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chi è il pazzo?

Creato il 20 marzo 2015 da Gaia

Un video sul sito de Il Fatto Quotidiano mostra il nostro presidente del Consiglio Matteo Renzi mentre insulta chi la pensa come me su una questione molto importante, e cioè chi parla di “decrescita felice”, invitandolo a farsi vedere “da uno bravo” – presumibilmente un medico in grado di guarire quella che secondo il premier è nientemeno che una malattia mentale. Questa malattia mentale consisterebbe nel pensare che la “decrescita” economica sia un fatto positivo anziché il grave problema che Renzi sta cercando con tutte le sue forze di risolvere.

Vale la pena rispondergli? Quanto è importante quello che dice Renzi? Secondo lui, evidentemente, moltissimo, e d’altronde viviamo in un mondo in cui le borse e i mercati internazionali sembrano muoversi più sulla base di quello che qualcuno dice e annuncia che di eventi reali – ma si tratta di fluttuazioni a breve termine, che non intaccano i cambiamenti veri e profondi che ci hanno portato in questa crisi. E la crisi, nonostante il grande impegno di persone anche di maggior spessore di Renzi, non può in nessun caso finire nel senso che intendono loro, cioè con un ritorno stabile alla crescita economica e demografica senza la quale le nostre società non riescono a scongiurare le minacce della disoccupazione, della miseria e dell’emigrazione di massa. Questo accade, però, non perché la crescita sia indispensabile, ma perché le nostre economie sono basate su presupposti sbagliati e senza la crescita entrano in crisi.

Quando sento Renzi parlare (il meno possibile, se ci riesco) mi sembra uno che urla nell’orecchio di un morto convinto che questo basterà a farlo resuscitare. E più il morto è stecchito, più lui urla e si fa bello coi passanti: “vedete? Sta muovendo l’alluce! Sta schiudendo una palpebra!”

Non è carino dare del malato mentale a qualcuno, ma dal mio punto di vista i pazzi sono i crescisti, non noi.

Gli esseri umani, essendo fatti di materia prima che di intenzioni, dipendono dall’ambiente e da come interagiscono con esso e nessuno slogan, riforma, promessa può cambiare questo fatto. L’ambiente a livello globale è degradato e consumato come conseguenza della crescita e un ambiente degradato e consumato non può sostenerci. L’economia oggi entra in crisi non solo e non tanto perché è gestita male, ma soprattutto perché le risorse da cui dipende sono rovinate o non più disponibili alle condizioni di prima. Senza risorse materiali, garantite dal pianeta Terra, senza acqua pulita, suolo, minerali, energia, un clima stabile, biodiversità, eccetera, non possiamo avere un’economia in salute, e men che meno in crescita, perché tutte le nostre attività, compreso stare seduti a pensare, dipendono da queste risorse. Tutte queste mie affermazioni non vanno dimostrate perché sono ovvie, com’è ovvio che se non mangio per un periodo abbastanza lungo muoio. Non devo dimostrarlo, basta ricordarlo. Magari è possibile immaginare una crisi economica che non è dettata dalla scarsità di risorse, ma solo dalla loro gestione; magari anche alcuni dei problemi economici che ci sono adesso non sono strettamente legati alla carenza di risorse di per sé; solo che se l’economia uscirà da questa ipotetica crisi per continuare a crescere, prima o poi esaurirà le risorse comunque e quindi il problema si presenterà inevitabilmente nei termini che ho appena descritto. Ricapitolando: la gestione dell’economia non può prescindere dallo stato delle risorse, anche se questo non è l’unico tema, e attualmente le risorse sono gravissimamente degradate a causa della crescita, per cui il dibattito su cosa fare non può prescindere da una discussione di questa questione fondamentale.

Draghi può fare tutto il quantitative easing che vuole, Renzi può cambiare la costituzione anche una volta al giorno, Tsipras può convincere la Germania a prestargli anche le mutande, ma questi fatti rimangono e sono più importanti della politica e dell’economia.

Se il problema fosse soltanto dell’Europa potremmo fare, anche se non sarebbe giusto, quello che abbiamo fatto in passato, cioè cercare nuove terre da sfruttare, ma i danni ormai riguardano tutto il pianeta e di terre vergini o quasi non ce n’è più. Bisogna trovare il modo di dare all’ambiente il tempo di riprendersi e, intanto, di sopravvivere con meno consumi e di organizzarci per vivere in equilibrio con l’ambiente e non oltrepassarne più i limiti fisici – ricordandoci anche che non siamo la sola specie su questa Terra.

Se, infatti, fosse possibile risuscitare il morto, e a certe condizioni potrebbe anche esserlo, non si tratterebbe di una buona cosa. Far ‘ripartire’ l’Italia (o qualsiasi altra economia occidentale) significherebbe ricominciare, con l’aumento del Pil, a incrementare i nostri consumi e quindi il nostro prelievo di risorse. Dato che, oltre a ritrovarsi con un ambiente gravemente degradato, l’Italia consuma circa quattro volte le risorse di cui dispone, se il suo Pil ricominciasse a crescere stabilmente questo significherebbe che l’Italia aumenterebbe addirittura il suo prelievo di risorse da altri paesi, dato che quei tre quarti di risorse non nostre che stiamo consumando sono prese da altre terre e, se interpreto correttamente i dati, dal patrimonio che dovrebbe spettare alle nuove generazioni e che stiamo invece consumando ora (per esempio producendo troppi rifiuti, distruggendo la biodiversità, inquinando le acque, erodendo il suolo e così via). Far ripartire un’economia sovradimensionata non solo è quasi impossibile, ma è criminale. Questo Renzi o lo sa e lo ignora o, forse, non può nemmeno immaginarlo, tanto programmati siamo tutti, e soprattutto le elite, a non pensare al di fuori del paradigma dominante della crescita.

Allora, di nuovo: ha senso rispondere a un insulto dettato dall’ignoranza di fatti incontrovertibili? Secondo me sì, perché Renzi non è l’unico a pensarla così, e certe cose andrebbero chiarite una volta per tutte, così da potersi confrontare capendo le reciproche posizioni e non caricaturando quello che probabilmente è, comunque lo si voglia chiamare, l’unico paradigma adatto alle circostanze in cui ci troviamo, cioè quello della decrescita.

Premetto che a me non piace l’espressione “decrescita felice”. Come la crescita, la felicità non può esserci sempre; inoltre, essendo la felicità umana un sentimento imprevedibile, che alle volte si verifica a livello individuale o familiare nelle circostanze più tragiche e altre volte sfugge a chi dedica la sua intera vita a inseguirlo, io starei attenta a promettere felicità alle masse con tanta leggerezza. Capisco però l’intenzione del nome: “decrescita felice” vuol dire che si può vivere bene anche se l’economia si contrae, e che la crescita costante dell’economia spesso avviene a discapito di quelle cose che rendono le persone felici in senso lato – le relazioni umane, il tempo libero, il riconoscimento da parte della società, l’armonia con gli altri esseri viventi, e così via.

La risposta a Renzi, una volta deciso di dargliela, è in realtà molto semplice: la decrescita e la crisi economica non sono la stessa cosa. Chi parla di “decrescita felice” non parla di “disoccupazione di massa felice” o di “felice impossibilità di sfamare i propri figli”, ma di qualcosa di molto diverso.

Se non modifichiamo nulla del nostro sistema, il fatto che il Pil cali significa disoccupazione e riduzione dei consumi distribuita solitamente in maniera iniqua, e le persone quando perdono il lavoro e non possono permettersi le cose di cui hanno bisogno e desiderano solitamente stanno male. Ma la decrescita affronta proprio questo punto, cioè come far sì che l’inevitabile calo del Pil, inevitabile perché ci sono dei limiti fisici alla crescita perpetua, non provochi sofferenza ma migliori nel complesso le nostre vite. Questo è possibile perché la crescita economica, oltre a non essere sostenibile all’infinito, non necessariamente ci rende più felici: la spinta a consumare sempre di più ci rende insoddisfatti, la grande quantità di ore che siamo costretti a lavorare sottrae tempo ad altre attività, i danni ambientali che sono conseguenza inevitabile della crescita economica a tutti i costi fanno male anche alla nostra salute e ci tolgono piacere e bellezza, e così via.

Bisogna quindi riprogettare la nostra economia in modo tale da far sì che ci sia una riduzione complessiva dei consumi, e quindi anche del Pil, almeno nelle prime fasi (il Pil non deve necessariamente decrescere all’infinito), allo scopo di ridurre i danni all’ambiente derivanti dalle nostre attività economiche senza per questo dover rinunciare a soddisfare i nostri bisogni e a vivere bene. Bisogna ridefinire quali sono i nostri bisogni e cosa significa vivere bene, e questo è un altro dei progetti fondamentali legati al concetto di decrescita.

Come ha detto qualcuno, tra riduzione del Pil in un’economia basata sulla crescita e decrescita c’è la stessa differenza che c’è tra fare la fame e mettersi a dieta. Non mi sembra un concetto tanto difficile da capire: mi chiedo se Renzi sia ignorante o in malafede. La spiegazione più probabile per la sua cattiveria e superficialità è che la decrescita, come proposta, provocazione e progetto richiede un cambiamento di paradigma talmente radicale, un tale coraggio intellettuale e una tale visione d’insieme, e quindi la sfida a così tanti potentati e a così tanto status quo, che è molto difficile che qualcuno arrivi ai vertici delle istituzioni aderendo ad esso. Per diventare presidente del Consiglio, per ora per lo meno, bisogna fare promesse a destra e a manca di posti di lavoro e benessere, bisogna andare d’accordo con i potentati economici, bisogna inserirsi nella visione dominante, per quanto, quella sì, folle e insostenibile. Il paradosso è che Renzi, che si presenta come rivoluzionario, si sta inserendo in realtà in una corrente di pensiero vecchia e superata, anzi direi in più di una, ma non divaghiamo.

Nessuno può diventare presidente del Consiglio dicendo le ovvietà che sto scrivendo io ora principalmente perché le persone fraintendono il concetto di decrescita, e quindi preferiscono prenderla in giro per mandarla via, o ignorarla. Naturalmente, la decrescita non avrebbe solo vantaggi: richiederebbe una riduzione effettiva dei consumi, e per chi pensa di non poter star bene senza smartphone, viaggi in aereo, vestiti nuovi ogni stagione, carne e pesce tutti i giorni, e così via, la prospettiva di abbassare il proprio tenore di vita appare sicuramente spaventosa. È lo stesso motivo per cui esistono i drogati: la droga all’inizio dà effettivamente una sensazione di benessere, in seguito riempe la vita, e porta a un punto in cui il rinunciarvi fa star male. Il consumismo è simile a una droga. Per questo la “decrescita felice” è effettivamente uno slogan sbagliato: non tutti saranno più felici. Se dovessimo scegliere tra decrescere perché la sobrietà ci piace e continuare a crescere come stiamo facendo, probabilmente molte persone preferirebbero la seconda ipotesi, anche dopo aver visto cento interviste a Josè Mujica, cento documentari sui piaceri dell’orto urbano e cento tutorial su come si rammendano i calzini. Il punto, però, è che l’alternativa non è questa, cioè non è tra la felicità promessa dalla crescita e la felicità promessa dalla decrescita. L’alternativa è tra continuare a cercare di crescere come abbiamo fatto negli ultimi decenni, riuscendoci solo ogni tanto e a caro prezzo, distruggendo l’ambiente e vedendo alla fine crollare la nostra economia e società, oppure provare a decrescere il più ordinatamente ed equamente possibile, anche se non a tutti piacerà.

Io vorrei che fossero quindi chiare due cose:

- nella situazione in cui ci troviamo, l’alternativa alla decrescita non è la crescita ma il tracollo

- la decrescita può avere dei vantaggi che moltissime persone sicuramente apprezzerebbero, ma perché sia così dev’essere collettivamente capita, voluta e gestita

È molto difficile dimostrare in un semplice post che risolvere i nostri problemi economici attuali non è una questione di riforme ma di limiti fisici. Ci sarebbero così tanti ambiti da approfondire, che dovrei scrivere un libro solo su questo – ma ne sono già stati scritti tanti. Se vuole, Renzi può leggerli, oppure, dato che sembra effettivamente molto impegnato, farseli riassumere. Non serve leggere libri, però, per capire che la crescita infinita in un mondo finito non è possibile in nessun caso. Molti cercano una scappatoia parlando di miglioramenti nell’efficenza o di “decoupling”, secondo il quale l’economia può crescere senza consumare ulteriori risorse, cioè sganciandosi da esse. Cercherò di rispondere in breve: secondo il paradosso di Jevons, la scoperta di un impiego più efficiente delle risorse non porta a una riduzione del loro uso, ma alla liberazione di dette risorse per altri scopi o un utilizzo maggiore, così che alla fine se ne usano di più, non di meno; inoltre, anche i miglioramenti nell’efficenza non possono essere infiniti: un’automobile, ad esempio, avrà sempre bisogno di qualche fonte di energia per muoversi. Questo non lo dico io, lo dice la fisica. Per quanto riguarda le fantomatiche economie che crescono senza consumare risorse, si tratta di un errore di prospettiva: è ormai evidente a tutti per esempio che l’immaterialità di internet è solo un’illusione, dato che i computer (così come i pannelli solari o le pale eoliche) devono essere progettati, costruiti, trasportati e smaltiti, tutte attività che richiedono risorse; inoltre quello che spesso è successo è che le economie occidentali hanno semplicemente esportato gran parte del loro inquinamento in paesi come la Cina, che bruciano carbone e distruggono l’ambiente non per i fatti loro, ma per produrre merce che poi siamo noi a consumare. Noi potremmo anche esportare bacini a impatto zero, ma se poi coi soldi che guadagnamo vendendo bacini, sempre di più se l’economia cresce, compriamo iphone e scarpe di cuoio, il nostro benessere ha lo stesso impatto ambientale che avrebbe se gli iphone e le scarpe di cuoio ce li facessimo da soli, anzi, di più perché anche il trasporto inquina. L’economia cresce per permetterci di consumare di più, e qualsiasi cosa consumiamo richiede risorse. Le attività immateriali non esistono.

A me sembra di dire banalità. Quasi nulla di quello che ho scritto è farina del mio sacco: non ho plagiato nessuno, ma i concetti si trovano nei molti blog, riviste e libri che si occupano di temi quali il picco del petrolio, la sovrappopolazione, i danni all’ambiente, il futuro della società industriale, e così via. Non tutti sono così netti: alcuni girano intorno alla questione, guardandosi bene dal pronunciare la parola ‘decrescita’ proprio per paura di suscitare reazioni negative o di essere presi per pazzi. Io ormai sono compromessa sulla questione, avendo già detto infinite volte come la penso, e non ho bisogno di consigli sulla salute mentale da parte del nostro premier, per cui spero che questo mio post raggiunga almeno una persona che crede che la decrescita sia necessariamente “infelice” e sicuramente evitabile, e la invogli quantomeno a pensarci un po’ meglio.


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