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Cesare Pavese e l’America

Creato il 01 ottobre 2012 da Larivistaculturale @MePignatelli

Ritratto all'Aperto di Miss Weir, 1909, Rederick Child Hassam, in mostra a Palazzo Strozzi per 'Americani a Firenze', Sacramento (CA), Crocker Art Museum, acquistato con i fondi donati da Mr. and Mrs. Vern C. Jones and other donors, 1980.23.

Come si ricostruisce l’influenza di quello che legge uno scrittore su quello che scrive? Dove si ritrovano le tracce di un mito personale di un autore sulla sua produzione? E’ a questo genere di domane che Gabriella Remigi cerca di rispondere rintracciando indizi e fatti storici che le permettono di comporre un saggio su Cesare Pavese e la Letteratura Americana, appena pubblicato da Leo Olschki, nel quale ri-tesse il filo delle letture pavesiane.

Suggerisce per esempio che la lettura di Walt Whitman permette a Pavese di avvicinarsi a temi come quello delle origini e quello del ritorno che racchiudono le aspirazioni più intime dello scrittore stesso.

Oppure che “per Pavese, scrivere su Fitzgerald nella seconda metà degli anni Quaranta significa ripercorrere le orme di Gatsby, sulla scia di una memoria che illumina il presente alla luce del passato miraggio”.

E cosi via, per ogni grande autore letterario americano, da Herman Melville a Jack London e Steinbeck, si individua, come in un puzzle, il posto nel pensiero e nell’opera dello scrittore italiano. Si notano anche le suggestioni politiche di un italiano negli Anni ’30 che guarda alla terra della libertà, i suoi pudori nelle traduzioni di passaggi espliciti, la sua influenza di quasi ri-scrittura dei testi americani in italiano.

Tutto un lavoro che permette di identificare quello “stampo ricorrente, quelle leggi della fantasia che trasformano il più diverso materiale in figure e situazioni che sono sempre press’a poco le stesse”, di cui parla Pavese e che, in questa sede, permettono di individuare Pavese stesso.

© Melissa Pignatelli 2012
Gabriella Remigi, Cesare Pavese e la Letteratura Americana, Leo Olschki, Firenze, 2012.


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