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Caro uomo

Creato il 25 novembre 2014 da Cultura Salentina

Caro uomo

25 novembre 2014 di Titti De Simeis

Caro uomo
Ciao uomo,

la mia è solo una voce tra tutte quelle che vorrebbero scriverti, visto che parlarti è tanto complicato.
A dire il vero non sono così convinta che tu riuscirai ad arrivare in fondo a questa mia, ma ci provo, confidando almeno nella tua curiosità e nel tuo senso di sfida verso di me che, da molto tempo a questa parte, ti abita.


E’ da un po’ che ti osservo. E’ da un po’ che cerco di capire il perché delle tue inquietudini. E’ da un po’ che ne avverto la presenza mal nascosta e ipocrita. Proprio non ti riesce di sentirti uguale ad una donna? No, non smettere di leggermi, non sto facendo una tirata femminista da corteo e picchetto. Non voglio provocarti, credimi.
Ti chiedo di fermarti un attimo, a riflettere. Se vuoi lo facciamo insieme, senza pretese, da ambo le parti. Aiutami a capire. Il disagio che manifesti e che ti porta a sfogare la tua rabbia su noi donne è, ormai, a livelli intollerabili. Invece di accoglierci e dividere con noi gran parte delle responsabilità che un tempo ti erano consegnate ‘per natura’, ci combatti come fossimo pericolose. Perché ti facciamo paura?

Non dirmi che non è vero. Te lo leggo negli occhi, nelle mani, in come parli e, soprattutto, in quello che non dici. Esci fuori dai labirinti di difesa del tuo ruolo e dalla competizione che senti dentro. Noi non cerchiamo vantaggi con te, semmai vorremmo esserti a fianco, serenamente, in una convivenza rispettosa. Cosa temi? Per secoli noi abbiamo accettato la tua superiorità a discapito della nostra stessa libertà, ed ancora oggi, in molti Paesi, riesci ad imporci questa insulsa violenza. Ci hai sacrificate a ruoli e condizioni spesso invivibili, hai messo a tacere la nostra anima, hai spento le nostre menti, hai legato le nostre gambe a sedie di indifferenza, ci hai relegate a focolari di solitudine, ci hai vestite di grembiuli e minacce, ci hai strappato i libri dalle mani, ci hai rese schiave, hai soffocato i nostri sospiri vestendoli di peccato, hai chiuso le pagine dei nostri segreti nei cassetti del tuo disprezzo, hai violato la nostra intelligenza, hai voluto sentirci in tuo dominio. E noi te lo abbiamo concesso.

Finché qualcosa è cambiato. Pian piano ti sei visto costretto a metterti in disparte laddove i nostri passi incerti attraversavano le strade, laddove le nostre penne riempivano pagine inattese, in spazi, in conquiste e in diritti sempre più nostri, laddove la tua prepotenza perdeva credibilità e vita. Tutto questo doveva succedere, era un percorso naturale. Ma forse a te è sembrato un affronto del quale, dopo decenni di ‘apertura’, ancora non ti sei rifatto. Ci hai sacrificate senza mai rendertene conto? E cosa temi adesso? Che la nostra forza possa restituirti tutto? Che l’unione delle nostre fragilità ferite, strappate, insultate, recluse, azzittite possa farti del male? E’ di questo che hai paura?

No. Noi siamo madri e sappiamo perdonare. Anche tua madre ti ha perdonato, ha perdonato te, tuo padre e perdonerà anche tuo figlio. Perché le donne sono questo. E non potrai azzittirle con un dito sulle labbra. Io stessa sono una donna ma non ti combatto, non ti ostacolo, non ti metto in disparte, non ti offendo, non ti sfido non voglio essere al di sopra di te. Vorrei esserti accanto. Senza temere il tuo inconscio.

Cos’è che ti rende insicuro? Il retaggio del tuo stato di predatore, conquistatore, dominatore? Quel potere deve far sentire forti. Ma che forza è se solo una donna riappropriata dei suoi diritti ti scuote così tanto? Se basta questo perché il tuo corpo si ribelli a noi attraverso i tuoi soli istinti? Noi ti guardiamo compassionevoli e sfiduciate, nella vergogna, ci riavvolgiamo i vestiti sgualciti dalle tue mani indegne e dai tuoi occhi infernali, rientriamo nelle nostre scarpe e apriamo a nuovi mattini.

Caro uomo, chiuso nel tuo mondo di rabbia senza ragione e senza sentimenti, a te ora, io chiedo perdono. Se ho preteso di esserti compagna ed alleata e non ho visto la tua fragilità, la tua impreparazione ed il tuo orgoglio impunturato. Se ti ho chiesto troppo, se ti ho riconosciuto pari a me. Faccio un passo indietro e mi tengo lontana, lavoro per me, per il futuro che vorrei e per i figli che tu metterai al mondo, sarò forte come sempre, ma senza chiederti nulla. Ti lascio l’ultima parola, le chiavi del mondo, e l’universo da tenerti stretto.

La mia forza è altrove. Non ha chiavi, non ha confini, parla tutte le lingue possibili. E’ stata sempre e solo mia. E ti è costata la fatica di mettermi in angolo, per sentirti al sicuro, in un percorso delimitato, dalle sole tue paure. Sentirai ancora parlare di me, e altre donne parleranno ad altri uomini. Passerà il tempo, altra storia ci sarà madre. E se un giorno ti vedrà puro da ogni pregiudizio e quel giorno chiederai di me, mandamelo a dire.

Metterò in serbo una carezza che sia, per te, rinascita.


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