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Cara susanna

Creato il 15 maggio 2015 da Speradisole

l43-susanna-camusso-120403130812_bigCARA SUSANNA

Cara Susanna,
da delegato aziendale della sigla che ci accomuna e con il rispetto che si deve al tuo ruolo, provo a porti qualche considerazione sulla percezione che nei luoghi di lavoro – e più ampiamente tra le persone – si ha della nostra Cgil. Proprio per amore della stessa.

Le scelte che hanno caratterizzato e che stanno caratterizzando il tuo mandato, sono per molti identificabili come un eterno no a qualsiasi tentativo di cambiare un sistema. Lo stesso che negli anni ci ha portati alle emergenze attuali per l’immobilismo, le rendite di posizione e le comode conservazioni che hanno fatto della fissità uno degli elementi distintivi del nostro paese.

Le responsabilità probabilmente sono da cercare anche tra gli attori di una vicenda sociale per lungo tempo condizionata da ispirazioni anche di natura consociativa, in una situazione dove non si coglieva – come non si coglie – la necessaria autonomia dalla politica. Che di certo è un interlocutore essenziale ma anche altro rispetto ad un sindacato, che non può più essere la propaggine operativa di un partito o parte di esso, facendosi, addirittura, movimento politico o puntello di un’opposizione “casalinga” che disconosce, senza memoria, gli equilibri democratici tra maggioranza e minoranza.

Le indicazioni di voto date in occasione delle primarie del 2012, l’impegno politico di alcuni all’interno delle camere del lavoro o in qualche importante categoria ai livelli più alti, i “suggerimenti” su come comportarsi in vista delle regionali del 31 maggio, non sono solo un’indebita invasione in un campo che non è il nostro, ma anche una sottrazione di dignità all’azione che dovrebbe contraddistinguerci ogni giorno.

Al netto delle opinioni che ciascuno può avere in merito alla politica dei partiti della nostra area e alle scelte che con fatica l’attuale esecutivo ha avviato, scelte che, a guardar bene, sono persino sovrapponibili alla visione e alla lungimiranza che per decenni ha attraversato anche la nostra organizzazione. Grazie a chi, almeno allora, tentava di leggere e precedere una realtà comunque in divenire (continuate a formarci su Di Vittorio, Lama e Trentin).

Il rapporto con i lavoratori è mutato sensibilmente e, ritengo, definitivamente.

L’appartenenza ideologica è tramontata insieme ad ideologie oggi usate come accreditamento per giustificare politicamente altro, per lasciare il passo ad una condivisione fondata sul senso del domani e sulle prospettive da costruire senza voltarsi indietro, sulla scia di quella che a tratti è apparsa come un’autentica celebrazione da mero istinto di sopravvivenza spacciato per bene comune.

Diminuiscono le adesioni, diminuisce la capacità di contrattazione nelle aziende, diminuisce, soprattutto, una fiducia nei nostri confronti che non può più reggersi sulla memoria dei bei tempi andati. Quando l’Italia era un’altra e con essa i bisogni di una comunità.
Non cogliere questi aspetti vuol dire votarsi all’isolamento. Un isolamento che anzitutto alberga nell’immagine sindacale che i cittadini hanno, cittadini che da tempo guardano altrove e per i quali rivolgersi ad una parte sociale significa anzitutto usufruire di un servizio.Rimanendo, per il resto, della propria, personale convinzione, da rispettarsi come tale senza orientamenti da fornire.

Forse, consentimi, sarebbe il caso di rileggersi per essere più vicini ad un mondo che cambia quotidianamente. Un mondo che ha ancora bisogno dei cosiddetti corpi intermedi, nella loro capacità di creare ma davvero un punto d’incontro e di sintesi tra le esigenze di una nazione e quelle di ogni singolo individuo nella sua unicità da valorizzare. Una capacità che per quella che è la formazione storica della nostra sigla, sappiamo di avere meglio di altri.

I numeri odierni ci raccontano di segnali positivi che certamente da soli non bastano. Ma per alimentare la fiducia di cui ognuno ha bisogno, serve anzitutto una capacità propositiva nuova e priva di prevenzioni anche da parte nostra, dove il diritto di veto non sia più l’unico aspetto su cui insistere in virtù di una forza che, ci piaccia o no, da tempo è venuta meno.

Come volontario e appassionato quale sono oltre che come lavoratore, assisto con vera preoccupazione alla china che stiamo assumendo. Una deriva partitica ed una stagnazione ormai consolidati, in cui agire a nome e per conto di un’organizzazione fondamentale ed imprescindibile come la Cgil, imporrebbe maggiori cautela e rispetto.

Non so quale sarà il futuro del nostro sindacato, avendo presenti le dinamiche tutte interne (non più rinviabili né camuffabili) che interessano la tua successione ed una categoria che da anni si è smarcata dall’idea di dover rispondere ad una confederazione. Un qualcosa che alla fine distoglie, insieme alla politica, da quella che dovrebbe essere la nostra missione effettiva.

Un lusso che non possiamo permetterci verso il paese, verso le lavoratrici ed i lavoratori, verso chi cerca un futuro. Persone che chiedono alla Cgil proposte davvero compatibili con i bisogni del nostro tempo, bisogni che sono di tutti e non solo di una classe dirigente anch’essa, ormai, da rinnovare non solo formalmente.
Anzitutto nella visione.

Con sincero rispetto,
Emiliano Liberati



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