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Carcerato per un ideale: Óscar López Rivera compie 32 anni di detenzione

Creato il 13 giugno 2013 da Eldorado

È il prigioniero politico da più anni rinchiuso in una prigione. Si chiama Óscar López Rivera e sebbene sia detenuto da 32 anni non è giunto neppure alla metà della pena a cui è stato condannato. Non ha commesso nessun omicidio, nessuna strage. La sua condanna è arrivata per sedizione, furto e tenenza illegale d’armi. Una roba da niente per alcuni sistemi legali, sicuramente da libertà vigilata per altri, da pochi anni di detenzione infine nei paesi più severi.

López Rivera non è rinchiuso in qualche carcere asiatica da incubo o di qualche paese totalitarista. È prigioniero del sistema legale statunitense, da cui è stato condannato per un ideale, quello dell’indipendenza di Porto Rico, un paese che gli Stati Uniti hanno occupato nel 1898 e dal quale non se ne sono mai andati.

López Rivera è per molti versi un patriota; un patriota trasversale visto che ha servito gli Usa ed il suo paese di origine. Nato a Porto Rico nel 1943, a nove anni si trasferisce con la famiglia negli Stati Uniti. Vive a Chicago e fa il suo dovere di buon cittadino: va addirittura in Vietnam dove guadagna la Stella di bronzo ed al suo ritorno inizia a lavorare nell’associazionismo partecipando ai progetti di emancipazione della minoranza portoricana di Chicago. È tra i fondatori del progetto Alas, destinato all’educazione dei detenuti ispani nelle carceri statunitensi e di Free, che lavora per il recupero dei tossicodipendenti. Negli anni Settanta, però le Fuerzas Armadas de Liberación Nacional, entità che lotta per l’indipendenza di Porto Rico, compiono decine di attentati negli Usa. Uno in particolare, provoca quattro morti ed una cinquantina di feriti nella popolare e storica Fraunces Tavern di New York. López Rivera viene indicato dalle autorità come uno dei leader del gruppo armato, arrestato a processato. Non c’è alcuna evidenza che leghi López Rivera agli attentati, ma la giuria lo ritiene lo stesso colpevole di sedizione e di rapina a mano armata. La posizione dell’imputato si aggrava quando lo stesso López Rivera si dichiara prigioniero politico, una questione di principio a cui non rinuncerà mai. Risultato: una condanna a 70 anni di prigione. I primi dodici li ha passati in isolamento, una condizione brutale più volte denunciata da Amnesty International e da altre organizzazioni per il rispetto dei diritti umani. Con gli anni, tutti i suoi compagni delle FALN hanno ottenuto la libertà (la maggior parte di loro indultati da Clinton); per Óscar l’udienza per discutere la sua scarcerazione è prevista tra dieci anni, nel 2023.

López Rivera è insomma detenuto per il solo reato di voler difendere le proprie idee, in un paese dove, evidentemente, un’opinione fa paura. Negli ultimi anni decine di personalità hanno chiesto la liberazione di López Rivera e l’ultima manifestazione di appoggio si è tenuta nelle principali città portoricane e statunitensi la fine dello scorso maggio, ricorrenza del trentaduesimo anno di detenzione. Stelle del cinema, del baseball, personalità politiche –lo stesso governatore di Porto Rico-, cantanti hanno chiesto a Barack Obama che prenda in considerazione il caso di López Rivera e dimostri un atto di coraggio: quello di liberare un uomo la cui unica colpa è stata quella di protestare contro un sistema che ritiene iniquo. Un attivista che cerca la giustizia sociale e l’emancipazione di quanti il sistema ha ingiustamente appartato. López Rivera ha dimostrato anche dal carcere di non essere un violento: una condotta impeccabile, una estensa produzione di scritti e l’amore per la pittura hanno più che manifestato le qualità umane di un prigioniero politico vittima di quello stesso sistema che si era riproposto di riformare.

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