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Chi dice che non ci sono più valori?

Creato il 09 luglio 2013 da Tabulerase

Chi dice che non ci sono più valori? tabule rase

non ci sono valori
Uno dei luoghi comuni più frequenti tanto caro a parecchie persone, dalla signora che incontri al supermercato al colto intellettuale dei salotti buoni, è quello secondo cui “non ci sono più valori”.

Del resto, viviamo tutti di luoghi comuni, di stereotipi, di pregiudizi, di leggende metropolitane e di opinioni preconfezionate per noi da altri, che ci mettono così al riparo dalla fatica immane di interrogarci non solo sui grandi temi dell’uomo, ma anche sulla realtà contingente che, dalla politica all’economia, dall’ambiente alla giustizia, dal lavoro all’istruzione, segna la qualità delle nostre vite.

 “Non ci sono più valori”. Sul piano sociologico il “valore” configura una categoria concettuale il cui senso assume una valenza eminentemente relativa poiché il suo significato è strettamente legato alla cultura di riferimento. E se è vero che anche quelle delle organizzazioni criminali di stampo mafioso possono essere definite culture, da Cosa nostra alla mafia russa, dalla Yakuza alle Narco-mafie colombiane, allora anche in questi casi è possibile parlare di “valori”. Del resto, per definizione i valori non sono altro che orientamenti generali da cui discendono i fini dell’azione umana, fondati su un sistema codificato di prescrizioni e proscrizioni.

 Pochi luoghi comuni in realtà, al pari di questo, raccontano dell’atavica pigrizia intellettuale dell’uomo. Dei suoi timori di confrontarsi con ciò che è diverso e che rischia di demolire un mondo fatto di fragili certezze e deboli convinzioni. E di certo raccontanodell’incapacità dell’attuale classe dirigente occidentale (soprattutto del Sud Europa e, segnatamente, dell’Italia) di cogliere la complessità delle dinamiche sociali contemporanee e i processi di mutamento in corso. Anche sedisponiamo ancora delle analisi di intellettuali del profilo di Adam Smith oÉmile Durkheim,Max Weber o Karl Marx, Michel Foucault o Karl Popper, preziose fonti di riferimento della conoscenza e delle scienze sociali. E grazie al cielo,possiamo ancora affidare le redini della conoscenza e della scienza a personalità come Paul Krugman, Joseph Stiglitz, Umberto Eco, Maurizio Ferraris, Stefano Rodotà, Barbara Spinelli che colgono in maniera lungimirante il mutamento e le sue direzioni, seguendo i rischi e i pericoli delle dinamiche in corso, ma anche le opportunità e i percorsi più adeguati per una crescita possibile.

 Dunque, tutte le realtà sociali sono in continuo mutamento. Mutano i valori e i relativi orizzonti di riferimento. E a cascata mutano le configurazioni dei sistemi politici. Mutano le modalità e i processi di produzione. Mutano gli assetti normativi. Mutano la conoscenza e la scienza. Mutano le esigenze e i problemi delle persone. Mutano i modelli sociali dominanti. Muta l’economia. Tutto muta per effetto di un processo di globalizzazione che è connaturato all’uomo fin dalla sua comparsa sulla terra.E se la globalizzazione sta alla base di queste dinamiche di cambiamentoche sono culturali, politiche ed economiche, di certo il processo di globalizzazione in corso sta alla base di un mutamento la cui velocità mai è stata sperimentata nella modernità.

 Nei fatti il mutamento è mutamento culturale. E il mutamento culturale investe valori, norme e istituzioni. Tre realtà profondamente legate negli orientamenti di fondo, ma che occupano livelli differenti della dimensione esperienziale delle persone e della loro maniera di fare società.Suffragio universale, tutela dei lavoratori, rivoluzione sessuale, movimento del ’68, legge sul divorzio e possibilità di aborto, assistenza sanitaria pubblica, sistema previdenziale, raccontano di uno Welfare che ha garantito la piena affermazione della cittadinanza entro un quadro accettabile di doveri da adempiere e di diritti da soddisfare. Che ha tirato la volata ai baby boomerse ad una condizione generalizzata di benessere che, in qualche modo, non ha lasciato indietro nessuno.

 Il mutamento, concetto che per sua natura non possiede un’accezione qualitativa, non è mai un superamento. Piuttosto rappresenta una revisione, una rielaborazione, un aggiustamento della realtà esistente e dei suoi valori, ma arricchiti di nuovo e che fa del precedente una preziosa risorsa di partenza. Cosi è nelle tradizioni, così è nell’economia, così è nella scienza. Così è secondo Thomas Kuhn filosofo della scienza statunitense del secolo scorso secondo cui il sapere vive di paradigmi che debbono essere rivisitati sulla base del progresso scientifico per poter essere riutilizzati per produrre nuova conoscenza.

 Dunque, “non ci sono più valori” è un falso concettuale. Un inganno intellettuale. Un falso ideologico che nega e nasconde, in termini marxiani, la realtà a se stessi, ancor prima che agli altri. È un ossimoro. È una contraddizione in termini che sfida la logica e il buon senso. Perché, nei fatti, nessun valore è mai cancellato o superato. Mutano e, soprattutto, coesistono insieme ad altri orizzonti valoriali che nella contemporaneità, tendenzialmente secolarizzata, non sono più relegati ad una dimensione altra dell’esistenza umana tipica delle religioni della redenzione, ma resi presenti, attuali, da realizzare nel qui ed ora della vita. Possiamo quindi affermare che la locuzione “non ci sono più valori” non corrisponde a nessuna realtà esperita dall’uomo, né oggi né nel passato, e tantomeno lo sarà mai nel futuro. Perché ogni società è naturalmente ricca di valori perché naturalmente multiculturale. E proprio in questa struttura antropologica delle società umane, fatta di diversità, contraddizioni e conflitti, risiede lo stesso meccanismo, darwinianamente inteso, di sopravvivenza ed adattamento dell’uomo all’ambiente.

 Forse “non ci sono più valori” si riferisce alla disgregazione della famiglia tradizionalmente intesa che secondo le Associazioni antiviolenza e gli Istituti di ricerca italiani rappresenta il luogo principale delle violenze fisiche e psicologiche su donne e bambini. O forse si riferisce alla progressiva riduzione dei credenti di fede cattolica, magari per gli scandali di pedofilia che hanno investito le curie di tutto il mondo o per quelli finanziari dello IOR, o per il rifiuto antistorico della Chiesa di discutere, nonostante il Concilio Vaticano II, con la modernità. O forse “non ci sono più valori” si riferisce ai circa 30.000 bambini che ogni giorno, secondo l’UNICEF, muoiono di fame o di AIDS grazie al cinismo dei nostri governi e alla nostra indifferenza.

 Se la bislacca idea secondo cui “non ci sono più valori” si fonda sulla convinzione che stiamo vivendo un tempo di decadenza etica, è possibile rasserenare quanti intravedono nel futuro immagini apocalittiche infarcite di misticismo delirante e legate ad una visione superstiziosa della vitache raccontano della condanna divina dell’uomo e dell’espiazione dei suoi peccati. Infatti, non siamo reduci da un tempo di amore universale, di pace e di solidarietà. Ma la storia dell’uomo racconta di violenze e di soprusi, di conflitti e di povertà, di egoismi e di miserie. Dalle grandi questioni di politica internazionale fino alla vita privata del focolare domestico, dalla comparsa delle società premoderne a quelle contemporanee, dall’Occidente all’Oriente la guerra ha rappresentato una realtà endemica delle società umane. La Shoah nel secolo scorso ne ha rappresentato la testimonianza più drammatica generata dalla scellerata idea della razza ariana, figlia di un pensiero unico che lamentava l’assenza di valori. Quella soluzione finale voluta scientemente dal Partito nazista di Adolf Hitler può essere riassunta in un numero disumano e raccapricciante: 11 milioni di persone, tra comunisti, zingari ed ebrei, deportate nei campi di sterminio. Una storia drammatica che oggi rischia di essere rimossa da tentativi diabolicamente pianificati di revisione della storia che dalle università giungono fino a risuonare tra gli scranni dei parlamenti europei. E l’Italia non fa eccezione. Del resto il ventennio berlusconiano ha sdoganato i peggiori istinti italici, compresa la figura di Mussolini e del suo Partito nazionalfascista, le sue imprese ed i suoi governi.

 Oggi i valori ci sono e ci sono sempre stati. Ma quello che è più importante è che ce ne sono tanti, molti. Anzi moltissimi.Quello che è più importante è che oggi possiamo scegliere entro orizzonti ampi e variegati divalori, liberandoci di retaggi pedagogici ed appartenenze culturali ormai desuete e inadeguate rispetto ai processi e alle dinamiche sociali in corso, alla ricerca di un nuovo senso da restituire alla propria esistenza e di nuove forme di solidarietà. E così possiamo scegliere se essere religiosi o atei, se essere cristiani o buddisti, se sposarci o semplicemente convivere con i nostri partner, se mangiare mediterraneo o cinese, se continuare la professione di famiglia o cambiare.

 La vera bellezza sta proprio nella coesistenza di più valori, più culture che, seppur in tempi e spazi diversi e nonostante i differenti linguaggi, raccontano tutte il cammino dell’uomo alla scoperta di se stesso e dei suo rapporti sociali. Questo è proprio quello che racconta la “Stele quadrilingue”, conservata presso il Castello della Zisa di Palermo. Una iscrizione lapidea funeraria del 1149, intarsiata nelle quattro lingue che si parlavano a Palermo a quel tempo, ebraico, latino, greco bizantino ed arabo, e che racconta proprio di quella multiculturalità che da sempre accompagna l’uomo e che oggi la signora del supermercato o il colto intellettuale intendono negare quando dicono: “non ci sono più valori”.

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