Magazine Italiani nel Mondo

caro Nichi

Creato il 12 aprile 2011 da Luci

caro Nichi,

sono venuta a sentirti, ieri sera, nel cinema pieno di bella gente della mia città. in effetti ero in ottima compagnia e questo mi metteva già di buon umore.

ho ascoltato le tue parole accorate, ho seguito lo sbracciare tutto italiano dei tuoi gesti, quando il discorso si faceva più acceso, quando le parole appassionavano prima tu che le pronunciavi e poi chi le sentiva.

Da qualche settimana mi sono iscritta a SeL, confesso, non con entusiasmo, che noialtri, si sa, non siamo mai contenti.

Mi sono iscritta a SeL per provare a ricostruire dal disastro che, non il berlusconismo, ma la peggiore classe dirigente che il centro sinistra abbia mai avuto, ha fatto delle forze progressiste del paese.

Per fortuna l’incapacità cronica permette, paradossalmente, di limitare i danni: ho visto ieri sera e vedo ogni giorno, negli occhi dei compagni non solo di SeL (che a lucca si contano sulla punta delle dita) ma anche del PD e di chi in questo momento sta alla finestra, la voglia di ripartire, la voglia di uno scatto, la forza di opporsi allo sfacelo civile che il berlusconismo, questo sì, ha fatto nel paese e, temo, continuerà a fare.

Queste persone erano a sentire te, ieri sera, a riempire un cinema di applausi e di entusiasmo.

E quando hai parlato di Ilaria, la mia Ilaria, la nostra Ilaria, mi è venuta voglia di prenderti per mano.

Hai detto che a Lucca conserviamo, nei due centimetri di “marmo lieve” delle palpebre di Ilaria, un pezzo fondamentale della storia dell’arte. Così facendo non hai solo parlato di lei, ma anche di lui, che così bene la descrisse nelle Ceneri di Gramsci.

le ceneri di Gramsci è un libro che ho conosciuto da giovane, che nessuna gioventù può davvero chiamarsi tale se non è attraversata, percorsa, permeata dalla poesia. Me lo prestò un ragazzo, che allora si credeva vecchio e che era invece poco più di un bambino.

Mi è venuta voglia di prenderti per mano, e portarti lì, non “nel claustrale transetto” ché lì Ilaria non c’è più, il claustrale transetto è riempito di tubi innocenti, perchè sta crollando sotto il peso degli anni e degli errori.

adesso Ilaria è in sacrestia, ti ci porterei, in silenzio, passando per il glicine di piazza San Giovanni, che ora è fiorito e profuma di casa. ti ci porterei passando per piazza Antelminelli, con la fontana rotonda, inquinata dagli aperitivi dei cretini col SUV, che a Lucca abbondano almeno quanto i piccioni.

ti ci porterei passando per piazza del Giglio, con la statua di Garibaldi, perchè avevi ragione quando hai detto ieri sera che siamo tutti più patriottici solo perchè c’è qualcuno che vuole la nostra “patria” sbriciolata, ma che il concetto di patria stessa è un discorso vecchio e superato dal tempo.

ti ci porterei passando da piazza Napoleone, san Michele, la Pupporona, che disseta i lucchesi con un’acqua che esiste da che esiste il mondo, e i lucchesi si mettono in fila, d’estate, con le bottiglie sulla bicicletta e la Nazione in tasca, perchè i lucchesi non sono ecologisti di sinistra, sono solo tirchi di destra, ma a volte ha i suoi vantaggi.

ti porterei a vedere la mia città, deserta di notte e illuminata desolatamente a giorno, per scongiurare la criminalità, e dove si lascia suonare, parlare, riunire, manifestare i neofascisti alla luce del sole, perchè il concetto di criminalità della gente normale non è lo stesso concetto che abbiamo a Lucca.

e una volta di fronte a Ilaria ti vorrei dire che, nella stanchezza del viaggio e dei comizi, ti sei sbagliato, le sue palpebre non sono di “marmo lieve”.

Pasolini usa un altro aggettivo, un’altro concetto. che unisce, come spesso succede, la mia città alla nazione, la mia piccola provincia come specchio del paese.

le palpebre di Ilaria sono “di marmo rassegnato”.

“rassegnato”.

come io non voglio essere più.

“….., e Ilaria, solo Ilaria…

Dentro nel claustrale transetto

Come dentro un acquario, son di marmo

Rassegnato le palpebre, il petto

dove giunge le mani in una calma

lontananza. Lì c’è l’aurora

e la sera italiana, la sua grama

nascita, la sua morte incolore.

Sonno, i secoli vuoti: nessuno

Scalpello potrà scalzare la mole

tenue di queste palpebre.

Jacopo con Ilaria scolpì l’Italia

perduta nella morte, quando

la sua età fu più pura e necessaria”.


Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog