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CHINA - THROUG THE REVOLUTION: La città probita

Creato il 21 giugno 2015 da Jeanjacques
CHINA - THROUG THE REVOLUTION: La città probita
Ho parlato più volte del cinema orientale, fra i post di questo blog. Ma se non ricordo male, erano quasi tutte cose riferite ai soliti thriller coreani che tanto amo, quindi il termine oriente non è stato usato nella sua totale completezza. Esiste anche la Cina, per dire, eppure se all'italiano medio fai pensare a quella stupenda (e controversa) terra, non penserà spesso a qualcosa di bello. Basti pesare a come il termine cinesata sia entrato nell'immaginario collettivo a indicare un qualcosa di scadente, fatto male o che si rompe subito - ad esempio, quando ero andato a comprare il portatile, ero intenzionato a prendere un determinato modello, ma il commesso mi ha redarguito dicendomi "Se vai dai cinesi trovi roba migliore". Mal che vada, se avete fortuna, qualcuno vi parlerà di Mulan, ma anziché la fiaba credo intenderà il personaggio della Disney, oppure inizieranno illazioni su Mao e il comunismo, se non qualche pressapochismo su quella che è stata la rivoluzione culturale. Motivo per cui noi blogger ci siamo ritrovati per dedicare un'intera giornata al cinema cinese, dividendoci in due categorie: Inside the tradition o Through the revolution, la prima riferita alle pellicole girate in età pre-coloniale e la seconda a quelle realizzate dopo l'annessione di Hong Kong. Un'occasione ghiotta e interessante per offrire delle vere e proprie cinesate che però cinesate non lo sono proprio. Anzi, la dimostrazione di come l'oriente, anche quello meno pubblicizzato, in campo artistico sia superiore a noi occidentali di diverse leghe.

Nella Cina del decimo secolo regna la dinastia dei Tang. Sfarzo e ricchezza si respirano in ogni dove e ogni momento della giornata è scandito da dei rituali precisi. Un giorno però, durante la festa del Chong Yang, tutti gli intrecci e le macchinazioni segrete verranno svelate, dando inizio così a una drammatica battaglia fra due colorate fazioni...

Zhang Yimou completa la sua trilogia vuxiapan, iniziata con quel capolavoro di Hero, per me un film poco compreso e dello sfarzo visivo ancora ineguagliato, e proseguita con La foresta dei pugnali volanti, pellicola molto più leggera ma comunque gradevolissima e in grado di riportare la dimensione della fiaba a dei valori cinematografici più moderni ma comunque fedeli a quella che è stata la sua idea ci cinema. Quello che ci si presenta qui, anche se slegato da continuity o riferimenti vari, è un tassello molto impegnativo, perché al suo interno c'è una grande aspettativa, un qualcosa che possa eguagliare quello che è stato il piccolo miracolo dei due film precedenti - a quelli che dicono che la trilogia è andata in calando, ripeto solo che i due tasselli sono due film diversi e dalle diverse necessità artistiche - così come era riuscito a fare un altro miracolo, quel Lady Vendetta che mi ha sconvolto l'esistenza. Il regista Zhang Yimou si ispira quindi a un'opera del drammaturgo Cáo Yǔ, forse il più importante teatrante cinese del secolo scorso e il più osteggiato dalla rivoluzione culturale. riadattandola a seconda di quelle che sono le sue esigenze artistiche (ad esempio, il tutto non è ambientato alla corte imperiale dell'antica Cina, ma nella Cina medievale). Il risultato è quello di un film davvero imponente, quasi eccessivo ma che non può fare a meno di catturare ad ogni fotogramma, ognuno realizzato con cura meticolosa e con una maniacalità dei dettagli che fa intuire tutto l'amore che Yimou ha messo in questo suo progetto - che fra le altre cose, coi suoi quarantacinque milioni di dollari di budget, è diventato il film cinese più costoso della storia, sbalzando dal podio il capitolo iniziale di questa trilogia. Ma quello che colpisce maggiormente in questa storia dai palesi rimandi shakespeariani è la figura della donna, di come tutto giri intorno a questa figura e di come la macchina da presa piroetti intorno alla bellissima Gong Li, oltre che moglie del regista, anche mattatrice quasi assoluta di un film fatto per sconvolgere la vista e far respirare, pur con le moderne tecnologie e tecniche narrative, quelle che sono le vecchie storie. Nonostante la sua bellezza quasi assoluta non è un film per tutti, perché il pubblico occidentale non potrebbe sopportare la pesantezza concettuale di certe scene, il ripetersi di certi rituali (utili però a far comprendere quella che è la monotonia nella Città Proibita) e l'irrealtà dei combattimenti, che nei moderni vuxia, da La tigre e il dragone fino a La congiura della Pietra Nera, sono il marchio di fabbrica di queste pellicole. A me però sono soprattutto questi a essere piaciuti, e proprio per il modo eccellente in cui Yimou riesce a gestirli per tutto il corso del suo trittico. Mai messi a caso, sempre assecondati a quelle che sono le esigenze narrativa e, oltre a essere splendidamente coreografati, non peccano mai di una spettacolarizzazione gratuita, ma adeguata al contesto e al suo volere artistico. Così se nel primo capitolo c'era la solennità che un ordine imperiale richiede, nel secondo c'era la leggerezza e la mai eccessiva esagerazione della fiaba, mentre qui tutto sembra essere dirottato verso il colore e lo scontro (vero e proprio gioco di parole) cromatico. D'altronde i colori, specie quelli della pelle, dividono ancora oggi, e qui diventano il simbolo più puro ed esemplare per sottolineare il conflitto interno di quella casata. Ma soprattutto, evidenzia come sotto lo sfarzo del potere, si nasconda sempre il marcio, perché ogni colore alla fine viene coperto dal rosso del sangue. E per una volta anche il titolo italiano si dimostra efficace perché, differendo da quello che era l'originale (La maledizione del fiore dorato) non va a indicare la festa durante il quale il conflitto si scatena, ma pone le attenzioni sulla residenza reale. Un simbolo di potere. Ed è proprio dove sta il potere che il marcio e la crudeltà più assoluti hanno modo di nascere, ma è proprio chi comanda il potere che finisce per essere schiavo più dei suoi sudditi. Oltre che dal potere stesso, anche di sé.

Un film magnifico e assoluto che non posso fare a meno di consigliare. E quella scena finale, in tutta la sua struggenza, non la dimenticherete mai.


Voto: 

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