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"Catari e Manichei a Confronto" di Federico Polidori

Da Risveglioedizioni
Risveglio Edizioni, Libri, Spiritualità, Meditazione, Medicina, Cosmologia, Arte, Filosofia, Ufologia, Federico Bellini, Ambra Guerrucci, Osho, TV Il Catarismo fu una religione molto attiva in Europa tra l’XI e il XIII secolo; si può definire come una forma di Cristianesimo fondato su di una lettura dualista del Nuovo Testamento, dove la salvezza dell’uomo è raggiungibile mediante la rivelazione di Cristo...
Il nodo centrale su cui si fonda la divergenza rispetto alla dottrina cristiana di matrice romana è la teorizzazione che il creatore dell’universo non è un unico Dio, bensì due principi in eterna lotta tra loro. Nel XII secolo i catari vennero denunciati perché il loro dualismo era considerato una rinascita del Manicheismo, religione legata agli antichi misteri dell’Iran preislamico. Fondata da Mani (216/277 d.C.), profeta di origine persiana appartenente alla nobile famiglia degli Arsacidi, il fulcro della dottrina manichea, le cui radici affondavano nello Gnosticismo di derivazione mazdea zoroastriana, si concentrava sull’idea che all’origine dei tempi il ‘Re delle Tenebre’ avesse invaso il regno del ‘Re della Luce’. Da allora in poi, il mondo, la realtà oggettiva delle cose e degli eventi, l’uomo stesso, furono costituiti da una mescolanza di luce e tenebra, spirito e materia, bene e male. La salvezza consisteva in una totale separazione dei due principi opposti e in un sereno ritorno alla condizione di purezza originaria. Il cammino verso il superamento della propria debole e contradditoria condizione imponeva la rinuncia alla carne, al vino, prescriveva la castità e imponeva qualsiasi azione contraria al principio della luce. Il Manicheismo non fu, però, soltanto una sintesi armoniosa tra Mazdeismo, Buddismo e Cristianesimo: fu anche una “gnosi”, in quanto ogni cosa si basava sulla conoscenza. Il problema più difficile da comprendere e risolvere era quello dell’unione di una particella divina (l’Anima), con il corpo, frutto del mondo terrestre, opera del demonio e causa iniziale del male. La dottrina di Mani pone l’esistenza di due principi che non sono stati generati, ma che sono eterni, equivalenti, a prescindere dalla presenza di un Dio: il bene e il male, raffigurati attraverso la Luce e le Tenebre. In uno dei suoi trattati contro i manichei, il Contra Faustum, Sant’Agostino (354/430 d.C.), per lungo tempo sostenitore e praticante della dottrina in oggetto prima di convertirsi al Cristianesimo, immagina un dialogo tra se stesso e il manicheo Fausto di Rilevi, in cui quest’ultimo sostiene infatti che nella dottrina di Mani non c’è che un solo Dio: “…E’ vero che noi conosciamo due principi, ma uno solo noi lo chiamiamo Dio, l’altro lo definiamo hylè o materia, o, più comunemente, Demonio. Ora, se voi pretendete che con questo si pongono due dei, pretendete anche che un medico, quando si occupa della salute e della malattia, ponga due ‘tipi di salute’; o quando un filosofo discorre del bene e del male, dell’abbondanza e della povertà, sostenga che ci sono due ‘beni’ e due ‘abbondanze’”. Sant’Agostino si concentra sul tema della Verità, dichiarando che essa risiede nell’animo dell’uomo, salda e immutabile contro la mutevolezza del mondo esteriore; il Bene è l’unica realtà davvero esistente e tutto quanto esiste è bene, mentre il Male è, all’opposto, l’assenza di essere, non è. Con una nota di platonismo, il vescovo di Ippona mette così in evidenza l’incapacità dell’uomo di conformarsi pienamente al volere del Creatore; da questo punto di vista, la vita interiore ed intellettuale dell’individuo è resa possibile dalla luce divina che è dentro di sé, come fonte di fede e, al tempo stesso, di una ricerca inesauribile diretta ad enuclearla nella sua purezza. Di conseguenza, i manichei, pur ammettendo l’esistenza di due principi increati, credevano comunque nell’esistenza di un Dio unico, la cui identità non contraddice la presenza dei due principi sopra espressi. Infatti, il male, che costituisce il Demonio, la materia, è una sorta di Non Essere opposto all’Essere, la negazione del Bene e, quindi, l’assenza del Bene stesso. La difficoltà sta allora nel capire perché il Bene sia talvolta assente e nel pretendere, se si segue la logica manichea, che Dio possa volontariamente ritirarsi e, con la sua assenza, provocare o accettare la presenza del male. Al di là di un siffatto complesso filosofico/religioso, il Manicheismo si espresse con elementi di stampo mitologico: il Bene e il Male, essendo principi opposti, non possono coabitare e si trovano così in regioni separate; il Bene si trova a nord, in alto, dove risiede il ‘Re del Paradiso delle Luci’, mentre il Male è posto a sud, in basso, presso il regno del ‘Principe delle Tenebre’. All’origine del tempo, in un momento che inaugura l’inizio del tutto, il ‘Principe delle Tenebre’ si accorge improvvisamente del mondo della luce. Forse provenendo anch’esso da tale realtà densa di Luce (la caduta di Lucifero…), tale visione fa nascere in lui il desiderio di conquistare quel mondo dimenticato; il Principe delle tenebre lancia le sue schiere all’attacco, ma il ‘Re del Paradiso’ si difende, emanando una prima forma, la ‘Madre della Vita’ (il principio femminino), la quale, a sua volta, ‘dà luce’ al Primo Uomo – l’Ahura-Mazda di origine mazdea e di derivazione mithraica – che ha  per alleati i cinque elementi, che sono: aria, fuoco, luce, acqua e vento. L’eroe tenta disperatamente di respingere l’attacco dei demoni, ma è vinto ed inghiottito con i suoi alleati nelle tenebre inferiori: in questo modo, una particella della natura viene imprigionata nella materia. Tuttavia, la lotta non è ancora terminata, e l’Uomo Primordiale indirizza a Dio una preghiera che ripete sette volte, implorando l’Essere supremo di liberarlo. All’udire la richiesta dell’eroe, il ‘Re del Paradiso delle Luci’ fa scendere lo ‘Spirito Vivente’, assieme alla ‘Madre della Vita’, il quale tende la mano all’Uomo primordiale per tirarlo fuori dal mondo delle tenebre. Attraverso il gesto della ‘stretta di mano’, i manichei erano soliti sottolineare il loro stato di eletti (non siamo molto lontani dai ritualismi dei Mandei e dalle cerimonie di iniziazione che caratterizzeranno in seguito l’Ordine dei Templari e la Massoneria). L’Uomo primordiale è dunque liberato, ma abbandona i cinque elementi nel regno inferiore, che in sé luminosi e ‘carichi di bene’, restano insozzati dal contatto diretto con la materia. Occorre, quindi, organizzare il mondo in modo da recuperare la sostanza inquinata, purificarla e farla risalire nel regno della luce. L’Essere supremo separa così la materia dalla sostanza divina: la parte non contaminata dalle tenebre produrrà il sole e la luna; una seconda parte, contaminata in parte, provocherà l’apparizione delle stelle, mentre una terza, interamente insozzata dal male, darà origine a piante ed animali. Per punire i demoni, l’Essere supremo trasforma infine la loro pelle, la carne, le ossa e gli escrementi in acqua, terra e montagne. I demoni, però, sono duri a morire e, vedendosi minacciati di perdere per sempre ogni traccia di sostanza luminosa, dopo aver avuto la visione del Regno di luce, concentrano tutto ciò che resta in loro di energia luminosa nei due nuovi esseri che creano: Adamo ed Eva. Si spiega così la nascita dell’umanità: l’uomo non sarebbe altro che un resto di energia divina accumulata in un corpo materiale, mentre l’anima è talmente asservita alla materia da non avere più coscienza delle proprie origini celestiali. La sua condizione naturale sarà quella di essere eternamente ‘ignorante’, incapace di sapere e comprendere come risalire al regno da cui è caduta e di come ricordare cos’era una volta. La speranza di salvezza è affidata all’umanità, attraverso il messaggio di profeti inviati dall’Essere supremo, fra i quali compaiono Ahura-Mazda e il Gesù trascendente dei manichei (Gesù il Luminoso). Alla fine dei tempi, si assisterà alla vittoria definitiva del Dio della luce sul mondo della materia, annientata in un gigantesco incendio (da notare il forte parallelismo con la visione cristiana dell’apocalittica discesa di Dio sulla terra per giudicare i vivi dai morti da un lato, e la simbologia del fuoco che connota la realtà infernale, dall’altro). E’ evidente che i catari se non sono gli eredi diretti dei manichei, hanno in ogni caso assorbito le radici più profonde della dottrina di Mani. Ciò che colpisce nel Manicheismo è il distacco nei confronti della materia, identificata con il male; per questo motivo, le pratiche meditative per ottenere una separazione totale dalla materia  venivano spesso spinte all’estremo, poiché l’ideale era quello di annientare al più presto la prigione carnale che incatena l’uomo sulla terra. L’ascetismo a cui si sottoponevano i catari portava spesso al suicidio per inedia (endura) e, sebbene i manichei non siano mai arrivati ad intraprendere azioni del genere, la tendenza a distaccarsi il più velocemente possibile dalla vita terrena si rivelò comunque una costante delle sette manichee, sfociando nei rituali estremi compiuti dai catari. La forza o la fede che supportava questa dovuta rinuncia ai piaceri della vita era data dal fatto che, se il credente osservava le regole della morale catara, la sua anima, dopo la morte, ascendeva trionfalmente ai cieli, penetrando nel Regno di luce, considerato un vero e proprio Nirvana. Il raggiungimento della condizione estatica avveniva attraverso una sorta di illuminazione interiore, che permetteva all’individuo di convincersi della sua doppia natura; il trait d’union con il culto manicheo che considera l’illuminazione di natura sensibile come la ricerca della conoscenza da un punto di vista intellettuale sfocia direttamente nella corrente gnostica. Occorre, però, fare una distinzione di ordini gerarchici paralleli all’interno sia della dottrina manichea che di quella catara. I manichei si suddividevano infatti tra ‘puri’ od ‘eletti’ ed ‘uditori’; mentre i primi erano tenuti a praticare un ascetismo rigoroso ed intransigente, gli altri vivevano nel mondo, sposandosi, lavorando e partecipando alla vita sociale del gruppo al quale appartenevano. Il loro compito specifico era quello di occuparsi della sussistenza degli eletti, in modo da controllare che questi non avessero occasione di ‘cadere in tentazione’. Lo stesso sistema gerarchico lo si trova tra i catari, dove soltanto i ‘perfetti’ erano tenuti a seguire rigide pratiche ascetiche, mentre i ‘credenti’ fornivano loro i mezzi di sostentamento. Per i manichei, soltanto i ‘puri’ potevano pretendere, dopo la morte, di entrare nel Regno di Luce; agli ‘uditori’ era comunque riservata la speranza di reincarnarsi e di arrivare in una vita successiva alla condizione di purezza. Al contrario, se avessero condotto un’esistenza dedicata alla materia, avrebbero rischiato si rinascere nel corpo di un animale, così come esprimeva anche la dottrina catara. Priva di ogni sorta di sacramento, il culto manicheo riconosceva soltanto il rito dell’imposizione delle mani (come per i Mazdei, i Mandei e, sebbene in una forma concettualmente diversificata, per i Terapeuti e gli Esseni), che si praticava nel momento in cui il ‘credente’ entrava a far parte della categoria degli ‘eletti’; attraverso tale gesto, il ‘credente’ riceveva lo Spirito, l’apertura verso la strada della luce, così come per i catari il sacramento del consolamentum. Il manicheismo prima e il catarismo poi appaiono, dunque, come due dottrine di alta spiritualità, due tentativi analoghi di spiegare e di dare un significato coerente ad un mondo in preda alle contraddizioni e al male. Pervase da un profondo desiderio di ascesi, hanno entrambe subito le repressioni più feroci; Diocleziano, nel 297, iniziò la crociata contro i manichei che iniziavano allora a diffondersi in Italia, Gallia e Spagna fino a culminare con la loro condanna a morte, nel 389, sotto l’imperatore Teodosio. La repressione dell’eresia catara raggiunse l’apice con il drammatico epilogo dell’assedio di Montségur, operato dalle truppe del siniscalco di Carcassonne, Hugues des Arcis, sotto il re di Francia Luigi IX, e terminato con la condanna al rogo di più di duecento eretici (duecentoventicinque secondo la Cronaca di Guillaume de Puylaurens), nel marzo del 1244 d.C. Fonte: www.acam.it

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