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Che fine ha fatto Sandro Bondi? In azione la troupe di “Chi l’ha visto?”

Creato il 02 marzo 2011 da Massimoconsorti @massimoconsorti
L’ultima volta è stata sulle macerie di Pompei. Sandro Bondi, il ministro prefatore (sappiamo noi perché) della cultura, si aggirava per la casa dei gladiatori stringendo fra le mani i mattoni dell’abitazione crollata. Li guardava, ci parlava, li accarezzava. “Non è colpa mia, è stato Veltroni”, ripeteva ossessivamente il ministro riuscendo a far commuovere i 350 custodi, i 233 cani randagi e l’unico archeologo presente negli scavi. Il fatto è che dopo la sfiducia-anatema che gli hanno lanciato contro le opposizioni, Bondi non si è più ripreso. Lui, che voleva essere ricordato per i tagli al Fus, il rincaro dei biglietti del cinema, i premi tarocchi a presunte “autrici” bulgare”, le invettive contro “Draquila” e gli attori e registi comunisti, l’affossamento del teatro e della lirica e, vero e proprio fiore all’occhiello, il crocifisso di Michelangelo che di Michelangelo non è, aveva invece corso il rischio di passare alla storia come l’unico ministro vittima di una sfiducia ad personam di tutta la storia repubblicana. Il peso poi del tradimento di Pierfy Casini (“sono stato l’unico a tenere aperta una porta per lui nella maggioranza”), gli è risultato insopportabile. Quando ormai il governo aveva deciso di rivolgersi a “Chi l’ha visto?” temendo un gesto insano, ecco che il nostro sensibile, tenero, romantico e un po’ poeta ministro della cultura ha fatto la sua ricomparsa sulla scena pubblica rilasciando una intervista al Corriere della Sera. Dimagrito, spettinato, dimesso, con la barba di giorni, un vago odore di clochard e due occhiaie da insonne cronico, Sandro Bondi ha dettato le sue ultime volontà ministeriali esordendo con: “Ho già chiesto più volte al presidente del Consiglio di essere sostituito. Vorrei dimettermi e spero che accetti le mie dimissioni al più presto”. Bondi non ce la fa più. Sull’orlo di una crisi depressiva da tendenze suicide, il ministro vuole tuffarsi fra le braccia della compagna, trovare un posto di lavoro al figlio e all’ex marito senza essere accusato di abusare del suo ruolo, tornare a fare lo chauffeur di Silvio e, considerate le ore di lavoro di un senatore oggi, darsi finalmente a tempo pieno alla poesia sdrucciola che è quella che lo affascina di più. Stravolto dai riflettori puntati su di lui e sulla sua vita privata, Bondi ha dettato al giornalista del Corsera: “Spero che nelle retrovie io possa trovare un minimo di terreno utile a fare quello che per me significa la politica: un confronto di idee e impegno per il rinnovamento del Paese”, denotando una voglia di ritorno al privato che gli fa onore dopo “non ho mai cessato i miei doveri di ministro, anche se sono consapevole di molte sconfitte. Ultimi i miei interventi per il decreto Milleproroghe, anche se pure questi non sono serviti a ottenere risultati positivi”. Sconfitto su tutta la linea dalla politica di Tremonti (il propugnatore del concetto che “con la cultura non si mangia”), Bondi si è sentito svuotato di ogni sua prerogativa e impossibilitato a fare quello che gli era stato ordinato: trasformare il Mibac nel Minculpop visto che anche per il Ministero della cultura popolare occorre avere fondi da distribuire agli intellettuali ignoranti che seguono il berlusconismo. Ultimo schiaffo in ordine di tempo, l’assenza alla presentazione della Fondazione Franco Zeffirelli che non è chiaro se dovuta a un mancato invito o a una sua decisione autonoma. L’handicap di Bondi è stato quello di aver assunto il dicastero della cultura senza capire nulla di cinema, di teatro, di musica, di letteratura, d’arte visto che nella sua carriera di sindaco di Fivizzano l’unica manifestazione artistica organizzata fu un concerto dei Dik Dik, mentre l’unico film proiettato in piazza per l’Estate Fivizzanese, “Marcellino, pane e vino”. Alla fine, anche uno come lui rotto a quasi tutte le esperienze umane e politiche, non ce l’ha fatta più ed è crollato sotto il peso insostenibile dell’ignoranza. Il ministro Bondi (che inizia a farci tenerezza come un “carlino” in preda alla diarrea), termina la sua intervista all’ex Corriere della Sera, con una testimonianza sulla “solitudine” che suona come una sorta di testamento spirituale: “Per tre mesi sono stato sotto attacco dell'opposizione in maniera violenta e non ho ricevuto nessuna solidarietà. Sono stato lasciato solo”. Non è vero Sandrino, noi non ti abbiamo mai lasciato solo e, nel bene e nel male, abbiamo sempre parlato di te. A modo nostro, naturalmente.

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