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Chi continua a puntare sull’energia pulita?

Creato il 02 gennaio 2013 da Informasalus @informasalus
CATEGORIE: Attualità
energia pulita
Il settore delle fonti rinnovabili si conferma in grado di fronteggiare con successo la crisi

Il settore delle fonti rinnovabili si conferma in grado di fronteggiare con successo la crisi: lo scorso anno gli investimenti globali nel comparto delle energie pulite hanno raggiunto un nuovo record, a dispetto dei venti di recessione che continuano a soffiare ormai da anni. Anche se, avvertono gli esperti, il tasso di crescita sta mostrando segnali di rallentamento, il che costituisce un monito per i governi.
A fotografare lo stato dell’arte del comparto è il rapporto Global trends in Renewable Energy Investment 2012, redatto dal Programma Ambientale delle Nazioni Unite (Unep) e da Bloomberg New Energy Finance, insieme al Renewable Energy Policy Network for the 21st Century (Ren21). Secondo il documento gli investimenti complessivi nelle rinnovabili sono aumentati nel 2011 del 17% rispetto ai dodici mesi precedenti, toccando il nuovo massimo storico di 257 miliardi di dollari (a crescere, in particolare, sono state le economie avanzate, che hanno garantito il 65% di tale somma). Due Paesi “pesano” in modo più significativo: Usa e Cina, che si contendono il primato con investimenti superiori ai 50 miliardi. Mentre un incremento enorme è stato registrato anche in India: il Paese ha segnato il record in termini di espansione, con un +62% (a 12 miliardi di dollari) rispetto al 2010.
Solare innanzitutto
Tra le diverse fonti, lo scorso anno è stato il solare ad aver captato la quota principale degli investimenti: il 52% del totale, 147 miliardi di dollari. Quasi il doppio rispetto all’eolico, che ha raccolto 84 miliardi. E, scendendo ancor più nel particolare, sono state le piccole e medie installazioni di pannelli sui tetti di case e di altri fabbricati ad aver registrato l’impennata più evidente, soprattutto in Germania e in Italia. Spagna e Usa, al contrario, risultano ai primi posti per i progetti su larga scala. Ciò grazie soprattutto al fatto che i prezzi delle infrastrutture continuano a scendere: il costo medio dei moduli fotovoltaici, sulla spinta dell’enorme offerta cinese, è sceso nel 2011 del 50%, mentre quello delle turbine eoliche onshore tra il 5 e il 10%.
Ciò ha fatto sì che il 44% della nuova capacità installata nel mondo sia costituita proprio da fonti pulite (il dato era al 34% nel 2010 e al 10,3% nel 2004). Così, la produzione complessiva da rinnovabili è passata, dal 2010 allo scorso anno, dal 5,1 al 6%. Numeri confortanti, ma che non bastano: «Dobbiamo fare di più – ha spiegato al quotidiano The Guardian un esperto di Ren21 – se vogliamo combattere il cambiamento climatico e sviluppare appieno le tecnologie low-carbon».
Meno aiuti dai governi
Al contrario il rapporto dell’Unep sottolinea come i governi di numerosi Paesi stiano progressivamente affievolendo le politiche di supporto al settore, «in particolare in Europa e negli Usa». Un fattore che «paradossalmente proprio quando le rinnovabili possono diventare, in pochi anni, definitivamente competitive, sta mettendo a rischio la crescita degli investimenti nel settore». Non a caso, nonostante i record, l’indice borsistico americano delle energie pulite WilderHill New Energy Global Innovation Index (Nex) ha perso il 40% nel 2011.
PANNELLI, TRA USA, UE E CINA È GUERRA (COMMERCIALE) APERTA
L’invasione sul mercato dei pannelli solari cinesi, molto meno costosi rispetto alla concorrenza, è oggetto ormai da tempo di una “guerra” commerciale tra la Cina e gli Stati Uniti. L’ultimo fronte è stato aperto lo scorso 10 ottobre, quando il governo americano ha annunciato di essere giunto alla conclusione di un’inchiesta. Il risultato, secondo il dipartimento del Commercio di Washington, è che i prodotti in arrivo negli Usa dal colosso economico asiatico sono stati venduti sottocosto, o comunque sono stati “drogati” attraverso sovvenzioni che hanno costituito una concorrenza sleale nei confronti dei produttori statunitensi.
Per questo gli Usa si sono rivolti all’Organizzazione internazionale del commercio (World Trade Organization), non è la prima volta che la Casa Bianca gioca questa carta. Se il Wto confermerà le conclusioni a cui è giunto il governo americano – cosa che normalmente accade in queste situazioni – Washington potrà ordinare alle proprie dogane di imporre dei dazi “anti-dumping” sui prodotti importati. Al contempo, secondo le stesse regole del Wto, gli esportatori cinesi dovranno depositare una garanzia per la copertura degli stessi dazi.
Nel frattempo, nello scorso mese di settembre, anche l’Ue si è attivata, aprendo formalmente un’inchiesta “anti-dumping” contro i fabbricanti cinesi di pannelli solari. La procedura è stata avviata sulla scorta dell’iniziativa della SolarWorld, azienda tedesca leader nel settore fotovoltaico, che con il sostegno di una ventina di altre industrie del Vecchio Continente (un raggruppamento ribattezzato “ProSun”) ha chiesto a Bruxelles di agire. Anche in questo caso, il dito è puntato contro le condizioni che hanno permesso ai concorrenti cinesi di scalare il mercato a un ritmo impressionante, passando dal 40% del 2009 al 68% dello scorso anno.
Ad affiancare le industrie europee c’è in particolare il commissario al Commercio Karel de Gucht, che sembra risoluto a muoversi per modificare la situazione. Scelta che però non è vista di buon occhio dalla Germania, che con Pechino preferirebbe risolvere diplomaticamente il problema.



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