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Chauncey Billups saluta l’NBA

Creato il 16 settembre 2014 da Basketcaffe @basketcaffe

It’s just time, I know when it’s time.

Con queste parole Chauncey Billups “called it a career” come dicono, in un modo straordinariamente efficace, oltre oceano. Billups aggiunge, come motivazioni per un ritiro per certi versi pronosticabile, che non si è più sentito a posto fisicamente negli ultimi tre anni, dopo il brutto infortunio al tendine d’Achille subito in maglia Clippers, e che non si sente più in grado di raggiungere gli obiettivi che si prefissa, perché il suo corpo, semplicemente, non riesce a sostenerli. “It’s just time”, in quattro semplici termini.

Pubblicazione di Luigi Datome.

L’ultima stagione, quella del ritorno nella Detroit che gli ha regalato le gioie e le soddisfazioni più grandi della sua carriera, è stata la peggiore di sempre per il playmaker, chiusa con 3.8 punti, 1.5 rimbalzi e 2.2 assist nelle 19 partite giocate. E’ sceso in campo solo 60 volte nelle ultime tre stagioni e ha portato con sé cifre e prestazioni ben diverse da quelle che ha regalato nel corso della sua straordinaria vita sportiva.
In 17 stagioni e 1.043 presenze sul parquet ha segnato 15.2 punti di media, tirando con il 38.3% da tre punti, il tutto accompagnato da 2.9 rimbalzi e 5.4 assistenze.

Ripercorrendo la sua carriera a ritroso, Billups è stato uno dei simboli della NBA e della pallacanestro di inizio secolo. A partire dal Draft del 1997, quando viene scelto alla numero tre dai Boston Celtics. Nonostante un esordio più che positivo nella Lega, viene tradato dopo una cinquantina di partite ai Raptors. I rapporti con coach Pitino non sono mai stati ottimali nel corso di quella breve convivenza e Billups rimpiangerà, più avanti, di non aver avuto nemmeno un’occasione per dimostrare il suo talento. Terminata la stagione in Canada viene spedito nella sua città natale, Denver, ma non vede praticamente mai il parquet, tanto da essere scambiato ancora una volta, in direzione Orlando. Qui, però, non gioca nemmeno un minuto, anche a causa di un serio infortunio, e alla fine se lo aggiudicano i Timberwolves, per fare da back-up a Terrel Brandon. Nell’ambiente NBA è ormai considerato un “bust” e nessuno sembra volergli dare la fiducia che merita.

L’infortunio di Brandon, che lo aiuta non poco insieme a Kevin Garnett nel cercare di trovare la giusta tranquillità per provare ad esplodere in NBA, porta Billups ad essere il titolare di una squadra che chiude la regular season con 50 vittorie e sembra pronta a sognare in grande. Minnesota, però, viene eliminata al primo turno di playoff dai Mavericks, nonostante il suo nuovo play segni 22 punti di media nella serie. Ora che il suo talento è sbocciato, vorrebbe restare ai T-Wolves, ma gli viene preferito Brandon (e considerato troppo alto l’ingaggio chiesto) e si ritrova quindi a firmare quello che sarà il contratto della vita, con i Detroit Pistons. In sei stagioni a Motown, Billups scrive la storia della franchigia, diventando, oltre a “Mr. Big Shot“, amato dai tifosi per la sua difesa arcigna e per il suo essere decisivo quando la palla è l’ultima giocabile, il play di un quintetto stellare, tra i più forti di sempre, che comprenderà Richard Hamilton, Tayshaun Prince, Ben Wallace e Rasheed Wallace.

Quintetto che, nel 2004, regala il terzo anello nella storia della franchigia, dopo i due consecutivi vinti ad inizio anni Novanta, a seguito di una cavalcata straordinaria. Eliminati i Bucks in cinque partite, superati poi i Nets in sette combattutissime battaglie e i Pacers in sei match, arrivano le Finals contro i Lakers, vincitori di tre degli ultimi quattro titoli assegnati. In cinque partite i Pistons schiacciano anche quest’ultimo, fortissimo avversario, vincendo tre delle quattro sfide con più di dieci punti di scarto. Chi, solo qualche stagione prima, veniva definito “bust” segna 21 punti e aggiunge 5.2 assistenze nella serie, laureandosi MVP delle Finals. L’anno successivo il repeat viene fermato solo dagli Spurs in una serie splendida, chiusasi con la vittoria finale di San Antonio solo in gara 7. C’è ancora tempo, la stagione seguente, per siglare il miglior record della Lega e della storia della franchigia (64-18), dopo una partenza record, fatta di 35 vittorie nelle prime 42 gare giocate. I favoriti assoluti per il titolo, però, perdono in sei gare dai futuri campioni NBA, gli Heat di Wade e Shaq. Il destino sarà il medesimo anche nelle due stagioni successive. Detroit perderà la finale di Conference prima contro i Cavs e successivamente contro i Celtics. E’ la fine di un’epoca e di una squadra da leggenda.

Billups ha la possibilità di tornare di nuovo a casa, a Denver. Con la premiata ditta Billups-Anthony, i Nuggets si regalano innumerevoli record di franchigia, tra cui le 54 vittorie stagionali, e raggiungono il secondo posto nella Western Conference. La prima serie di playoff, contro gli Hornets, regala al play un posto nella storia della squadra: chiude con 22.6 punti, 7.4 assist e 3.8 canestri da tre punti di media, segnando 8 tiri da oltre l’arco in una sola partita e 19 in totale, entrambi record di franchigia. Denver sconfigge poi i Mavericks in cinque partite e Billups raggiunge la sua settima finale di Conference consecutiva, come era riuscito solo a quattro giocatori dopo l’epoca di Bill Russell. La franchigia del Colorado, però, viene sconfitta dai Lakers in sei match e saluta il sogno di arrivare all’anello. Sarà l’ultima volta in cui Billups potrà seriamente ambire al titolo. Dopo altre due stagioni ai Nuggets, delle quali una segna il suo record di punti in carriera (19.5 di media), passa ai Knicks e successivamente ai Clippers, prima di tornare per le sue ultime apparizioni sul parquet in quel di Detroit.

Billups è stato uno dei più grandi interpreti nel suo ruolo, posizionandosi al 39esimo posto di sempre per assist distribuiti (5.363) e al sesto per numero di triple segnate (1.830), parte dei suoi 15.802 punti in carriera. A questo ha aggiunto, per altro, 1.051 rubate e due apparizioni nell’All-Defense Team, a dimostrazione del suo gioco straordinario in ogni aspetto, a tutto campo. Se a ciò aggiungiamo il titolo mondiale vinto in Turchia nel 2010, come membro di Team USA, e se alla mente riportiamo quella straordinaria serie nelle Finals del 2004, oltre ai vari record individuali e di franchigia fatti segnare nel corso della carriera, Billups potrebbe ritagliarsi un posto nella Hall of Fame. Proprio nell’intervista in cui ha annunciato il ritiro, non ha nascosto di pensarci come ad un grande sogno. Sarebbe il degno coronamento ad una carriera da assoluto protagonista.


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