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Chiedete a Ovidio Marras

Creato il 05 ottobre 2011 da Malvino
La sua vittoria stupisce chi non ha fiducia nella giustizia, non lui, che probabilmente non ha mai dubitato: “Se avevo ragione, per forza dovevo vincere, anche se quelli hanno tanti soldi” (Tg3, 4.10.2011). “Quelli” sono i padroni della Sitas (Gaetano Caltagirone, Luciano Benetton, Claudio Toti, il Monte dei Paschi di Siena), “lui” è Ovidio Marras, un agricoltore sardo di 82 anni: gli avevano costruito un mega albergo sulla stradina che porta a casa sua, e il giudice ne ha ordinato l’abbattimento.Hanno usato la metafora di Davide e Golia, ma si sa che i giornalisti hanno scrittura necessariamente svelta, inevitabilmente poco meditata: tra Davide e Golia era la forza fisica a pesare sul pronostico, e usarla come metafora del peso del denaro in un contenzioso giudiziario equivale a dare per scontato che la sentenza sia il risultato di un duello tra avvocati, tutto muscolare. Ovidio Marras non ha voluto darlo per scontato, probabilmente avrà pensato che quello era un luogo comune che si conferma nell’accettarlo come verità.“Avevo ragione, per forza dovevo vincere”: una fiducia nella giustizia che non ci dà risposte ma ci interroga. Chinare il capo dinanzi al più forte? Fidare nel Giudizio Universale? Soluzioni che hanno il fascino della tradizione, che è il luogo in cui l’individuo è debole e piccino: può solo consegnarsi mani e piedi a una Natura spietata coi deboli o a un Dio la cui giustizia non è di questo mondo. È vita? Dipende da chi la vive.E, dunque, che resta a chi non tollera di aver ragione e di doversi rassegnare a perdere? Chiedete a Ovidio Marras.

Non chiedete a quelli di Nonciclopedia: erano sicuri che il loro fosse “umorismo di qualità”, ma hanno rinunciato a dimostrarlo a un giudice, e all’annuncio della querela dei legali di Vasco Rossi hanno perso la sicurezza, conservarla costava sacrificio, una roba seccante. Forse era meglio sottoporre a riflessione i concetti di “umorismo” e di “qualità”, ma prima della querela, meglio ancora se prima della pubblicazione di quella pagina. Ma questo implicava responsabilità, una roba ancora più seccante.Non chiedetelo neppure a Vasco Rossi, del quale potremmo dire tutto ciò che era scritto su quella pagina, per poi scusarcene in caso di querela, certi che la ritirerebbe. No? E perché no? Sfoggeremmo tutto il nostro vittimismo, grideremmo che vogliono metterci il bavaglio, troveremmo senza dubbio il caldo e solidale abbraccio della rete, quel “drogato che a volte spaccia e a volte canta, utilizzando sempre le solite tre parole e le solite tre note” si cagherebbe addosso per lo tsunami e ci perdonerebbe, senza dubbio. Anzi, non perdiamo tempo: mi pento del virgolettato qui sopra, lo cancello, chiedo scusa se può essere sembrato diffamatorio e dichiaro solennemente che non avevo intenzione di offendere il cantante. (Tu, Gilioli, tieniti pronto a darmi una mano nel caso che questa rettifica non basti. Vorrai mica consegnarmi a Golia? Ti sto sul cazzo? Via, sii buono. Capriccioli, per piacere, raccomandami a Gilioli, diglielo tu quanto sono buono.)

Non chiedetelo neppure alle merde che ieri, alla sentenza della Corte d’Appello che ha assolto Amanda Knox e Raffaele Sollecito, hanno inscenato quella lugubre parodia di Cassazione: non chiedete a loro cosa resti a chi ha ragione e confida nel diritto per poter aver giustizia. La forza del denaro, la forza del numero, la legge del luogo comune che pretende di essere accettato in forza della verità che impone senza avere alcun bisogno di ragioni, tanto meno dimostrate: non sapranno consigliarvi di fidare in altro. Non perdete tempo, chiedete a Ovidio Marras.

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