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Cent’anni di solitudine e il ricordo di Gabriel García Márquez

Creato il 18 aprile 2014 da Moveup

Scritto da: Luisa Cassarà 18 aprile 2014 in Notizie dal mondo Inserisci un commento 38 visite

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"Non si muore quando si deve, ma quando si può"

Cent’anni di solitudine è uno di quei libri che è praticamente impossibile non aver letto: non è strano, quindi, che alla notizia della morte di Gabriel García Márquez i suoi lettori più affezionati abbiano immediatamente pensato a questo titolo. Per ricordare il grande scrittore nato in Colombia 87 anni fa si può raccontare del premio Nobel che ha vinto nel 1982, della sua amicizia con Fidel Castro o anche del cazzotto che ha preso da Vargas Llosa; oppure si può parlare di questo romanzo che, di fatto, è il primo che viene in mente quando si fa il suo nome.

Pubblicato per la prima volta nel 1967, Cent’anni di solitudine è considerato un capolavoro della letteratura (anche se qualcuno dirà che non è rappresentativo del migliore  García Márquez) ed il suo incipit è ben noto:

Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendía si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio. Macondo era allora un villaggio di venti case di argilla e di canna selvatica costruito sulla riva di un fiume dalle acque diafane che rovinavano per un letto di pietre levigate, bianche ed enormi come uova preistoriche. Il mondo era così recente, che molte cose erano prive di nome, e per citarle bisognava indicarle col dito.

Cent’anni di solitudine: come scrivere un grande romanzo

Cent’anni di solitudine ha venduto nel corso degli anni 50 milioni di copie in più di 25 lingue (e non stentiamo a credere che nei prossimi giorni sarà uno dei romanzi più cercati): i libri di García Márquez detengono, di fatto un record di vendite tra le pubblicazioni in spagnolo, eccezion fatta per la Bibbia.

Come si scrive un grande romanzo? Lasciamo la risposta al suo stesso stesso autore:

Avevo un’idea di cosa volevo fare da sempre, ma mi mancava qualcosa e non ero sicuro di cosa fosse, finché un giorno scoprii il giusto tono – il tono che finalmente usai in Cent’anni di solitudine. Era basato sul modo in cui mia nonna mi raccontava le storie. Raccontava cose che sembravano sovrannaturali e fantastiche, ma le diceva con completa naturalezza. Quando finalmente scoprii il tono da usare, mi sedetti a scrivere per diciotto mesi e lavorai ogni giorno.


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