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Caso roswell: l’ipotesi ‘macchina del tempo’ di philip j. corso

Creato il 30 agosto 2014 da Dariosumer
CASO ROSWELL: L’IPOTESI ‘MACCHINA DEL TEMPO’ DI PHILIP J. CORSO
Il 24 giugno scorso, si è ricordato il controverso avvenimento del 1947, quando vennero trovati i resti un veicolo aereo decisamente insolito conficcato in un terreno agricolo nella Lincoln County, New Mexico, non troppo lontano dalla ormai famosa cittadina di Roswell.
L’evento, uno dei più discussi e indagati della storia ufologica, è stato oggetto di decine di libri, studi ufficiali intrapresi sia dal General Accounting Office che dalla US Air Force, una pletora di documentari televisivi, film e una notevole attenzione mediatica favorita dall’interesse del pubblico.
La vicenda, ovviamente, ha lasciato dietro di sè una lunga scia di teorie sulla natura di quanto è stato rinvenuto nel 1947: dal pallone meteorologico al ‘Mogul Balloon’, una sorta di dirigibile segreto utilizzato per monitorare i progressi dei sovietici sullo sviluppo della bomba nucleare; dal razzo nazista con delle scimmie a bordo al test di un superaereo segreto degli Stati Uniti.
Ma i testimoni oculari dell’evento non sembrano aver mai avuto dubbi sulla natura dell’oggetto: un veicolo extraterrestre con a bordo due alieni. Per quanto suggestiva possa essere questa ipotesi, alcuni ufologi nutrono scetticismo, nonostante un’affermazione del genere possa portare acqua al loro mulino.
La domanda è: se a Roswell non è precipitato un velivolo alieno, allora con cosa abbiamo a che fare? Perchè tanta segretezza su questo caso, che non ha fatto altro che alimentare le teorie più svariate. Ad avanzare una teoria davvero affascinante, e più intrigante di quella aliena, è l’ex tenete colonnello dell’esercito degli Stati Uniti, direttamente coinvolto nei fatti di Roswell.
Philip J. Corso è stato militare di carriera e combattente nella seconda guerra mondiale, autorevole uomo dell’intelligence USA, fu membro del National Security Council sotto Eisenhower per quattro anni (1953–1957). Nel 1961 divenne capo della divisione Tecnologia straniera del Research and Development Department, agli ordini del generale Arthur Trudeau.
CASO ROSWELL: L’IPOTESI ‘MACCHINA DEL TEMPO’ DI PHILIP J. CORSONel 1997 Philip Corso pubblicò il libro “Il giorno dopo Roswell” (in inglese: The Day After Roswell), scritto in collaborazione con William J. Birnes. E’ un’impresa ardua trovare un edizione italiana del libro, ma con un pò di impegno è facile reperire una versione in pdf da leggere su un tablet. Tra le altre, esiste anche una copia caricata su Scribd.
Nel libro, Corso scrisse di aver gestito, a partire dal 1961, come Capo della Divisione Tecnologia Straniera dell’Esercito, i materiali raccolti a Roswell nel 1947, nel contesto di un progetto finalizzato alla retroingegneria da cui sarebbero nati oggetti quali transistor, lenti a contatto e tubi fotomoltiplicatori.
Autorizzato nell’incarico dall’ordine del suo diretto superiore generale Arthur Gilbert Trudeau del Pentagono, Corso avrebbe fornito porzioni di tale materiale a diversi laboratori di ricerca, civili e militari, contribuendo così a distribuire i frammenti di tecnologia acquisiti dal velivolo precipitato a Roswell ai colossi dell’industria statunitense: dall’IBM alla Hugues Aircraft, dalla Bell Labs alla Dow Cornig. Così scrive Corso nella prefazione del suo libro:
“Il Roswell File, è composto da un insieme di reperti e di rapporti informativi, frutto di un’operazione notturna, condotta da uomini del 509° Stormo, di stanza nella Base Aerea dell’Esercito, a Roswell, nella prima settimana del luglio 1947.
La squadra aveva recuperato i rottami di un disco volante precipitato nei pressi di Roswell, nel deserto del New Mexico. Il Roswell File rappresentava la testimonianza di ciò che avvenne nelle ore e nei primi giorni successivi all’incidente, quando scattò il cover-up governativo ufficiale.
Mentre i militari si interrogavano sulla natura e la provenienza dell’oggetto, e le intenzioni dei suoi occupanti, un gruppo segreto alle dipendenze del direttore dell’Intelligence, l’ammiraglio Roscoe Hillenkoetter, studiava l’origine dei dischi volanti, si documentava sulla fenomenologia degli incontri e, nel contempo, doveva negarne ufficialmente e pubblicamente l’esistenza. Tale operazione è stata condotta per cinquanta anni sotto varie forme, nel più totale ed assoluto riserbo”.
Scrive ancora l’ex tenete colonnello:
“Roswell giunse nelle mie mani nel 1961, quando ricevetti l’incarico di dirigere l’Ufficio Tecnologie Straniere del Dipartimento Ricerche e Sviluppo. Il mio capo, il Generale Trudeau, mi chiese di utilizzare i programmi di ricerca e sviluppo delle Forze Armate per far affluire le scoperte sulla “tecnologia Roswell” nei principali programmi disviluppo industriale, mediante contratti d’appalto nel campo della difesa.
Oggi diamo quasi per scontati i laser, i circuiti integrati, le retia fibre ottiche, i dispositivi a fasci di particelle accelerate ed anche il Kevlar dei giubbotti antiproiettile. Ma le loro matrici furono scoperte all’interno dello scafo alieno precipitato a Roswell e le informazioni che le riguardavano le trovai nei fascicoli custoditi nel mio ufficio, quattordici anni dopo”.
Nonostante siano in molti a credere che Corso sia un solido sostenitore della provenienza extraterrestre del velivolo di Roswell, in realtà la lettura del libro svela che l’ex militare era disposto a prendere in considerazione anche qualcosa di molto diverso.
In un passaggio del libro, riferendosi ai corpi ritrovati nel velivolo, Corso ipotizza che i due occupanti possano essere EBE (entità biologiche extraterrestri) progettate geneticamente per sopportare i rigori del volo spaziale, ma potrebbero non essere loro i creatori del velivolo.
“Lo studio dei corpi delle EBE e del possibile sistema di propulsione della loro navicella pose altri interrogativi: se le EBE, oltre ad essere state progettate biogeneticamente per i viaggi interstellari, non fossero state soggette ai tipi di forze che i piloti umani avrebbero normalmente incontrato?
Se le EBE utilizzavano una tecnologia basata sulla propagazione di onde come propulsione antigravitazionale e sistema di navigazione, allora potevano viaggiare dentro una specie di onda elettromagnetica regolabile.
Sulla scorta ditali dati, l’Esercito suppose che questo UFO fosse una navetta di ricognizione, in grado di rientrare velocemente in una astronave-madre o in un oggetto più grande, dove avremmo rinvenuto quello che in realtà mancava nel ricognitore.
L’altra spiegazione che diede il dottor Hermann Oberth era che l’oggetto viaggiasse attraverso la dimensione temporale e non dovesse quindi percorrere grandi distanze nello spazio. Saltava da una dimensione spazio/tempo all’altra e, istantaneamente. Poteva ritornare al suo punto di partenza”.
Fino al momento della sua morte, avvenuta nel 1998, Corso è stato convinto della possibilità che il Governo degli Stati Uniti non avesse ancora nessuna idea reale su chi abbia costruito il velivolo o progettato le EBE in prossimità del relitto.
Tra le ipotesi, Corso ha tenuto grandemente in considerazione la possibilità che l’UFO di Roswell fosse una macchina del tempo progettata e costruita dagli abitanti della Terra di un lontano futuro, piuttosto che il popolo un lontano sistema solare, inviata indietro nel tempo per una qualche ragione che ci sfugge.
Bisogna dire che la vicenda di Philip Corso è stata oggetto di grandi dibattiti, quasi pari a quelli sul caso Roswell in sè. In effetti, aggiunge solo un altra teoria alla ridda di ipotesi che sono state avanzate sul velivolo precipitato nel deserto del New Mexico. La verità è che nessuno sa cosa sia veramente accaduto e nessuno è in grado di fornire una versione definitiva.
Certo, l’ipotesi della macchina del tempo forse e la più suggestiva mai proposta. Eppur vero, però, che forse studiando i materiali di Roswell, la burocrazia è venuta a conoscenza di qualcosa di veramente inquietante e terribile sul nostro futuro, qualcosa che non osa condividere con la popolazione mondiale. Forse è questo il vero motivo per cui la vicenda di Roswell è ancora avvolta in un segreto opprimente, a 60 anni di distanza.

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