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Case - 7 -

Da Valepi
La grotta dell’ammmmore
Ci conoscevamo da nemmeno un anno quando abbiamo deciso di andare a vivere insieme.
Come spesso ci accadde da allora, la decisione fu presa sull’onda dell’entusiasmo: i suoi genitori avevano voluto aiutarlo, per la laurea avevano deciso di premiarlo con un appartamentino nell’hinterland della città dove lavoravamo e a noi non era sembrato ci fosse nessun motivo per non andare a vivere nella grotta insieme… oltretutto avremmo risparmiato anche un affitto!
La grotta, in realtà era un seminterrato piuttosto luminoso, dato che le finestre si affacciavano sul parco del paese e non avevano di fronte altre palazzine. Camera da letto, bagno, cucinino, soggiorno abitabile più un’altra stanzetta dove i proprietari avevano sistemato il bimbo piccolo… con, immagino, più di qualche conseguenza sul suo sviluppo futuro, dato che la suddetta stanza era stretta, senza finestre e, nel complesso piuttosto claustrofobica.
Eravamo così: due folli. Io lasciai il mio appartamento ancora prima che la grotta fosse consegnata e quindi ci ritrovammo a non saper dove mettere le mie cose e a non aver avuto il tempo per sistemarla e ammobiliarla.
La prima notte che dormimmo nella grotta, la casa era quasi completamente vuota, se escludiamo i miei scatoloni nella stanza del bimbo, puzzava di tinta appena passata (da noi) e aveva ancora i giornali stesi per terra per non macchiare con le gocce di vernire.
I materassi li avevamo: li sistemammo al centro del soggiorno, dato che la stanza da letto era fresca di pittura e puzzava eccessivamente, e dormimmo lì… per terra, con le luci che delle macchine e dei motorini dei ragazzi che andavano al parco la sera per divertirsi un po’ e con il lampione davanti alle finestre che non ci ha mai permesso di sperimentare lì la sensazione del buio totale.
La seconda notte dormii da sola su quegli stessi materassi perché lui dovette rientrare all’improvviso dai suoi, e, sinceramente, le luci e le voci che la sera prima ci avevano fatto un po’ compagnia, stando sola, mi misero un po’ in ansia, ma la terza notte eravamo di nuovo insieme a progettare il nostro futuro e ridere della situazione.
Per quella casa abbiamo comprato la nostra prima camera da letto, con l’armadio che dovettero montare e incastrare in piedi perché la parete dava solo pochi centimetri di margine per ogni tipo di manovra.
Per quella casa abbiamo comprato i faretti più spettacolari del mondo, un divano nuovo, un divano letto, una bella scrivania e un tavolo da cucina e, ovviamente, non poteva mancare una libreria, presto seguita da un’altra piccola e da uno scaffale dove i miei libri vissero sempre in un eterno casino.
In quella casa abbiamo preparato cene memorabili per e con i nostri amici, che talvolta hanno condiviso con noi il tetto, il rumore delle macchine per strada e l’invadenza e l’affetto della mitica di Palla di pelo, prima che decidesse di abbandonarci scappando dalla finestra dimenticata aperta (per ulteriori informazioni chiedere all'amico Gi.).
In quella casa ho sentito il quasiladro della nostra macchina comprata da poche ore chiedere “Chi è?”, prima di scappare col suo compare, a lui che lo insultava dalla finestra, prima di uscire fuori in mutande a vedere in che condizioni era la serratura dello sportello (bruttine).
Da quella casa sono uscita un sabato mattina chiedendomi dove avessi parcheggiato la mia mitica Thema, per poi ricordarmelo e un secondo dopo capire che la macchina non era più là dove l’avevo lasciata.
In quella casa ho lavorato con le colleghe, ho scelto di licenziarmi, di tentare il concorso per il dottorato, l’ho vinto e l’ho portato a termine. In quella casa anche lui ha concluso il suo dottorato e capito che, se non voleva impazzire doveva lasciare l’Università e tentare nuove strade.
In quella casa abbiamo deciso di sposarci. In quella casa ho vissuto sola da moglie pendolare e ho preparato cene solitarie, stanca morta con l’unica compagnia di un bicchiere di buon vino e della tv (che per fortuna aveva il timer e si spegneva da sola, dato che il sonno mi coglieva dopo non più di un quarto d’ora).
In quella casa abbiamo scoperto di aspettare Princi e ce lo siamo detti per telefono, dato che, ancora, io facevo la pendolare. E sempre in quella casa ho deciso che volevo salvaguardare la vita di quella che allora chiamavo semplicemente Piranha, senza sapere che già fosse una principina, e ho capito che anche io avrei lasciato l’Università e percorso altre strade per vivere fino in fondo la mia famiglia.
La settimana scorsa la grotta è stata venduta. Abbiamo (l’agenzia ha!) trovato un acquirente in meno di due mesi e il gruzzoletto che questa vendita ci porterà ci permetterà di avviare nuovi progetti per il mio futuro professionale che ci riempiono di aspettative e voglia di fare.
Eppure il pensiero non può non andare agli anni passati nella grotta.
Ho provato a cercare delle foto degli anni passati nella grotta, ma non ne ho trovato. Forse sono andate perse in qualche vecchio cellulare.
Peccato. Certi ricordi, comunque, resteranno sempre stampati nella mente… anche senza foto.

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