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Che succede in #Messico? Intervista con @FrancescoGiappi su @Lettera43

Creato il 18 febbraio 2016 da Vfabris @FabrizioLorusso

[LINK INTERVISTA DI FRANCESCO GIAPPICHINI CON FABRIZIO LORUSSO: ORIGINALE PARTE I E PARTE II] In queste ore, segnate dalla visita di papa Francesco in Messico, è d’obbligo porci qualche domanda sulla Nazione ispanoamericana. Che se da un lato vanta il quattordicesimo posto tra le maggiori potenze mondiali, dall’altro è sconvolta da un’ondata di violenza, che rischia di sancirne l’assoluta inaffidabilità.

Negli ultimi mesi – e nonostante l’Area sia tradizionalmente negletta dal mainstreaminternazionale – il Paese è riuscito a far parlare di sé anche sui quotidiani nostrani. La strage degli studenti a Iguala e la telenovela della cattura di Joaquín “El Chapo” Guzmán Loera – con Sean Penn attore non protagonista – hanno contribuito a che i media occidentali degnassero di una certa attenzione l’omicidio del sindaco di Temixco, Gisela Mota Ocampo, la sanguinosa rivolta nel carcere Topo chico di Monterrey, e anche il sacrificio dell’ennesimo giornalista: Anabel Flores Salazar è stata uccisa proprio lo scorso 9 febbraio, nello Stato di Veracruz.

Papa Francesco accolto in Messico dalla coppia presidenziale

FOTO: Papa Francesco accolto in Messico dalla coppia presidenziale

E per chiarire i nostri interrogativi, abbiamo chiesto aiuto a Fabrizio Lorusso ( @FabrizioLorusso ), tra i maggiori esperti italiani di politica ed economia messicane. Il 38enne bocconiano – originario della Bovisa, in quel di Milano – vive da circa quattordici anni a Città del Messico; qui non soltanto insegna Storia dell’America latina e geopolitica latinoamericana presso l’Universidad nacional autónoma de México (Unam), e l’Universidad iberoamericana (Uia), ma scrive anche saggi (che ci piace definire cult) ed è corrispondente per l’edizione italiana dell’«Huffington post»; oltre a gestire un interessante blog sull’attualità messicana, dal titolo “L’America latina” ( http://lamericalatina.net/ ).

Il nostro intervistato, come accennato, ha pubblicato dei libri ove ha approfondito – e in un Paese come il Messico, forse non era possibile fare altrimenti – le dinamiche criminali locali, e le collusioni tra cartelli e politica. Riuscendo a sdoganare nella pubblicistica italiana – e per questo soprattutto, è ricordato – il termine narcoguerra. Delle sue pubblicazioni tuttavia parleremo nell’introduzione alla seconda parte della nostra intervista, che sarà online tra qualche giorno.

Sui media italiani si parla spesso del Messico come di un Paese in mano ai narco, e i recenti fatti di cronaca – i desaparecidos di Iguala, l’arresto di Joaquín “El Chapo” Guzmán Loera, l’assassinio di Gisela Mota Ocampo – rendono forse inevitabile l’approccio. Quali, le origini della deriva? Perché la società non sa mettere in campo quegli anticorpi, che ad esempio hanno impedito al Brasile di sprofondare nell’abisso?

«Le origini della deriva sono antiche, risalgono per lo meno agli Anni settanta; se non a prima, cioè quando la coltivazione, elaborazione e traffico di stupefacenti – in primis marijuana e oppiacei, poi cocaina dalla Colombia – diventano business veri e propri. La domanda statunitense sperimenta un boom. In Messico nascono organizzazioni regionali e poi internazionali, come quelle di Guadalajara e del Golfo. Già dagli inizi si tratta di traffici condivisi e pattuiti, tra settori della politica e i narcotrafficanti. La società messicana ha reagito a più riprese, alle condizioni di repressione sociale e di disuguaglianza economica in cui versa. Solo come esempio, pensiamo agli zapatisti dell’Ejército zapatista de liberación nacional. Contro l’ondata di violenza e disgregazione – causata dal modello economico e dall’offensiva militare contro i cartelli, la narcoguerra, dopo il 2006 – ci sono state tante manifestazioni e opposizioni. Alcune hanno dato visibilità alle vittime. Penso al Movimento per la pace con giustizia e dignità, del poeta Javier Sicilia».

Immagino che però la strage di Iguala, del settembre 2014, abbia cambiato qualcosa, nella società civile messicana. Di certo qualcosa è cambiato, almeno presso l’opinione pubblica internazionale …

«Oggi i genitori dei quarantatré desaparecidos di Ayotzinapa conducono una lotta ammirevole. Per ora però nessuno ha mostrato continuità per più di qualche anno, né ha raggiunto una massa critica per un vero cambiamento. Sono osteggiati dalle istituzioni e dai mass media asserviti, quindi lo sfiancamento è costante. Anche per questo, cercano sostegno internazionale».

Di là dai dati statistici, giudica il Messico pericoloso per chi fa informazione?

«Direi di sì. Qualche statistica però serve: tra i cento e i 120 giornalisti sono stati uccisi nell’ultimo decennio. Basta seguire il lavoro di un’organizzazione non governativa come Article19, per capire quanti altri attacchi – non sempre letteralmente mortali per i giornalisti, ma sì fatali per la libertà di stampa e la democrazia – sono scagliati quotidianamente contro chi comunica e critica. Che sia un blogger o un reporter, un editore di un quotidiano o un fotografo di una rivista, poco importa. Si vive tra due fuochi: il crimine organizzato e le Autorità. Entrambi fanno la loro parte, nel peggiorare la situazione. Caso indicativo, ma è solo un esempio, l’assassinio di Regina Martínez, corrispondente di “Proceso” da Veracruz. Questa zona, insieme allo Stato di Tamaulipas, è in pratica off limits. E non è tutto. Prima la Capitale era reputata un luogo sicuro, anche se non era completamente così. Tuttavia dopo la morte del reporter Rubén Espinosa Becerril e dell’attivista Nadia Vera – trucidati insieme con altre tre persone in un appartamento di un quartiere benestante a Città del Messico, il 31 luglio scorso – nemmeno è possibile parlare di una zona di sicurezza per la stampa. Il caso è ancora irrisolto e la Procura tergiversa, non investiga i possibili moventi politici».

Come si vive l’attesa per la visita del papa?

«I Comuni e i luoghi della visita stanno vivendo un processo d’intenso trucco. Intorno però tutto rimane uguale: Ciudad Juárez, Ecatepec, lo Stato del Messico, cioè la regione intorno alla Capitale, e la Capitale stessa. Son tante le organizzazioni sociali – specialmente quelle che danno visibilità alle vittime della criminalità organizzata e ai desaparecidos – che non potranno accedere a un contatto con il papa, o mostrare pubblicamente le loro esigenze. Il Governo vuole approfittare della visita del pontefice per costruire in fretta una nuova vetrina di fronte al mondo, mentre la gran massa di vittime della narcoguerra e della decomposizione sociale saranno nascoste. Lo Stato difficilmente si assumerà le proprie responsabilità dinanzi a Francesco».

Intanto un nuovo scandalo, di origine religiosa o meglio liturgica, pare collocare nuove nubi sulla politica messicana; in particolare, sul matrimonio del 2010 tra il capo dello stato e Gaviota, la celebre attrice di novela, in forza al colosso radiotelevisivo Televisa.

«Vanno seguiti adesso gli scandali, proprio freschi, sul primo matrimonio di Angélica “Gaviota” Rivera, cioè la moglie del presidente Enrique Peña Nieto. Pare che l’annullamento del suo primo matrimonio non sussista, ma lei s’è sposata comunque col presidente; mentre il prete del primo matrimonio è stato severamente e ingiustamente penalizzato, prima di morire».

PARTE II

INTRO. Nelle ore in cui scriviamo, il sistema mediatico – italiano, messicano e forse del mondo intero – è ansioso di assistere all’imminente messa del pontefice Jorge Mario Bergoglio, nella città messicana Ciudad Juárez. Proprio al confine con El Paso, in Texas. Intanto chi vuole approfondire le dinamiche socio-politiche del Messico – magari andando un po’ più a fondo rispetto al pur apprezzabile reportage di Sean Penn – potrebbe leggersi la seconda parte della nostra intervista al professor Fabrizio Lorusso.

Il nostro connazionale, che vive in Messico da molti anni, unisce alle attività di docente, giornalista e blogger ( http://lamericalatina.net/ ), anche quella di scrittore.

Papa Francesco in Messico
FOTO: Papa Francesco in Messico

In questa sede ci piace soffermarci su tre sue pubblicazioni, che rappresentano un unicum nel panorama della saggistica italiana, dedicata al pianeta latinoamericano.  ‘Narcoguerra. Cronache dal Messico dei cartelli della droga’ del 2015, è «un testo giornalistico e narrativo», come si legge sul portale dell’editrice Odoya, «sul Messico e sulla guerra ai cartelli della droga». La pubblicazione – arricchita dal prologo dell’arcinoto Pino Cacucci – è imprescindibile per chiunque voglia conoscere i connotati di una tra le mafie più sanguinarie della Terra, in affari anche con la ‘ndrangheta calabrese. E se ‘La fame di Haiti’ (2015) – scritto con Romina Vinci – è uno dei pochi testi dedicati in Italia alla martoriata isola caraibica, vogliamo qui richiamare l’attenzione su ‘Santa Muerte. Patrona dell’umanità’ del 2013, opera pubblicata da Stampa alternativa.

Di là dell’importante prologo redatto da Valerio Evangelisti – grande esperto del Paese nordamericano – crediamo che il libro rappresenti il più approfondito studio, in italiano, sul culto e la devozione per la Santa Muerte. Di cui hanno parlato di recente anche i giornali nostrani, per via della visita del papa a Ecatepec. Si tratta solo di una setta satanica, o di una religione per narcotrafficanti? Lorusso crede di no. Vanno poi segnalati i racconti per le seguenti raccolte: ‘Re/search Milano. Mappa di una città a pezzi’ del 2015, ‘Pan del alma’ del 2014, ‘Nessuna più. 40 scrittori contro il femminicidio’ del 2013, pubblicata da Elliot, e infine ‘Sorci verdi. Storie di ordinario leghismo’, del 2011.

In buona sostanza, le Autorità ecclesiastiche messicane avrebbero sanato un annullamento che invece non doveva essere convalidato – quello del matrimonio tra José Alberto ‘El Güero’ Castro e la nota attrice di novela Angélica ‘Gaviota’ Rivera – al fine di rendere possibili le nozze religiose tra quest’ultima, e il presidente della Repubblica, Enrique Peña Nieto …

«Si parla d’influenze e coinvolgimenti importanti. E mentre lei si dedica a fare un album con amici cantanti e la Sony music, per accogliere degnamente Francesco, sta scoppiando un caso pesante che mostra ipocrisie e manipolazioni. Va seguito».

Il Messico pare non soffrire di quell’affanno economico, che incupisce gran parte dell’America latina. Un dinamismo frutto solo della vicinanza con gli Stati uniti, o c’è dell’altro?  

«In realtà durante gli anni di grande crescita in America latina, il Messico è rimasto quasi fermo; e anche oggi i tassi di crescita del PIL non sono alti, per un Paese emergente. Ora è semplicemente il resto del Continente che s’è allineato sui tassi messicani, dopo la fine del boom dell’export e dei prodotti primari richiesti dalla crescita cinese e asiatica. In Paesi come il Brasile, la povertà è però caduta drasticamente, e si va verso l’universalizzazione del welfare; in Messico invece questo non c’è».

Un ruolo importante, nella politica commerciale messicana, dovrebbe essere anche quello svolto dal Partenariato trans-Pacifico (Tpp), l’accordo di libero scambio firmato il 4 febbraio …

«Proprio in seguito alla firma dall’accordo trans-Pacifico, l’idea è di competere con la Cina: sui costi del lavoro, e contando sulla vicinanza con i Paesi del Pacifico. Tuttavia nel frattempo non ci si accorge che la Cina si sta muovendo verso un modello d’economia tecnologicamente avanzato, e pian piano smetterà di fare la fabbrica a basso costo del mondo, sfruttando la manodopera. Alla fine il regime potrebbe cedere anche sui diritti e la partecipazione politica, abbandonando il partito unico e la dittatura de facto. Si vedrà. Oggi il Messico opera come un’appendice dell’economia statunitense, ma senza i diritti, le regole e lo sviluppo degli Usa. Potrà anche crescere molto, magari spinto dall’apertura del suo settore energetico o da un nuovo boom d’investimenti stranieri; ma senza redistribuzione, welfare e protezione del lavoro, oltre che della sicurezza umana in generale, non si svilupperà mai nel senso più compiuto del termine».

Il sistema politico avanza verso un bipolarismo compiuto, incardinato su Partido revolucionario institucional e Partido de la revolución democrática, o in futuro assisteremo ad altre formule? Ad esempio grazie a un rafforzamento del Partido acción nacional …

«Secondo me si mantiene ancora il sistema tripolare, non bipolare. Mi spiego. Il Pri e il Pan formano un blocco, noto comunemente come Prian, giacché coprono lo spettro politico di varie destre, di settori cattolici ultra, e di un centro populista dal taglio neoliberista, e conservatore nel sociale. In un modo o nell’altro, bloccano ogni diversa formula a sinistra. Mi sa che il Prian è più simile ai neocons che ai (neo) liberal americani, ecco. I paragoni però finiscono qui. Altra storia. Il Pri è stato al potere 71 anni, nel Novecento».

E per quanto riguarda più specificamente il fronte della sinistra, quali sono le sue condizioni di salute?

«A sinistra, il Prd non è più la sola forza, ma c’è il Movimiento regeneración nacional dell’ex candidato alle Presidenziali, Andrés Manuel López Obrador. Il 30 o più per cento di voti che aveva il centro-sinistra messicano si divide quindi adesso tra due partiti. Anche questi non sono esenti dai vizi di corruzione e clientelismo del sistema politico locale. Oggi, anzi da quasi 20 anni, governano la Capitale, che è appena stata trasformata in un nuovo Stato del Messico, e non è più un ibrido amministrativo. A livello nazionale però devono spesso allearsi addirittura con il Pan, per sconfiggere il Pri e vincere in qualche Comune o Stato. Vedo il ritorno di un predominio del Pri anche nel 2018 – quando ci saranno le Presidenziali – salvo sorprese. Né gli scandali patrimoniali e personali della famiglia del Presidente, né le crisi di violenza e dei quarantatré desaparecidos di Iguala – gli studenti di Ayotzinapa – e degli altri 27mila, hanno ancora avuto effetti di rilievo sulla politica. La stragrande maggioranza dei governatori statali appartiene al Pri. Il quale torna a uno status egemonico, anche grazie al suo satellite alleato: il Partito verde ecologista del Messico. Non è verde né ecologista, ma è un clan familiare specializzato nel tema: mafia elettorale e fondi pubblici. Chi vuole approfondire, può andarsi a leggere qualcosa sull’imbarazzante amministrazione del verde Manuel Velasco Coello, in Chiapas».


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