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Cennino Cennini, “Il libro dell’arte” IX

Creato il 23 ottobre 2014 da Marvigar4

Cennino Cennini

IL LIBRO DELL’ARTE,

O TRATTATO DELLA PITTURA

DI CENNINO CENNINI

da Colle di Valdelsa; di nuovo publicato, con molte correzioni e coll’aggiunta di più capitoli tratti dai codici fiorentini, per cura di Gaetano e Carlo Milanesi

Firenze.

Felice Le Monnier

1859

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CAPITOLO LXXII.

El modo di colorire in muro in secco, e sue tempere.

Ogni colore di quelli che lavori in fresco, puoi anche lavorare in secco; ma in fresco sono colori che non si può lavorare, come orpimento, cinabro, azzurro della Magna, minio, biacca, verderame, e lacca. Quelli che si può lavorare in fresco, sono giallorino, bianco san giovanni, nero, ocria, cinabrese, sinopia, verdeterra, amatisto. Quelli che si lavorano in fresco vogliono per compagnia, a dichiararli, bianco sangiovanni; e i verdi, quando gli vuoi lasciare per verde, giallorino; quando li vuoi lasciare verdi in colore di salvia, to’ del bianco. Quelli colori che non si possono lavorare in fresco, vogliono per compagnia, a dichiararli, biacca e giallorino, e alcuna volta orpimento; ma rade volte orpimento: mo sia tu; credo che sia superfluo. A lavorare un azzurro biancheggiato, togli quella ragione di tre vaselli, che t’ho insegnato, della incarnazione e della cinabrese; e per lo simile vuol essere di questo, salvo che dove toglievi il bianco, togli la biacca, e tempera ogni cosa. Due maniere di tempere ti son buone, l’una miglior che l’altra. La prima tempera, togli la chiara e rossume dell’uovo, metti dentro alcune tagliature di cime di fico, e ribatti bene insieme; poi metti in su questi vasellini di questa tempera, temperatamente, non troppa né poca, come sarebbe un vino mezzo innacquato. E poi lavora i tuoi colori o bianco, o verde, o rosso, sì come ti dimostrai in fresco; e conducera’ i tuoi vestiri, secondo in modo che fai in fresco, con temperata mano, aspettando il tempo del rasciugare. Se déssi troppa tempera, abbi che di subito scoppierà il colore, e creperà dal muro. Sia savio, e pratico. Prima ti ricordo, innanzi cominci a colorire, e vogli fare un vestire di lacca, o d’altro colore, prima che facci niun’altra cosa, togli una spugna ben lavata, e abbi un rossume d’uovo con la chiara, e mettilo in due scodelle d’acqua chiara rime scolata bene insieme; e con la detta spugna, mezza premuta, della detta tempera va’ ugualmente sopra tutto il lavoro, che hai a colorire in secco, e ancora adornare d’oro; e poi liberamente va’ a colorire come tu vuoi. La seconda tempera si è propio rossume d’uovo; e sappi che questa tempera è universale, in muro, in tavole, in ferro; e non ne puoi dare troppo, ma sia savio di pigliare una via di mezzo. Prima vadi più innanzi, di questa tempera ti voglio fare un vestire in secco sì come ti feci in fresco di cinabrese. Ora tel vo’ fare di azzurro oltramarino. Togli tre vaselli al modo usato: nel primo metti le due parti azzurro e ’l terzo biacca: il terzo vasello, le due parti biacca, e ’l terzo azzurro: e rimescola e tempera secondo che detto t’ho. Poi togli il vasello vuoto, cioè il secondo: togli tanto dell’uno vasello quanto dell’altro, e fa’ una conmestizione insieme ben rimenata con pennello di setole, o vuoi di vaio, mozzo e sodo; e col primo colore, cioè col più scuro, va’ per le stremità ritrovando le pieghe più scure. Togli poi il mezzan colore, e va’ campeggiando di quelle pieghe scure, e ritrova le pieghe chiare di rilievo della figura. Poi togli il terzo colore, e va’ campeggiando, e facendo delle pieghe, che vengono sopra il rilievo; e va’ commettendo bene l’un colore con l’altro, sfummando e campeggiando, a modo che t’insegnai in fresco. Poi togli ’l colore più chiaro, e mettivi dentro della biacca con tempera, e va’ ritrovando le sommità delle pieghe del rilievo. Poi togli un poco di biacca pura, e va’ su per certi gran rilievi, come richiede il nudo della figura. Poi va’ con azzurro oltramarino, puro, ritrovando la fine delle più scure pieghe e dintorni; e per questo modo leccando il vestire, secondo i luoghi e suo’ colori, sanza mettere o imbrattare l’un colore coll’altro, se non con dolcezza. E così fa’ di lacca e di ciascun colore che lavori in secco ec.

CAPITOLO LXXIII.

El modo di sapere fare un color biffo.

Se vuoi fare un bel colore biffo, togli lacca fina, azzurro oltramarino, tanto dell’uno quanto dell’altro, temperato. Poi piglia tre vasellini, a modo di sopra; e lascia stare di questo color biffo nel suo vasellino per ritoccare li scuri. Poi di quello che ne trai, fanne tre ragioni di colori da campeggiare il vestire, digradanti, più chiaro l’uno che l’altro, a modo detto di sopra.

CAPITOLO LXXIV.

A lavorare un color biffo in fresco.

Se vuoi fare un biffo per lavorare in fresco, togli indaco e amatisto, e mescola sanza tempera a modo di quello di sopra, e fanne in tutto quattro gradi. Poi lavora il tuo vestire.

CAPITOLO LXXV.

A volere contraffare uno azzurro oltramarino lavorandolo in fresco.

Se vuoi fare un vestire in fresco simigliante all’azzurro oltramarino, togli indaco con bianco sangiovanni, e digrada insieme i tuo’ colori: e poi in secco, toccalo nella stremità, di azzurro oltramarino.

CAPITOLO LXXVI.

A colorire un vestire pagonazzo, o vero morello, in fresco.

Se vuoi fare in fresco un vestire pagonazzo simigliante alla lacca, togli amatisto, bianco sangiovanni, digrada i tuoi colori a modo detto; e va’gli sfummando, e commettendoli bene insieme. Poi in secco, nelle estremità, toccherai con lacca pura e temperata.

CAPITOLO LXXVII.

A colorire un vestire cangiante in verde, in fresco.

Se vuoi fare un vestir d’angelo, cangiante, in fresco, campeggia il vestire di due ragioni incarnazione, più scura e più chiara, e sfummale bene per lo mezzo della figura; poi la parte più scura. Aombra lo scuro con azzurro oltramarino; e la incarnazione più chiara ombra con verde terra, ritoccandolo poi in secco. E nota, che ogni cosa che lavori in fresco vuole essere tratto a fine, e ritoccato in secco con tempera. Biancheggia il detto vestire in fresco, all’usanza che t’ho detto degli altri.

CAPITOLO LXXVIII.

A colorire un vestire, in fresco, cangiante di cignerognolo.

Se vuoi fare cangiante in fresco, togli bianco sangiovanni e negro, e fa’ un colore di vaio, che si chiama cignerognolo. Campeggialo; biancheggialo qual vuoi di giallorino, e qual di bianco sangiovanni. Da’ gli scuri, o vuoi di nero, o vuoi di biffo, o vuoi di verde scuro.

CAPITOLO LXXIX.

A colorire un cangiante di lacca, in secco.

Se vuoi fare un cangiante in secco, campeggialo di lacca; biancheggialo d’incarnazione, o vuoi di giallorino; aombra gli scuri, o vuoi di lacca pura, o vuoi di biffo con tempera.

CAPITOLO LXXX.

A colorire un cangiante, in fresco o in secco, d’ocria.

Se vuoi fare un cangiante in fresco o in secco, campeggialo d’ocria, biancheggialo con bianco, e l’aombra di verde, nel chiaro; e nell’oscuro, di negro e di sinopia, o vuoi d’amatisto.

CAPITOLO LXXXI

A colorire un vestimento berettino, in fresco o in secco.

Se vuoi fare un vestire berettino, tolli nero e ocria; cioè le due parti ocria, e il terzo nero; e digrada i colori, come indietro t’ho insegnato, e in fresco e in secco.

CAPITOLO LXXXII

A colorire un vestimento, in fresco e in secco, di colore berettino rispondente al colore di legno.

Se vuoi fare un colore di legno, togli ocria, negro, e sinopia; ma le due parti ocria, e negro e rosso per la metà dell’ocria. Digrada i tuoi colori di questo in fresco, in secco, e in tempera.

CAPITOLO LXXXIII.

A fare un vestire d’azzurro della Magna, o oltramarino, o mantello di Nostra Donna.

Se vuoi fare un mantello di Nostra Donna d’azzurro della Magna, o altro vestire che voglia fare solo d’azzurro, prima in fresco campeggia il mantello, o ver vestire, di sinopia e di nero; ma le due parti sinopia, e il terzo negro. Ma prima gratta la perfezione delle pieghe con qualche puntaruolo di ferro, o agugiella; poi in secco togli azzurro della Magna lavato bene, o vuoi con lisciva, o vuoi con acqua chiara, e rimenato un poco poco in su la prìa da triare. Poi, se l’azzurro è di buon colore e pieno, mettivi dentro un poco di colla stemperata, né troppo forte, né troppo lena, che più innanzi te ne parlerò. Ancora metti nel detto azzurro un rossume d’uovo; ma se l’azzurro fosse chiaretto, vuole essere il rossume di questi uovi della villa, che sono bene rossi. Rimescola bene insieme, con pennello di setole morbido: ne da’ tre o quattro volte sopra il detto vestire. Quando l’hai ben campeggiato, e che sia asciutto, togli un poco d’indaco e di negro, e va’ aombrando le pieghe per lo mantello, il più che puoi; pur di punta ritornando più e più fiate in su le ombre. Se vuoi in su’ dossi delle ginocchia, o altri rilievi biancheggiare un poco, gratta l’azzurro puro con la punta dell’asta del pennello. Se vuoi mettere in campo, o in vestire, azzurro oltramarino, temperalo all’usato modo detto di quello della Magna, e sopra quello danne due o tre volte. Se vuoi aombrare le pieghe, togli un poco di lacca fina, e un poco di negro temperato con rossume d’uovo. E aombralo gentile quanto puoi, e più nettamente; prima con poca di quella, e poi di punta, e fa’ men pieghe che puoi, perché l’azzurro oltramarino vuol poca vicinanza d’altro miscuglio.

CAPITOLO LXXXIV

A fare un vestire negro di abito di monaco o di frate, in fresco o in secco.

Se vuoi fare un vestire negro d’abito di frate o di monaco, togli il nero puro, digradandolo di più ragioni, come prima ho detto di sopra, in fresco, in secco, temperato.

CAPITOLO LXXXV.

Del modo di colorire una montagna in fresco o in secco.

Se vuoi fare montagne in fresco e in secco, fa’ un colore verdaccio, di negro una parte, d’ocria le due parti. Digrada i colori, in fresco, di bianco senza tempera; e in secco, con biacca e con tempera; e dà’ loro quella ragione, che dai a una figura di scuro o di rilievo. E quando hai a fare le montagne, che paiano più a lungi, più fai scuri i tuo’ colori; e quando le fai dimostrare più appresso, fa’ i colori più chiari.

CAPITOLO LXXXVI.

Il modo di colorire albori, ed erbe, e verdure, in fresco e in secco.

Se vuoi adornare le dette montagne di boschi d’arbori o d’erbe, metti prima il corpo dell’albero di nero puro, temperato, ché in fresco mal si possono fare; e poi fa’ un grado di foglie di verde scuro, o pur di verde azzurro, ché di verdeterra non è buono; e fa’ che le lavori bene e spesse. Poi fa’ un verde con giallorino, che sia più chiaretto; e fa’ delle foglie meno, cominciando a ridurti a trovare delle cime. Poi tocca i chiarori delle cime pur di giallorino, e vedrai i rilievi degli àlbori e delle verdure; ma prima, quando hai campeggiato gli àlbori di negro in pie’, e alcuni rami degli alberi, e buttavi su le foglie, e poi i frutti; e sopra le verdure butta alcuni fiori e uselletti.

CAPITOLO LXXXVII.

Come si de’ colorire i casamenti, in fresco e in secco.

Se vuoi fare casamenti, pigliali nel tuo disegno della grandezza che vuoi, e batti le fila. Poi campeggiali con verdaccio, e con verdeterra, o in fresco o in secco, che sia ben liquido; e qual puoi fare di biffo, qual di cignerognolo, qual di verde, quale in colore berettino, e per lo simile di quel colore tu vuoi. Poi fa’ una riga lunga, diritta e gentile, la quale dall’uno de’ tagli sia smussata, che non s’accosti al muro; ché fregandovi, o andando su col pennello e col colore non t’imbratterà niente; e lavorrai quelle cornicette con gran piacere e diletto; e per lo simile, base, colonne, capitelli, frontispizi, fioroni, civori, e tutta l’arte della mazzonarìa, ch’è un bel membro dell’arte nostra, e vuolsi fare con gran diletto. E tieni a mente, che quella medesima ragione che hai nelle figure dei lumi e scuri, così conviene avere in questi, e da’ a’ casamenti per tutti questa ragione: che la cornice che fai nella sommità del casamento, vuol pendere da lato verso lo scuro in giù; la cornice del mezzo del casamento, a mezza la faccia, vuole essere ben pari e ugualiva; la cornice del fermamento del casamento di sotto, vuole alzare in su per lo contrario della cornice di sopra, che pende in giù.

CAPITOLO LXXXVIII.

Il modo del ritrarre una montagna del naturale.

Se vuoi pigliare buona maniera di montagne, e che paino naturali, togli di pietre grandi che sieno scogliose e non polite; e ritra’ne del naturale, dando i lumi e scuro, secondo che la ragione t’acconsente.

CAPITOLO LXXXIX.

In che modo si lavora a olio in muro, in tavola, in ferro, e dove vuoi.

Innanzi che più oltre vada, ti voglio insegnare a lavorare d’olio in muro o in tavola, che l’usano molto i tedeschi: e, per lo simile, in ferro e in pietra. Ma prima diren del muro.

CAPITOLO XC.

Per che modo dèi cominciare a lavorare in muro ad olio.

Ismalta il muro a modo che lavorassi in fresco; salvo che, dove tu smalti a poco a poco, qui tu dei smaltare distesamente tutto il tuo lavoro. Poi disegna con carbone la tua storia, e fermala o con inchiostro o con verdaccio temperato. Poi abbia un poco di colla bene innacquata. Ancora è miglior tempera tutto l’uovo sbattuto con lattificio del fico in una scodella; e mettivi in su ’l detto uovo un migliuolo d’acqua chiara. Poi, o vuoi con ispugna o vuoi col pennello morbido e mozzetto, daine una volta per tutto ’l campo che hai a lavorare; e lascialo asciugare almen per un dì.

CAPITOLO XCI.

Come tu dèi fare l’olio buono per tempera, e anche per mordenti, bollito con fuoco.

Perché delle utili cose che a te bisogna sapere sì per mordenti sì per molte cose che s’adovra, ti conviene saper fare quest’olio; imperò togli una libra, o due o tre o quattro, d’olio di semenza di lino, e mettilo in una pignatta nuova; e s’è invetriata, tanto è migliore. Fa’ un fornelletto, e fa’ una buca tonda, che questa pignatta vi stia commessa a punto, che ’l fuoco non possa passare di sopra; perché ’l fuoco vi anderebbe volentieri, e metteresti a pericolo l’olio, e anche di bruciare la casa. Quando hai fatto il tuo fornello, empiglia un fuoco temperato: ché quanto il farai bollire più adagio, tanto sarà migliore e più perfetto. E fallo bollire per mezzo, e sta bene. Ma per fare mordenti, quando è tornato per mezzo, mettivi per ciascuna libra d’olio un’oncia di vernice liquida, che sia bella e chiara: e questo cotale olio è buono per mordenti.

CAPITOLO XCII.

Come si fa l’olio buono e perfetto, cotto al sole.

Quando tu hai fatto quest’olio (il quale ancora si cuoce per un altro modo, ed è più perfetto da colorire; ma per mordenti vuol essere pur di fuoco, cioè cotto), abbi il tuo olio di semenza di lino; e di state mettilo in un catino di bronzo o di rame, o in bacino. E quando è il sole lione, tiello al sole; il quale, se vel tieni tanto che torni per mezzo, è perfettissimo da colorire. E sappi che a Firenze l’ho trovato il migliore e ’l più gentile che possa essere.

CAPITOLO XCIII.

Sì come dèi triare i colori ad olio, e adoperarli in muro.

Ritorna a ritriare, o vero macinare, di colore in colore, come facesti a lavorare in fresco; salvo dove triavi con acqua, tria ora con questo olio. E quando li hai triati, cioè d’ogni colore (ché ciascheduno colore riceve l’olio, salvo bianco sangiovanni), abbi vasellini dove mettere i detti colori, di piombo o di stagno. E se non ne truovi, togli degl’invetriati, e mettivi dentro i detti colori macinati: e pongli in una cassetta, che stieno nettamente. Poi con pennelli di vaio, quando vuoi fare un vestire di tre ragioni, sì come t’ho detto, compartiscili e mettili ne’ luoghi loro; commettendo bene l’un colore con l’altro, ben sodetti i colori. Poi sta’ alcun dì, e ritorna, e vedi come son coverti, e ricampeggia come fa mistieri. E così fa’ dello incarnare, e di fare ogni lavorìo che vuoi fare: e così montagne, arbori, ed ogni altro lavoro. Poi abbia una piastra di stagno o di piombo, che sia alta d’intorno un dito, sì come sta una lucerna; e tiella mezza d’olio, e quivi tieni i tuo’ pennelli in riposo, che non si secchino.

CAPITOLO XCIV.

Come dèi lavorare ad olio in ferro, in tavola, in pietra.

E per lo simile in ferro lavora, e ogni pietra, ogni tavola, incollando sempre prima; e così in vetro, o dove vuoi lavorare.

CAPITOLO XCV.

Il modo dell’adornare in muro ad oro, o con istagno.

Ora, poi che dimostrato t’ho del modo del lavorare in fresco, in secco, e ad olio, ti voglio dimostrare a che modo dèi adornare in muro con istagno dorato in bianco, e con oro fine. E nota, che sopra tutto fa’ con meno ariento che puoi, perché non dura, e viene negro in muro e in legno; ma più tosto perde in muro. Adopera in suo cambio innanzi dello stagno battuto, o vogli stagnuoli. Ancora ti guarda da oro di metà, ché di subito viene negro.

CAPITOLO XCVI.

Come dèi sempre usare di lavorare oro fine, e di buoni colori.

In muro i più hanno per usanza adornare con stagno dorato, perché è di meno spesa. Bene ti do questo consiglio, che ti sforzi di adornare sempre d’oro fine, e di buoni colori, massimamente in nella figura di Nostra Donna. E se vuoi dire: una povera persona non può fare la spesa; rispondoti: che se lavori bene, e dia tempo nelli tuoi lavorii, e di buoni colori, acquisti fama in tal modo, che una ricca persona ti verrà a pagare per la povera; e sarà il nome tuo sì buono in dare buon colore, che se un maestro arà un ducato d’una figura, a te ne sarà proferto due, e verrai ad avere tua intenzione; come che proverbio antico sia: chi grossamente lavora, grossamente guadagna. E dove non ne fossi ben pagato, Iddio e Nostra Donna te ne farà di bene all’anima e al corpo.

CAPITOLO XCVII.

In che modo dèi tagliare lo stagno dorato, e adornare.

Quando adorni di stagno, o bianco o dorato, che l’abbia a tagliare con coltellino; prima abbia un’asse ben pulita, di noce o di pero o di susino, sottile non troppo, per ogni parte quadra, sì com’è un foglio reale. Poi abbi della vernice liquida, ungi bene questa asse, mettivi su il tuo pezzo di stagno, ben disteso e pulito. Poi va’ tagliando con coltellino bene aguzzato nella punta, e con riga taglia le filuzza di quella larghezza che vuoi fare i fregi, o vuoi pur di stagno, o vuoi sì larghi, che gli adorni poi o di negro o di altri colori.

CAPITOLO XCVIII.

Come si fa lo stagno verde per adornare.

Ancora, per adornare i detti fregi, togli del verderame, triato con olio di linseme; e danne distesamente su per un foglio di stagno bianco, che sarà un bel verde. Lascialo ben seccare al sole, poi in sull’asse distendi con vernice, poi taglia con coltellino, o vuoi prima con istampa fare o rosettine, o qualche belle cosette; e con vernice liquida ungi l’asse, e quelle rosette vi pon su; poi l’attacca al muro. Ancora, se vuoi fare stelle d’oro fino, o mettere la diadema de’ Santi, o adornare con coltellino, come ti ho detto, ti conviene prima mettere l’oro fine in su lo stagno dorato.

CAPITOLO XCIX.

Come si fa lo stagno dorato, e come colla detta doratura si mette d’oro fine.

Lo stagno dorato si fa in questo modo. Abbi un’asse lunga tre o quattro braccia, ben pulita; e ungesi con grasso o con sevo. Mettevisi su di questo stagno bianco; poi con uno licore, che si chiama doratura, si mette sopra il detto stagno in tre o in quattro luoghi, poco per luogo; e colla palma della mano si va battendo su per questo stagno, gualivando questa doratura così in un luogo come in un altro. Al sole lascialo ben seccare. Quando è squasi asciutta, che poco poco pizza, allora abbi il tuo oro fine, e ordinatamente metti e cuopri il detto stagno del detto oro fine. Poi puliscilo con la bambagia ben netta; spicca lo stagno dall’asse. Quando il vuoi adoperare, fa’ con vernice liquida, e fanne quelle stelle o quei lavorii che vuoi, a modo che fai dello stagno dorato.

CAPITOLO C.

Come si debbano fare e tagliare le stelle, e metterle in muro.

In prima hai a tagliare le stelle tutte colla riga; e dove le hai a mettere, metti in su l’azzurro dove viene la stella, prima una bollottolina di cera; e lavoravi la stella a razzo a razzo, siccome hai tagliato in su l’asse. E sappi, che si fa molto più lavorìo con meno oro fine, che non fa a mettere a mordente.

CAPITOLO CI.

Come del detto stagno, mettuto d’oro fine, puoi fare le diademe de’ Santi in muro.

Ancora se vuoi fare le diademe de’ Santi senza mordenti, quando hai colorita la figura in fresco, togli una agugella, e gratta su per lo contorno della testa. Poi in secco ungi la diadema di vernice, mettivi su il tuo stagno dorato, o ver mettudo d’oro fine; mettilo sopra la detta vernice, battilo bene colla palma della mano, e vedrai i segni che facesti coll’agugella. Togli la punta del coltellino bene arrotata, e gentilmente va’ tagliando il detto oro; e l’avanzo riponi per altri tuoi lavorii.

CAPITOLO CII.

Come dèi rilevare una diadema di calcina, in muro.

Sappi che la diadema si vuole rilevarla in su lo smalto fresco con una cazzuola piccola, in questo modo. Quando hai disegnata la testa della figura, togli il sesto, e volgi la corona. Poi piglia un poca di calcina, ben grassa, fatta a modo d’unguento o di pasta, e smalta la detta calcina, grossetta di fuori intorno intorno, e sottile inverso il capo. Poi ripiglia il sesto, quando hai ben pulita la detta calcina; e col coltellino va’ tagliando la detta calcina su per lo filo del sesto, e rimarrà rilevata. Poi abbi una stecchetta di legno, forte; e va’ battendo i razzi d’attorno della diadema. E questo ordine vuole essere in muro.

CAPITOLO CIII.

Come dal muro pervieni a colorire in tavola.

Quando non vuoi adornare le tue figure di stagno, puoi adornare di mordenti, de’ quali io tratterò per ordine più innanzi perfettamente (de’ quali potrai adoperalli in muro, in tavola, in vetro, in ferro, e in cia[s]cuna cosa), e quelli che sono forti e sufficienti a stare all’aria, al vento, e all’acqua, e quelli che sono da vernicare, e quelli che no. Ma vogliamo pure ritornare al nostro colorire, e di muro andare alle tavole, o vero ancone, ch’è la più dolce arte e la più netta che abbiamo nell’arte nostra. E tieni bene a mente, che chi imparasse a lavorare prima in muro e poi in tavola, non viene così perfetto maestro nell’arte, come perviene a imparare prima in tavola e poi in muro.

CAPITOLO CIV.

In che modo dèi pervenire a stare all’arte del lavorare in tavola.

Sappi che non vorrebbe essere men tempo a imparare: come, prima studiare da piccino un anno a usare il disegno della tavoletta; poi stare con maestro a bottega, che sapesse lavorare di tutti i membri che appartiene di nostra arte; e stare e incominciare a triare de’ colori; e imparare a cuocere delle colle, e triar de’ gessi; e pigliare la pratica dell’ingessare le ancone, e rilevarle, e raderle; mettere d’oro; granare bene; per tempo di sei anni. E poi, in praticare a colorire, ad ornare di mordenti, far drappi d’oro, usare di lavorare di muro, per altri sei anni, sempre disegnando, non abbandonando mai né in dì di festa, né in dì di lavorare. E così la natura per grande uso si convertisce in buona pratica. Altrimenti, pigliando altri ordini, non sperare mai che vegnino a buona perfezione. Ché molti son che dicono, che senza essere stati con maestri hanno imparato l’arte. Nol credere, ché io ti do l’essempro di questo libro: studiandolo il dì e di notte, e tu non ne veggia qualche pratica con qualche maestro, non ne verrai mai da niente, né che mai possi con buon volto restare fra i maestri.


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