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Chiudere il diaframma. O forse no

Da Marcoscataglini
Un po' di tempo fa stavo riguardando un bel libro ("Luci sulla Terra" White Star) dedicato ai primi vent'anni del più famoso e importante concorso internazionale di fotografia naturalistica, quello della BBC. Fotografia rigorosamente analogica, sia chiaro: si arriva al 2003, e le fotocamere digitali facevano appena la loro timida comparsa sul mercato (io acquistavo allora la mia D100 Nikon...), ma di partecipare a importanti concorsi col digitale ancora si parlava poco. Dominavano le diapositive Velvia! Poco tempo dopo, capito sul sito di WhyTake, una delle comunità online più importanti di fotografi naturalisti, con migliaia di splendide foto. E la differenza mi salta subito agli occhi. Accidenti! Fino al 2003 nemmeno un'esposizione multipla, uno sfocato, una foto "creativa"! Oggi i concorsi si vincono, per così dire, a diaframma aperto (o con obiettivi strani come il Goerz e i suoi "pallini"), sino a dieci anni fa eri bravo se sapevi gestire diaframmi tra 22 e 32 e relativi flashes! Qualcosa è successo, nel frattempo, di sicuro...
Chiudere il diaframma. O forse no
Ansel Adams sosteneva che in un anno un bravo fotografo poteva al massimo aspirare a produrre 10 (dieci!) foto buone. Oggi i fotografi s'incazzano se non tornano a casa da una singola escursione con almeno 20 foto buone sulle 1000 scattate! D'altra parte, le foto "buone" del fotografo di oggi durano ben poco (il tempo di qualche "wow" su Facebook o della condivisione su Flickr), quelle di Adams sono ancor oggi ammirate, acquistate, esposte nelle mostre. Hans Strand, grande paesaggista e vincitore di passate edizioni del premio BBC (éra analogica) ancora produce eccellenti fotografie (con Hasselblad digitale), eppure le sue foto più famose le ripropone di continuo (anche su FB) e spesso sono di oltre 10 anni fa!
Chiudere il diaframma. O forse no
Diciamolo chiaramente: oggi abbondano i fotografi, ce ne sono migliaia, sono ovunque. Ti giri e scopri che il passante vicino a te è un fotografo. Si definisce tale, almeno. Un tempo i fotografi erano rari, erano una casta, una società segreta. Occorrevano non meno di 10 anni per diventare davvero bravi a gestire pellicole, tempi, diaframmi (meccanici): io, almeno, questo è il tempo che ci ho messo. Centinaia di rulli venivano sovra o sottoesposti, sbagliati, bruciati, buttati. Non parliamo del bianco e nero, dello sviluppo e della stampa dei rulli di TMax o HP5! Oggi, leggi le "carriere" di certi giovani "fotografi" e scopri che sino a due anni fa nemmeno ci pensavano a fotografare! Magia del digitale? Forse. Il risultato è comunque una sovraproduzione incredibile, un'ondata di foto che scorre a ritmo continuo, un flusso che passa da Facebook a Flickr, da Tumblr a Pinterest, da Twitter a vattelapesca. Sono foto in cui la tecnica tende a prevalere sull'anima, foto in cui trucchi e trucchetti mutuati da tutorial online divengono la forza "creativa" di giovani fotografi rampanti, che in fretta crescono e in fretta si smosciano, quando il giochino li annoia. Sono tutti strapremiati, quando una volta vincere un concorso significava avere le palle. Oramai diffido per istinto dei vincitori di concorsi internazionali: scommetto che se gli chiedi cos'è il diaframma, iniziano a balbettare. Altri tempi quelli in cui Hernst Haas (lui si vero innovatore) poteva sostenere che trovata una tecnica occorreva anche trovare il modo di superarla, di abbandonarla in qualche modo! "Una tecnica è la morte di tutto" diceva. Mi sa che aveva ragione...

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