Magazine Diario personale

Chiamalo Grande Romanzo

Creato il 14 settembre 2011 da Zioscriba
Chiamalo Grande Romanzo
Henry Roth
Chiamalo sonno
Garzanti
Pagine 512
Euro 17.60 (molto ben spesi)
Voto
Ho conosciuto un bambino di nome David, partorito dalla talentuosa penna di uno Scrittore che dopo questo romanzo si bloccò, e volle smettere di scrivere, per decenni. David all’inizio della storia sta per compiere 6 anni, ed è un bambino ebreo di origini polacche immigrato dall’Austria nella New York di un secolo fa, dove, quattro anni prima, ha raggiunto il padre insieme a una mamma dolcissima che ama alla follia. David è terrorizzato da questo padre collerico, ostile e incapace di affetto – un onestuomo, in fondo, che si guadagna da vivere come tipografo e in seguito come lattaio, ma con troppa negatività che gli rode dentro e lo corrode, e lo rende pericoloso. Ma David è oppresso da tante altre paure. David ha paura della porta della cantina e delle scale oscure, ha paura dei morti nelle bare, ha paura delle torbide e incomprensibili avances di una ragazzina più grande. David trema per l’improvvisa intuizione che le carrozze degli sposalizi sono le stesse dei funerali. “Tutto apparteneva allo stesso buio. Coriandoli e bare”. David sa che dovrà trovare il modo di vincerle, le paure: “E allora, o trovava un solvente per le sue paure, oppure era perduto”.
L’America d’inizio secolo (scorso) dipinta con le ciglia degli occhi di un bimbo: descrizioni bellissime, atmosfere d’intimità domestica evocate con maestria impressionante, pennellate di poesia, personaggi che non si lasceranno dimenticare, strade in cui ci sembra di camminare anche noi.
Peccato solo per la traduzione un po’ anticheggiante, che richiederebbe (a mio molesto parere, è naturale) una rispolverata: “il desinare” al posto di “pranzo”, e “impiantito” per “pavimento”, e “non posso venire costà” invece di “non posso venire lì da te”, le sfilze di “egli” e di “ella”. Ma può darsi sia una scelta voluta (e discutibile) per restituire i sapori dell’epoca (il romanzo, ambientato a inizio Novecento, è stato scritto nel ’34, ma la traduzione è del ’64, poi riveduta nell’86). Se potete, concedetevi di leggerlo in lingua originale, anche per gustare i continui cambi di registro, e i salti dallo yiddish all’inglese impossibili da rendere in altri idiomi. Molto inflazionata (e, come spesso capita, a sproposito) una delle espressioni-jolly che più mi stanno sulle palle quando un romanzo ne è disseminato: “Si strinse nelle spalle”, forse la più inutile del mestiere di scrittore (o traduttore, perché continuo a sospettare sia tradotta male – chi lo dice mai, in italiano, stringersi nelle spalle?). Ma sarebbe assurdo dilungarsi sui difetti, perché piacevolissima è la lettura di questo romanzo meraviglioso scritto nell’anno in cui nacque mio padre. Se ne ho sottolineato piccole magagne, è solo per dimostrare che la mia non è cieca infatuazione, ma un’esaltazione lucida, onesta e convinta davanti a un capolavoro di Scrittura che mi spinge a inginocchiarmi e a dare un bacino alla copertina.
Come sempre accade al cospetto dei Grandi, non mancano i lampi di umorismo, come nel prologo, quando la madre, appena approdata col figlioletto a Ellis Island, non riconosce il marito (che della cosa si secca parecchio…), o in questa descrizione di giovane zia sgraziata e grassoccia: “Le gambe le piombavano nelle scarpe senza beneficio di caviglie”. Perché quella di Henry Roth è proprio una penna multigusto, come piacciono a me: lo zucchero e il fiele, il miele e il vetriolo. Le penne monogusto (insipido, fra l’altro) le lascio tutte alla premiopoli italiana: a me hanno rotto il cazzo.
La seconda delle quattro parti (o “libri”) è dedicata a questa zia, sorella della madre ma diversissima da lei, malsopportata (dal cognato) e ingombrante ospite (vera bomba-zizzania a innesco linguacciuto) della già non serena famigliola, finché non riuscirà ad accalappiare un vedovo scialbotto e molliccio con cui sistemarsi. La terza parte parla invece dell’iniziazione religioide di David presso un rabbino manesco, prodigo di insulti e colorite maledizioni (quasi mai per lui, più intelligente degli altri marmocchi), ma tutto sommato non cattivo d’animo. La quarta e ultima è forse la più bella, più varia e più struggente, la più emozionante e densa di accadimenti, quella in cui lo stile osa più sperimentazioni, e quindi non ne parlerò, per non levarvi nemmeno un briciolo di godimento. Siete ancora qui? Non fatemi incazzare, è ora di precipitarsi in libreria! Di Roth scrittori, nella mia ignoranza, conoscevo solo l’esistenza di Philip e Joseph. Sia benedetto colui che mi ha fatto conoscere Henry. Sono sicuro che anche quelli fra voi che non lo conoscevano mi saranno grati per questo consiglio.
Parola di Scriba.

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