruggere chiunque gli capiti a tiro. “Lo spaccone” è un ritratto che spacca il ritmo, spacca la parola, spacca il gioco, spacca i cuori, il mito, è un ritratto che spacca la calotta di grugni di un giovane e scheggia il suo cuore, come detto. E’ cupo Eddie, nel film capolavoro di Robert Rossen, è cupo come quando la pallina non va in buca. Ma non sarà così, per sempre: Eddie ritornerà con Scorsese ne “Il colore dei soldi” e il tono sarà diverso. Rossen crea in un pugno di mosche una scena fatta quasi esclusivamente di interni; il tavolo verde diventa simbolo di vittoria, di spregiudicato successo, di soldi, accelerando la spirale della violenza solo sul finale. E’ un film sui vecchi bar, sui silenzi assorti mentre si attende il treno, sulle valigie da rifare, sul machismo, sull’incapacità di subire violenza dal mondo. In questo ultimo senso, il personaggio interpretato da Piper Laurie, Sarah, è un refuso di alienazione e di disfacimento amoroso implacabili. E Paul Newman ha la parte, forse, più bella della vita, mentre Jackie Gleason è irresistibile, impeccabile anche con il sudore sulla fronte di una partita instancabile.
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